lunedì 29 aprile 2013

IT CAME FROM OUTER SPACE #14

VOX BLENII - L'Umetin

Informazioni
Gruppo: Vox Blenii
Titolo: L'Umetin
Anno: 1991
Etichetta: Autoprodotto
Autore: ticino1

Diciannove anni, il death metal è la regola, tutto ciò che è più "morbido" si evita. La musica popolare? Fatemi il favore! È tutta musica per vecchi inebetiti e ultraconservatori... Oltre vent'anni dopo ascolto il gruppo di musica popolare Vox Blenii che non solo suona, ma tenta di documentare tradizioni, testi e frasi dialettali tramandate da persone anziane che altrimenti le trascinerebbero nell'oblio della loro tomba. Alcuni passaggi sono, malgrado nati in altri tempi, già tinti di critica sociale e raccontano non solo vicende di povertà, ma concedono pure qualche dritta su come godersi la vita senza stress. Quest'ultimo termine non esisteva ancora allora e, dunque, un poco di musica analogica in compagnia non pare dolere...



FRANCESCO GUCCINI - Via Paolo Fabbri 43

Informazioni
Artista: Francesco Guccini
Titolo: Via Paolo Fabbri 43
Anno: 1976
Etichetta: EMI Italia
Autore: Dope Fiend


L'eco si è smorzato appena, ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo. Se tu te la sei voluta, a loro non importa niente, te l'avevan detto che finivi male. Poeti, santi, taumaturghi e vati, voi che siete capaci fate bene ad aver le tasche piene e non solo i coglioni: io fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi, aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare... grattarsi!









M-PROJECT - Hardcore Illusionist

Informazioni
Artista: M-Project
Titolo: Hardcore Illusionist
Anno: 2009
Etichetta: Terraform Music/Guhroovy
Autore: Insanity


Svestite per un'oretta i panni dei metallari cattivi e preparatevi a ballare: sarà difficile resistere al mix di Happy Hardcore e Makina di M-Project, uno dei nomi di punta della scena J-Core. Con brani come la splendida "Vibrations" e remix quali "Time To Say Goodbye" (l'originale altro non è che "Con Te Partirò" del nostro Andrea Bocelli), "Hardcore Illusionist" è un album che riesce a intrattenere e divertire senza mai dare segni di cedimento, grazie a melodie molto orecchiabili, ritmi coinvolgenti e alcune parti vocali ben inserite ("My Little Fantasy" su tutte). Provatelo, se non per la musica almeno per il look decisamente poco appariscente dell'artista: guardatelo qui!




HYPE - Glitch

Informazioni
Gruppo: Hype
Titolo: Glitch
Anno: 2008
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Akh.

La musica Rock da sempre è un crocevia di delizie e sudore. Gli Hype da Bergamo sicuramente non fanno che confermare tale cosa. In quaranta minuti riescono a passare in rassegna cinquanta anni di storia musicale, suonando la loro musica senza pretendere di inventare o sollevare masse, ma con la vera intenzione di divertirsi su un palco, legati ad un ampli e a una sana birra, ovviamente assieme a chiunque abbia la stessa passione da condividere con loro. Si passa quindi attraverso ballate acustiche e chitarre distorte, semi ballate e tutto ciò che il genere abbia prodotto nella sua lunga storia, nella più classica tradizione del miglior Rock U.S.A. Il repertorio è completo e variegato, ce n'è per tutti i gusti, quindi attacchiamo la spina degli Hype e lasciamoci scorrere addosso quaranta minuti di sano, incontaminato, energetico Rock & Roll.



SEX PISTOLS - Never Mind The Bollocks, Here's The Sex Pistols

Informazioni
Gruppo: Sex Pistols
Titolo: Never Mind The Bollocks, Here's The Sex Pistols
Anno: 1977
Provenienza: Regno Unito
Etichetta: Virgin Records
Autore: Leonard Z666.

Parlando di Punk non può non venirvi subito in mente quest'album. Siamo nel 1977, in Inghilterra... i Sex Pistols escono con questo vinile e il mondo della musica non sarà più lo stesso. I negozi di dischi si trovano a esporre un LP con la scritta "coglioni" in copertina, con dentro pezzi contro la monarchia in un periodo in cui la Regina è ancora vista da molti come un'icona da venerare. I brani sono uno più valido dell'altro e non verranno mai a noia, nemmeno tra millenni. Questo lavoro rappresenta anche la nascita della stella Sid Vicious, quella sì una vera speculazione monetaria fine a se stessa, visto che il tizio in questione non ha registrato né suonato alcunché, essendo totalmente incapace di suonare il basso. Per chi non ha quest'album: acquisto obbligatorio, soprattutto se siete giovani e volete sapere da dove i gruppi Punk moderni hanno copiato.



PORNORIVISTE - Codice A Sbarre

Informazioni
Gruppo: Pornoriviste
Titolo: Codice A Sbarre
Anno: 2001
Etichetta: Tube Records
Autore: M1

Ma quanto cazzo ero ingenuo e inesperto da "sbarbo"? La voce spesso sgraziata e sbilenca dei Pornoriviste doveva sembrarmi un passo avanti verso l'anticonformismo rispetto alla roba che passava su MTV, mentre "Codice A Sbarre" altro non è che (pop-)punk cantato in italiano, ricco di ritornelli da urlare in coro che entrano facilmente in testa, brani elementari di presa spesso travolgenti e tematiche sociali. Insomma una scarica di energia istantanea che si disperde poi in breve tempo. L'ideale per bere birra, farsi una canna e pogare, nient'altro...

E per stare in tema col tragico momento politico attuale:

Tempi cupi stamattina ho sentito delle elezioni
Tempi cupi della tele ce ne abbiamo pieni i coglioni
Quanti mesi settimane c'è un domani
E poi c'è un passato
68 77 chi si chiede cos'è cambiato




REGINA SPEKTOR - 11:11

Informazioni
Gruppo: Regina Spektor
Titolo: 11:11
Anno: 2001
Etichetta: Autoprodotto
Autore: Istrice

Iniziava qui l'epopea di Regina Spektor, moscovita di nascita, newyorkese d'adozione, che da un quindicennio a parte riscalda i cuori con i suoi orgasmi vocali e le sue rime sghembe. "11:11" è l'inizio sgomitante di una carriera condotta sempre sul filo di lana, fra il pubblico più underground ed esigente e la massa che richiede melodie immediate, riuscendo sempre ad accontentare entrambe le fazioni, seppure la deriva degli ultimi dischi propenda decisamente verso la seconda. Ventun'anni e una carriera di fronte a sè che probabilmente non era nemmeno in grado di sognare quando ancora cercava di crearsi spazio suonando nei bar periferici della Grande Mela. Ed in nuce c'era già tutto: il piano, vagamente jazz, stonato e saltellante e la sua voce meravigliosa, unica, acerba, infantile. J'adore.



FUGAZI - Red Medicine

Informazioni
Gruppo: Fugazi
Titolo: Red Medicine
Anno: 1995
Etichetta: Dischord Records
Autore: Mourning

Una formazione unica quella messa in piedi da Ian MacKaye (ex Minor Threat), sì, parlo dei Fugazi (Fucked Up, Got Ambushed, Zipped In). Una di quelle realtà che di anno in anno ha sviluppato il proprio modo di suonare, arrivando con "Red Medicine" a distinguersi per una produzione rock sghemba, disallineata, cantilenante e allo stesso tempo melodica e maggiormente fruibile rispetto agli inizi più ruvidi e minacciosi collegati alla pura esperienza hardcore. Questo album è per alcuni la vetta più alta raggiunta dalla band, per altri il segno di un collasso iniziale che li avrebbe condotti allo stato di "pausa" che perdura anche odiernamente. Ciò che io posso dirvi è che vale la pena conoscerlo e attenti... potreste rischiare di non staccarvene più.

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ROTTING CHRIST - Κατά τον δαίμονα εαυτού


Informazioni
Gruppo: Rotting Christ
Titolo: Κατά τον δαίμονα εαυτού
Anno: 2013
Provenienza: Grecia
Etichetta: Season Of Mist
Contatti: Myspace - Facebook - Sito
Autore: Akh.

Tracklist:
1. In Yumen - Xibalba
2. P'unchaw Kachun - Tuta Kachun
3. Grandis Spiritus Diavolos
4. Κατά τον δαίμονα του εαυτού
5. Cine Iubeşte şi Lasă
6. Iwa Voodoo
7. Gilgameš
8. Русалка
9. Ahura Mazdā-Aŋra Mainiuu
10. Χ ξ ς'
11. Welcome To Hel [traccia bonus]

DURATA: 51:31 (esclusa traccia bonus)

I Rotting Christ non necessitano di nessuna presentazione; nati in Grecia nel 1987 e.v., sono fra i capostipiti del Black Metal ellenico (scena fondamentale per lo sviluppo del genere) e indubbiamente capisaldi assoluti, basti menzionare quel capolavoro di "Thy Mighty Contract" che continua a lasciare scie di zolfo e oscurità anche a distanza di venti anni.

Giungono quindi al loro undicesimo album in studio, dando corpo alla svolta maggiormente epica di "Aealo". In questo nuovo lavoro pare che abbiano lasciato alle spalle il periodo "gotico" (francamente un'epoca che non ho troppo apprezzato), perciò riabbraccio felicemente il ritorno in pianta stabile di certe sonorità. Bisogna ammettere che i Rotting Christ hanno saputo ricrearsi sovente, per quanto con fasi alterne, pur rimanendo fedeli a un certo marchio di fabbrica e anche nei periodi di stanca hanno tirato fuori sempre qualche coniglio dal cilindro. Onestamente devo dirvi subito che questo "Κατά τον δαίμονα εαυτού" è ricco di quadrupedi orecchiuti.

Si parte immediatamente con la semplice ma intrigante "In Yumen - Xibalba", in cui gli arrangiamenti e i cori "etnici" ricreano all'istante un'atmosfera mistica e al di fuori dei soliti cliché B.M., unendo una morbosa ferocia liturgica a un ritornello indubbiamente incisivo; mi preme anche rimarcare il tocco "tipico" della batteria nei tempi più serrati. Insomma già in apertura posso affermare che quando i Rotting Christ sono in forma sono imbattibili in certe ambientazioni. Un sicuro classico da massacro.

Non certamente da meno il trio seguente composto da "P'unchaw Kachun - Tuta Kachun", "Grandis Spiritus Diavolos" (brano che viaggia a metà strada fra Therion e Tormentor) e "Κατά τον δαίμονα του εαυτού", dove il disco si arricchisce di un incedere dall'alto tasso epico fra le pennate. Il lieve utilizzo di cori e aggiustamenti di tastiera inoltre dona pathos e enfasi ai vari pezzi, producendo sfaccettature differenti dal sapore talvolta "stregonesco", come capita anche nel caso di "Cine Iubeşte şi Lasă", in cui pare di ascoltare temi occulti provenienti dall'est Europa.

Il cd abbassa poi i giri con "Iwa Voodoo", nella quale emergono venature interpretative più orecchiabili e rock, grazie a piccole dosi di wah wah e accenni ritmici tribali, per rinverdire l'idea primitiva di certa magia africana; ma ciò serve anche per lanciare una "Gilgameš" dai toni maggiormente agitati. L'alone sacrale ed epico comunque viene sottolineato e diviene il filo d'unione fra i vari brani.

L'unico neo che vorrei indicare è come alla lunga forse una certa ripetitività nelle strutture incominci a fuoriuscire, se infatti "Русалка" di per sé non è una canzone negativa, devo dire però che risulta un po' troppo simile alla precedente nel ritmo e nell'incedere. Non riesce a prendermi completamente neanche "Ahura Mazdā-Aŋra Mainiuu", in cui una ritmica non propriamente avvincente e maggiormente basata su una melodia solista "leggerina" non sfonda, così come l'ambiziosa "Χ ξ ς'" dotata di un'ambientazione soffusa e lenta che non genera le sensazioni altisonanti adeguate allo sforzo operato. Nemmeno le urla forsennate di Sakis possono colmare la misura o probabilmente in questi frangenti esce fuori quel lato dei greci che non sono mai riuscito a digerire.

Nei file ricevuti della versione digitale spunta anche la presunta traccia bonus "Welcome To Hel", nuovamente si cerca di rialzare i registri con un brano energico nel quale la parte solista acquista maggiore spazio rispetto agli standard, mentre un coro dal sapore "classico" fa riecheggiare i lidi d'origine della band fino allo sfociare in un assalto frontale che ci rincuora e che potrebbe visivamente riportare alla mente teatri degni dei migliori Nocternity in attacchi di epicità infernale.

"Κατά τον δαίμονα εαυτού" è un album che nel complesso mi ha soddisfatto e che credo reperirò fisicamente, in cui torno a godere dei miei greci preferiti. Certo che avrebbero potuto tranquillamente evitare il calo sopra descritto, accorciando la durata finale del album, in fondo è pieno di lavori che si attestano sui quaranta minuti di durata. In quel caso invece di un più che discreto album sarei qui a parlare di un ottimo album. Ciò non toglie niente al merito di questo "Κατά τον δαίμονα του εαυτού", che accuratamente selezionato (ma senza eccessivo zelo) ci restituisce i greci in una condizione di monopolio.

Nel nome di Xes i Rotting Christ si alzano epicamente fieri sullo scranno dell'Ade.

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VADER - Back To The Black Tour (25/04/13 @ The Theatre, Rozzano, Milano)


Informazioni
Gruppi: Vader + Melechesh + Sterbhaus + W.I.L.D.
Data: 25/04/13
Luogo: The Theatre, Rozzano, Milano
Autore: Bosj

Avevamo mancato l'occasione di vedere all'opera Piotr Wiwczarek al suo ultimo passaggio nel nord Italia, meno di tre mesi fa, così quando in redazione è arrivato l'invito all'evento del 25 aprile da parte della promotion dei W.I.L.D. (che ringraziamo), considerato che al seguito dei Polacchi, oltre alla formazione francese, ci sarebbero stati nientemeno che i Melechesh, l'occasione era troppo ghiotta per farsela scappare. Tuttavia, prima di entrare nel vivo della serata, è doveroso un discorso iniziale che provi a spiegare — almeno dal mio umilissimo punto di vista di non addetto ai lavori, ma persona qualunque — per quale ragione, davanti a nomi del genere, gli spettatori paganti fossero meno di trenta. Sì, avete letto bene. Trenta persone a vedere i Vader e i Melechesh. Un numero agghiacciantemente basso, però a mio modo di vedere almeno in parte prevedibile per una serie di motivi.

Prima di tutto: la combriccola polacca è passata da queste parti, come accennato in apertura, meno di tre mesi fa. Dettaglio non da poco, considerando il secondo punto: a Milano, la sera del 25 aprile, c'erano tre-dico-tre date heavy. Ai Merdazzini Generali suonavano infatti i Killswitch Engage con altri due gruppi metalcore, e sopratutto al Blue Rose di Bresso si esibivano sei gruppi capitanati da Girlschool, Forgotten Tomb e Isole. Se è vero che chi va a vedere i Killswitch Engage non è certamente l'ascoltatore medio dei Vader, il secondo evento invece era già più "allettante", soprattutto considerando che rispetto a quello in programma al Theatre aveva un enorme vantaggio, che è anche la terza voce di questo elenco: il prezzo. Il live a Bresso, con due gruppi in più e un headliner storico (ok, le Girlschool, ma sono pur sempre in giro da trentacinque anni) costava poco più della metà dei 25€ invece richiesti per Peter e compagni. E venticinque euro (più eventuale tesseramento obbligatorio) per un concerto underground sono proprio tanti; c'è la crisi... Proseguendo, gli stessi gruppi si sono esibiti in terra italica la sera precedente, a Roma (totalizzando centosettanta presenze, a sentire le voci), cancellando così la possibilità di attirare qualcuno dalle regioni del centro Italia. In ultimo, e questa è molto semplicemente questione di Sfiga con la "S" maiuscola, l'evento cadeva in un giovedì di festa e di miracolato bel tempo dopo settimane di pioggia e/o gelo, tipico caso in cui il milanese coglie la palla al balzo e si allontana per il lungo weekend. Eppure, nonostante tutto, nemmeno io mi aspettavo così poca affluenza, e vedere il locale a tal punto impunemente vuoto mi ha rattristato, perché in fondo, guardiamo in faccia la realtà: i metallari italiani sono pochi, molti di quei pochi sono pure pigri, e ai concerti "minori" siamo sempre i soliti quattro stronzi.

Poco importa che il thrash/death, molto death e mediamente poco thrash, dei W.I.L.D. (ex Wild Karnivor) faccia la sua porca figura sul palco e che il quartetto d'oltralpe si sia speso con convinzione e dedizione nonostante l'inevitabile sconforto dato dall'esibirsi davanti alla sala vuota: il locale non si è riempito. Punto e basta. Eppure i poveri Francesi non si sono persi d'animo e hanno fatto la propria parte, aggiungendo anche una cover di "Slave New World" a metà esibizione, e per ripagare i due (due!) spettatori indefessi che hanno seguito l'intero show da sotto il palco, a fine esibizione sono arrivati a offrir loro una birra. Ah, il buon cuore dei metallari. Date un occhio, o meglio un orecchio, alla formazione di Lille, on stage hanno saputo dire la loro, e hanno accumulato abbastanza esperienza da saper comporre e registrare un album con tutti i crismi come il loro "Agony Of Indecision".

A seguire, ammetto di essermi perso gran parte dell'esibizione degli svedesi Sterbhaus, formazione che non conoscevo assolutamente e che con il primo paio di tracce non è riuscita a catturarmi, facendomi finire all'esterno a scartabellare i dischi della bancarella Punishment 18 (gradita sorpresa della serata) prima che il buon Corrado smontasse e tornasse a casa, visto che dei trenta presenti chi aveva qualcosa da comprare lo aveva già fatto. Per il quartetto di Stoccolma, quindi, mi spiace, ma non ho informazioni da dare, a parte dirvi che suonano thrash/death anche loro, canonico anzichenò, e si presentano sul palco discutibilmente pittati.

È però con il gruppo successivo che la serata prende il volo. I Melechesh, nonostante non abbiano nulla di nuovo da proporre ai propri fan da ormai tre anni, dal vivo sono sempre divertimento assicurato. Rispetto alle mie precedenti esperienze la formazione era rimaneggiata: il turnista al basso non era sicuramente Scorpios e non ho idea di chi fosse (perdonatemi), né Moloch era presente sul palco, si presume a causa della sua avversione ai tour, il che è un peccato, ma il giovane che ne ha fatto le veci, per quanto piuttosto statico (forse timoroso) ha svolto egregiamente le proprie funzioni. E Ashmedi, con il suo piglio perennemente incazzato, magari non bello, ma certamente con quel sapor mediorientale, non si è risparmiato nel pur poco tempo a sua disposizione. Il piri-piri molto poco fedaino della formazione Israeliana, sebbene di israeliano nel momento specifico ci fosse poco sul palco, mantiene gli specifici connotati arabeggianti e non può che divertire con il proprio particolarissimo sound. Poche parole, al di là della grama constatazione "heh, you're not that many", tanta musica: "Ladders To Sumeria", "Triangulr Tattvic Fire" e ovviamente le immancabili "Grand Gathas Of Bahal Sin" e il "piri-piri" per eccellenza, il singolone da classifica sumera "Rebirth Of The Nemesis" dall'ormai non più recentissimo "Emissaries". Proprio con questa hit danzereccia, seguita da un breve ringraziamento, Ashmedi e compagni ci salutano.

Stante la desolazione del luogo, ora che non c'è più nemmeno un banchetto di dischi con cui tenersi occupati, ringrazio Belzebù di avere uno smartphone da qualche settimana e commento i numeri della serata in diretta con i fedelissimi Mourning e Istrice. Inganno così il tempo fino a che le luci si abbassano di nuovo e parte un'intro registrata ad annunciare l'avvento del messaggero del Lato Oscuro per eccellenza. Come già chi li ha preceduti, nemmeno i Vader sono stati favorevolmente colpiti dalla (non) affluenza all'evento, ma nonostante la grama "portata" della serata l'inossidabile Peter non si è perso d'animo: "probabilmente abbiamo più canzoni noi da suonare di quanti siete voi qui stasera... meglio, così possiamo dedicarvene una ciascuno". Tra un brano e l'altro, un assolo e l'altro, una bestemmia e l'altra (una, in particolar modo, cantata quasi baritonalmente e in perfetto accento italiano), maestro Pietro ci porta a scuola per l'ennesima volta. La lezione odierna: come fottersene dei grossi numeri e regalare mazzate ai pochi venuti. Come sempre, aggiungete in calce.

Setlist non lunghissima questa volta, che contiene però un totale di brani che definire tritatutto è eufemistico, da "Black To The Blind" a "Fractal Light" a "Return To The Morbid Reich". Nonostante i numerosissimi cambi di formazione che hanno contraddistinto la creatura polacca nel suo trentennio di esistenza, il sound dei Vader è inconfondibile, così come altrettanto inconfondibili sono la voce e il materiale creato da Peter. Con l'annuncio di un nuovo lavoro in uscita all'inizio dell'anno prossimo, terminata un'ora scarsa di esibizione (stando alle scalette trovate online, concerto ben più breve del solito, ignoro per quale motivo) i quattro lasciano il palco sulle immancabili note della marcia imperiale di Guerre Stellari dopo aver regalato la solita prestazione maiuscola.

A questo punto rimane poco da fare, e con le orecchie distrutte e un po' di tristezza per le sorti concertistiche (e non solo) del nostro Paese, prendo la via di casa.

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LEFT FOR DEAD - Exit Humanity


Informazioni
Gruppo: Left For Dead
Titolo: Exit Humanity
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Nice To Eat You Records
Contatti: facebook.com/leftfordead.official
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro
2. Slut Slaughter
3. Left For Dead
4. Excesses
5. Blood Reigned Kingdom
6. Brain Rupture
7. Kill All Humans
8. Redeemed By Death
9. Drop Dead
10. Reverse Food Chain

DURATA: 38:10

Più passano gli anni, più la Germania si rivela essere una fucina death metal inesauribile. Infatti se negli anni Ottanta e Novanta era considerata la patria europea del thrash, dal 2000 in poi il suddetto genere ha ricevuto una spinta, un supporto e una iniezione di qualità non indifferenti in tutti i settori che lo compongono, la scena adesso è più viva che mai.

I Left For Dead sono un quartetto nel quale militano artisti che fanno, o hanno fatto, parte di formazioni come Cruel Experience, Bowtome, Scarification, Descent, Subsphere e Stormhunter e che non celano la propria passione per la brutalità da film horror e videogame. Il nome della band difatti è verosimilmente ricollegabile al gioco "Left 4 Dead", così come l'album ne ricorda l'immagine di copertina. Il titolo del disco invece, "Exit Humanity", è riconducibile alla pellicola del 2011 diretta da John Geddes.

I tedeschi riversano all'interno della loro musica la classica voglia deviata di mattanza, ritmiche serrate e l'incrocio vocale fra growl ed eventuali e quasi immancabili "suini" e "scarichi di lavandino", i quali partecipano al coro della non-morte che avanza. La miscela di suoni è esplosiva e conosciuta: Suffocation, vecchi Dying Fetus, Disgorge, Gorgasm, Beheaded. In poche parole lo sguardo è rivolto a una visione "old school" dello stile, dove per fortuna non trovano collocazione le continue "hyper-blastate" che hanno sì brutalizzato ulteriormente questo mondo, portando però con sé una "monotonia" di fondo difficilmente deviabile e che ha rovinato numerose uscite, ad esempio i Devourment ne sono stati malamente schiavizzati. E allora vai con "Slut Slaughter", "Blood Reign Kingdom", "Reedemed By Death" (il cui riffing concitato e adrenalinico ti fa smontare la testa a furia di "scapocciate"), "Kill Humans" e "Drop Dead", difforme concettualmente dalle altre per una tematica testuale "critica" della quale vi rendo partecipi estrapolandone uno stralcio:

Wannabe rockstars
Got Marshall towers up to the sky
Bigheaded Morons
Don't Talk To People Scum
Feeling great while entertaining
Redneck somewhere out in the sticks
You haven't created anything
Steeling together famous songs

Nobody's impressed, by your cheek
Nobody's impressed, Nobody's impressed

DROP DEAD, beer-tent heroes
DROP DEAD, roll up your capes and die.

Questa manciata di pezzi basta e avanza per far sì che l'ascolto di "Exit Humanity" con la sua corposa solidità e una discreta formula compositiva — non innovativa né personale, ma alquanto efficace — punti dritto al cuore degli appassionati delle carneficine in note. I Left For Dead rappresentano quel cliché che "ci piace" e che non smetteremmo mai d'inserire nello stereo, quella "prova" che pur avendola macinata e rimacinata, una volta reimmessa nel circolo uditivo cogli al volo e della quale godi senza porti problemi né chiederti il perché, lo fai e basta. Se fosse questo ciò che andate cercando, se fosse questo il nutrimento di cui avete bisogno per debellare la noia causata dalla routine giornaliera, beh, allora "Exit Humanity" farebbe proprio al caso vostro.

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CORPUS MORTALE - Fleshcraft


Informazioni
Gruppo: Corpus Mortale
Titolo: Fleshcraft
Anno: 2013
Provenienza: Danimarca
Etichetta: Deepsend Records
Contatti: facebook.com/corpusmortale
Autore: Mourning

Tracklist
1. Weakest Of The Weak
2. The Unwashed Horde
3. A Murderous Creed
4. Scorn Of The Earth
5. Love Lies Bleeding
6. Enthralled
7. Feasting Upon Souls
8. Crafted In Flesh
9. Tempt Not The Knife
10. Seize The Moment Of Murder

DURATA: 41:23

La Danimarca non è fra le nazioni più influenti nel mondo death metal, eppure possiamo citare buone band provenienti da là: chi non ricorda ad esempio Konkhra, Illdisposed, Exmortem e Panzerchrist? A queste è doveroso aggiungere i Corpus Mortale, anche se la creatura in questione è sempre stata più traballante del ponte di una nave in mezzo al mare in tempesta. Il nome gira ormai da vent'anni, il 1993 vide la loro nascita, il 1998 il debutto con "Spiritism" al quale — con scadenza quasi quinquennale — succedettero "With Lewd Demeanor" e "A New Species Of Deviant", tutti preceduti o intervallati da pubblicazioni demo ("Corpus Mortale" e "Sombre And Vile") ed ep ("Integration", "Succumb The Superior" e "Seize The Moment Of Murder").

Il numero di musicisti che ha preso parte alla maturazione di questo complesso a mo' di girandola è davvero elevato, la formazione del 2013 è così composta: Carlos Garcia Robles e Brian Eriksen alle sei corde (con il primo anche solista), Martin Rosendahl nel ruolo di bassista cantante e Danni Jelsgaard dietro le pelli. Gli artisti non hanno bisogno di grandi presentazioni, sono in giro ormai da tanto e hanno timbrato il cartellino in molteplici gruppi, passiamo quindi all'aspetto musicale, ciò che ci interessa di più.

"FleshCraft", il loro quarto episodio discografico, è uno di quei dischi che potresti descrivere utilizzando due parole: death metal. Perché farla così semplice? Perché i Corpus Mortale hanno puntato tutto su ciò che sanno fare meglio e quindi si sono rivolti alla sacrilega scuola floridiana di Morbid Angel, Deicide, Immolation e compagni di merende, dai quali sembrano avere ricevuto gli appunti di una vita, tirando fuori dieci tracce di monolitico, bastardo e cattivissimo death, che per corposità eccessiva e tendenza al non volere offrire attimi di tregua all'incauto ascoltatore rischia in qualche situazione di perdere il bandolo della matassa appiattendosi. Intendiamoci, la scaletta è talmente ricca di pugni in faccia che scegliere fra "Weakest Of The Weak", "Scorned Of The Earth" (del quale è stato realizzato anche un video ufficiale), "Love Lies Bleeding" o "Seize The Moment Of Murder" (brano ripescato dall'ep e che non comprendo per quale motivo non sia stato utilizzato nel precedente lavoro "A New Species Of Deviant") diviene complicato. Del resto il songwriting ha finalmente trovato quella consistenza e quell'efficacia che nel recente passato parevano latitare, con il growl potente di Martin a dare una mano alle canzoni per quanto concerne la profondità. Quello che manca è però la zampata vincente, quel pezzo, o per meglio dire pezzi, che elevano una buona prova a un livello superiore.

Si può considerare papabile l'acquisto di questo nuovo Corpus Mortale? Diamine sì! Se non ci fossero album come questi e stessimo in attesa dei soli capolavori, oggi elencabili a stento sulle dita di una mano, ci saremmo fermati a non so quanti anni fa. Invece è giusto avere in collezione dischi che rappresentano il genere puntando sulla sostanza solida come un mattone, e il detto "su i maccaruni ca inchiunu a panza" (sono i maccheroni che riempiono la pancia) pare adattarsi alla situazione che sta vivendo la realtà danese. Probabilmente non entrerà mai a far parte dei primi della classe, ma una volta chiamata in causa avrà sempre il suo bel che da dire.

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DUTCH UNCLES - Out Of Touch In The Wild

Informazioni
Gruppo: Dutch Uncles
Titolo: Out Of Touch In The Wild
Anno: 2013
Provenienza: Inghilterra
Contatti: facebook.com/dutchuncles
Autore: Mourning

Tracklist
1. Pondage
2. Bellio
3. Fester
4. Godboy
5. Threads
6. Flexxin
7. Zug Zwang
8. Phaedra
9. Nometo
10. Brio

DURATA: 37:27

I britannici Dutch Uncles non sono un nome nuovo per coloro che seguono con assiduità il movimento indie e la scia "popular" raffinata. I musicisti di Manchester sono già al terzo capitolo con "Out Of Touch In The Wild", che va ad affiancare in discografia il debutto omonimo rilasciato sotto Tapete Records e "Cadenza", prodotto dalla loro attuale etichetta, la Memphis Industries.

Quest'ultimo lavoro ci consegna una band ancora più matura e in grado di gestire le influenze che da tempo trascina con sé: il pregio/difetto del disco riguarda la presenza di caratteristiche ben inquadrabili come le atmosfere alla The Smiths, parti progressive che richiamano i King Crimson non poi così vagamente, sezioni di chitarra in stile Talk Talk e Talking Heads. Viene così generata una strana sensazione di ripetizione costante, mantenendo l'umore dei pezzi su una linea d'onda quasi retta. Perché ho parlato di un pregio/difetto? Ascoltando il disco in maniera disattenta o puramente di compagnia, si può essere ingannati e prendere sottogamba le capacità compositive ed espositive del gruppo inglese. Non peccano infatti di mancanza di personalità e, applicandovi, noterete come i brani siano arrangiati in maniera certosina e come ognuno di essi abbia racchiuso in sé una peculiarità che gli permette di distinguersi all'interno del lotto: che si tratti di uno sviluppo ritmico discontinuo in "Bellio" e "Threads", della brillante giovialità agrodolce di "Fester" (nella quale appare inaspettato il battere delle mani) o del vissuto anni Ottanta contenuto in "Nometo", la band riesce infatti a districarsi egregiamente, muovendosi in un terreno definibile sicuramente pop, ma più che mai distante dalle imposizioni del mercato discografico.

La scaletta di "Out Of Touch In The Wild" presenta un altro paio di canzoni degne di essere menzionate: la vivace ma delicata "Flexxin", che i più attenti avranno già avuto modo d'incrociare dato che è stata messa in download gratuito dai Dutch Uncles e scelta come secondo singolo (il primo era "Fester"), e "Godboy", probabilmente la traccia non più incisiva del lotto, in cui tuttavia si può riscontrare la presenza di tutti gli elementi che hanno sinora dato vita alla musica della formazione.

Posso quindi affermare che per nostra fortuna una parte di questo panorama musicale è ancora desideroso di ribellarsi, facendo sì che escano dei dischi interessanti, qualitativamente importanti e forniti di una eleganza che cozzerebbe palesemente con la visione da "bubble-gum music" che ha marchiato indelebilmente l'ambito pop: "Out Of Touch In The Wild" rientra a pieno merito in tale categoria, motivo per cui, una volta di più, trovo giusto dire "bravi" ai Dutch Uncles e consigliarvene l'ascolto.

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ARCHON - Ouroboros Collapsing


Informazioni
Gruppo: Archon
Titolo: Ouroboros Collapsing
Anno: 2013
Provenienza: New York City, NY, USA
Etichetta: The Path Less Traveled Records
Contatti: archondoom.com - facebook.com/archondoom
Autore: Bosj

Tracklist
1. Worthless
2. Desert Throne
3. God's Eye
4. Masks

DURATA: 47:20

DOOOOOOOOOOOOOOOM. L'unico pensiero coerente (?) che rimane dopo l'ascolto della seconda fatica degli Archon (della prima, "The Ruins At Dusk", potete leggere qui) è un'unica, semplice parola. Tonda, dal suono pieno, pregna di sfumature e angolazioni, indefinita eppure esaustiva. Perchè qui, signori, c'è una sintesi di un po' tutto quello che il doom ha proposto nelle ultime decadi, o quasi.

Nonostante i suoni pastosi e la produzione da scantinato, insieme più grande limite e innegabile pregio del disco, "Ouroboros Collapsing" è un album che prende e trascina con sé, giù, sempre più giù, nel ciclico vortice dell'Uroboro. Un lavoro in grado di citare, ma mai plagiare, di rimandare, ma mai copiare, e di sorprendere quando meno ce lo si aspetta. Si parte con una base sintetica, qualche nota lenta e cadenzata, sparuti colpi di rullante che fanno dell'apertura di "Worthless" uno dei momenti di maggiore pregio del lavoro tutto. I facili riferimenti agli Shape Of Despair però non devono ingannare, nemmeno quando la voce della brava Rachel Brown si erge a guida dell'ascoltatore con il suo cantato etereo e inafferrabile: questa è New York, e a New York niente è ciò che sembra, tutto si mesce e si ibrida.

Non devono quindi stupire, dopo un inizio atmosferico e al limite della darkwave, dieci minuti di riffing massiccio, cadenzato, claustrofobico. Alla voce della Brown, che in un battito di ciglia è passata ora a un tono graffiante ed esasperato, si aggiunge quella di Chris Dialogue, portatore di un growl pieno e profondo, e di etereo non è rimasto proprio nulla. Ciò che rimane è l'angoscia, è l'oscurità, ora amplificata da effetti e synth più cupi che mai. Con "Desert Throne" i tempi accelerano, dal funeral si passa allo sludge, a chitarre che ricordano da vicino ciò che sarebbe rimasto dei Neurosis di primi anni '90 la cui vena hardcore si fosse prosciugata. Eppure, anche qui, a brano avviato si torna a rallentare, stavolta per lanciarsi verso territori più psichedelici e classici, oserei dire "sabbathiani" (per quanto tale possa essere un disco la cui matrice resta funerea).

Proseguiamo e arriviamo al vero punto "weird", al momento "diverso" dell'album: dopo un'intro che tutto sommato è a questo punto lecito aspettarsi, "God's Eye" stupisce con un minuto di black metal, più o meno atmosferico, in cui la Brown urla e strilla a più non posso, seguita da un blast-beat (sì, un blast-beat, e sì, è lo stesso disco che partiva poco più di venti minuti fa con echi di funeral doom finlandese ben marcati) e riff da fare invidia a Satyr e Fenriz... o almeno così mi piace pensare, visto che la produzione pecca maggiormente proprio in questo passaggio, com'è naturale aspettarsi, essendo il più concitato dell'intero album. E poi è di nuovo psichedelia, rallentamenti, voci pulite femminili alternate a growl e roche strilla. "Masks", per raggiungere la quadratura del cerchio, torna a rallentare, e arriva, dopo dodici e più minuti di bordoni, effetti e controeffetti, a chiudere il collasso dell'Uroboro con la voce pulita della Brown ad accompagnare l'ultima nota.

Andrew Jude, principale compositore della formazione newyorkese, merita un plauso: il lavoro di scrittura dei brani è ottimo e ben lungi dalle tipiche pesantezze monolitiche che ci si aspetta quando ci si confronta con un disco di quattro tracce da quasi cinquanta minuti. Rivedibile, o più correttamente migliorabile, il lavoro di produzione, ad opera dello stesso Jude e di Nikhil Kamineni (secondo chitarrista), ma la qualità del lotto è indiscutibile ed elevatissima.

Dalla Grande Mela, un mix di sensazioni, di stili e di correnti, tutte facenti capo a un genere definito e intramontabile. DOOOOOOOOOOOOOOOM.

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HALLIG - 13 Keys To Lunacy


Informazioni
Gruppo: Hallig
Titolo: 13 Keys To Lunacy
Anno: 2012
Provenienza: Germania
Etichetta: Folter Records
Contatti: facebook.com/hallighorde
Autore: Mourning

Tracklist
1. If I Am The Storm
2. Hadaler Traum
3. Reinvigoration
4. Am Firmament
5. Epiphany
6. Nichts Als Stille
7. Unter Menschen
8. 13 Keys

DURATA: 49:01

Dei tedeschi Hallig si hanno ben poche notizie, la formazione proveniente dalla zona della Ruhr è entrata a far parte del roster dell'etichetta connazionale Folter Records che ha a sua volta pubblicato sul finire del 2012 il debutto "13 Keys To Lunacy". Il black proposto dal gruppo è alquanto vario e in grado di combinare le pulsioni emotive rudi e minacciose dell'ambito "raw" con melodie che trasportano un fascino, e in alcuni casi anche una dose di fierezza, che riconduce a sensazioni affini al mondo pagan. In tal senso è esplicativa l'esposizione offerta dal pezzo d'apertura "If I Am The Storm", nel quale appare anche la voce pulita, magari non digeribile in toto di primo acchito, ma che dopo un paio di passaggi nello stereo potrete trovare alquanto indovinata.

Se dovessi fornirvi dei nomi di riferimento, potreste immaginare la Norvegia dei vecchi Satyricon e dei primi Emperor che si fonde con i Nagelfar, tenete però conto che gli Hallig possiedono una discreta abilità nel districarsi in ciò che è stato quel mondo senza divenirne una mera e scadente copia. In "13 Keys To Lunacy" sono contenuti episodi pregevoli come "Hadaler Traum" e "Am Firmament" che, pur essendo in possesso di atmosfere e sonorità riconducibili a quell'era, mantengono una genuinità d'intento e una carica atmosferica densa di malinconia intriganti. Quest'ultima dote si fa largo a più riprese in "Epiphany", la canzone è armoniosa e struggente anche nei momenti in cui la batteria diviene particolarmente serrata.

Le scelte adottate dai musicisti sono grezze quanto basta, i Nostri non perdono mai di vista l'obbiettivo di attrarre l'ascoltatore, affidandosi a interessanti soluzioni decisamente fruibili e accattivanti , "Nicht Als Stille" n'è l'ennesima riprova, mentre la conclusiva "13 Keys" evidenzia alcune sfaccettature compositive lievemente orientate alla scena "post" odierna, a testimonianza del fatto che il gruppo tende a non fossilizzarsi. Questo aspetto è per me positivo in vista dei lavori che verranno prodotti in futuro, poiché si percepisce che le idee non mancano e dato che le qualità per metterle in pratica ci sono, vedremo poi cosa verrà fuori.

Al momento il minimo che possa fare è consigliarvi di prendere in considerazione "13 Keys To Lunacy", il disco possiede qualche piccola pecca, però nulla che possa intaccare in maniera grave una prima prova di buon valore. Questi tedeschi sono decisamente da tenere d'occhio.

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EARLY GRAVES - Red Horse

Informazioni
Gruppo: Early Graves
Titolo: Red Horse
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: No Sleep Records
Contatti: facebook.com/earlygraves
Autore: Mourning

Tracklist
1. Skinwalker
2. Misery
3. Days Grow Cold
4. Red Horse
5. Apocalyptic Nights
6. Death Obsessed
7. Pure Hell
8. Quietus

DURATA: 32:43

I californiani Early Graves hanno passato un periodaccio, la morte del cantante Makh Daniels avvenuta in un incidente con il furgone che stavano utilizzando per il tour fu una botta di quelle pesanti da superare. La scelta di continuare il proprio percorso artistico e farlo con l'ingresso in formazione di John Strachan dei Funeral Pyre, loro amico e anch'egli al tempo coinvolto in quel tragico evento, sul finire del 2012 ha dato vita alla terza uscita intitolata "Red Horse".

Gli statunitensi sono sempre stati incazzati e violenti, nei lavori precedenti però non vi era la presenza-strascico che fa capolino in quest'ultimo: nell'assemblaggio hardcore/crust/death si percepiscono una vena — neanche tanto sottile — di malinconia e un grigiore probabilmente affiorati per colpa della triste vicenda che ne ha rafforzato il legame di band. Una band che comunque continua a menare e tirare fuori la propria rabbia in maniera decisa, attraverso una combinazione impazzita di Entombed, Carcass, Disfear, Martyrdöd, Napalm Death, Tragedy e His Hero Is Gone. Sì, lo so, i nomi chiamati in causa sono tanti, ma sono lì esclusivamente in qualità di "riferimento", perché stavolta gli Early Graves hanno riversato nel loro lavoro carattere e personalità non indifferenti. Le mazzate sono profuse con volontà piena di centrare il bersaglio in "Misery", "Apocalyptic Nights" e "Pure Hell", inglobate in una scaletta che in varie circostanze lascia trasparire inquietudine e la voglia di andare oltre i "pugni dritti in pieno volto". Ce lo confermano l'introduzione di chitarra pulita del pezzo d'apertura "Skinwalker" (tutt'altro che considerabile "permissivo" nel suo incedere massiccio e fornito di un ottimo lavoro del batterista Dan Sneddon), la conclusione acustica dai toni scuri e concilianti di "Days Grow Cold" e l'ossessionante intensità "allentata" che prende piede in "Death Obssessed".

Il disco scorre bene, non perde mai di vista il suo obbiettivo, raggiungendolo facilmente. È adrenalina pura e in quanto tale sino all'ultimo non si risparmia, spinge e continua a farlo, tanto che "Quietus", la canzone posta in coda, possiede una carica niente male nonostante la sua durata ben al di sopra della media delle altre tracce, in questo caso è la buonissima prova dei chitarristi Chris Brock e Tyler Jensen — abili nell'affinarne il contenuto melodico — a renderla una delle "hit" di "Red Horse". La ruota gira e nel verso giusto, la produzione scelta è meno appariscente e lucida al cospetto di quella che caratterizzava "Goner", mentre dietro al microfono va segnalato il debutto affascinante di John. Ho letto girando per la rete che per certi versi è stato paragonato a Jacob Bannon dei Converge e JR Hayes dei Pig Destroyer, non che non sia vero, personalmente però ho riscontrato anche dei tratti similari al Tompa dei Disfear di "Misanthropic Generation", il che è piacevole all'udito, molto piacevole.

Sinceramente non posso che consigliare l'acquisto di un album come "Red Horse", è la migliore ripartenza che ci si potesse attendere da questi ragazzi dopo aver sfiorato l'inferno, perdere un amico e un compagno d'avventura non è una cosa semplice da assimilare e probabilmente non ci saranno ancora riusciti, in fondo chi lo sa se non loro? Ciò che invece so, è che la musica suona, si esprime ed emoziona come non mai, per questo mi ha convinto ad acquistare "Red Horse" e a condividere con voi un parere indiscutibilmente positivo su quello che gli Early Graves hanno realizzato. Non mi resta che far loro un grosso in bocca al lupo, continuate così!

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DEFIANT - Era Of Substitution


Informazioni
Gruppo: Defiant
Titolo: Era Of Substitution
Anno: 2012
Provenienza: Croazia
Etichetta: Grom Records
Contatti: facebook.com/defiant.croatia
Autore: Mourning

Tracklist
1. Gates Of Lunacy
2. Awaken, Red Tree
3. Creed Of Anansi
4. Ishtars Womb
5. Ruins
6. Assemble All Legion
7. Leviathan Rising
8. 7 Of 9
9. Emperor
10. Behind Space [cover In Flames]

DURATA: 33:08

I croati Defiant erano per me degli sconosciuti, pur essendo in giro da quasi una decade e avendo già pubblicato un album intitolato "The End Of Beginning" nel 2006 e un promo nel 2008, non erano mai giunti al mio orecchio, sino a quando sul finire del 2012 non ho ascoltato "Era Of Substitution". A quanto sembra nel corso degli anni vi è stata una vera e proprio rivoluzione all'interno della formazione, dei membri fondatori è infatti rimasto il solo Kristijan Krpan (chitarra), al quale nel 2011 si sono uniti i tre musicisti che odiernamente danno vita alla band, parlo di Filip Mihoci (voce e chitarra), Mislav Gojo (basso) e Leonardo Markovic (batteria). Questo è il quartetto che ha prodotto il secondo lavoro in studio.

Cosa suonano? Il solo tirare in ballo il death melodico a molti darà noia, ancor più al giorno d'oggi, un periodo nel quale è sinonimo di ibridi banalissimi incrociati con il metalcore e sono sin troppe le produzioni figlie dei peggiori stampi industriali. No, i Defiant per nostra fortuna non appartengono a quest'ultima razza, il loro modo di presentarsi ed esporsi è in fondo legato a una visione molto anni Novanta e che, pur apprezzando lo stile che ha fornito un'identità propria alla scena proveniente da Gothenburg (in questo caso gruppi come At The Gates e In Flames), non ne è succube, anzi in certi momenti s'inasprisce talmente tanto da ricordare la violenza di The Crown e Impious. Azzardando potrei citare anche l'intrusione di alcuni elementi oltreoceanici che tendono a inscurire e aumentare la bastardaggine di pezzi come "Creed Of Anansi" e "Leviathan Rising".

Il disco non è male, oltre alle tracce già tirate in ballo vi sono almeno tre episodi ("Gates Of Lunacy", "Ruins" e "7 Of 9") che portano acqua al mulino dei Defiant, così come del resto è discreta la cover di "Behind Space" (pezzo d'apertura di "Lunar Strain", riportato a nuova vita dagli scandinavi in "Colony"), una delle canzoni più note di Anders Friden e soci che nulla toglie né aggiunge a una prestazione ordinata e gradevole, però priva di picchi qualitativi che facciano davvero la differenza. Sì, la sensazione che "Era Of Substitution" scuota la situazione, ma non la percuota a dovere, rimane intatta anche dopo averlo ascoltato più volte. C'è uno strato di "piattume" che non si stacca, che non permette ai brani di decollare del tutto e quindi pur elogiandone le buone intenzioni l'album rimane un diversivo, gradevole, eppure unicamente da compagnia estemporanea.

I Defiant hanno delle basi di partenza abbastanza solide, devono però impegnarsi a fornire alla forma canzone una varietà sin qui assente ingiustificata, la linearità con la quale inanellano alcuni fraseggi frena la proposta come fosse un limite, che in fin dei conti non dovrebbe poi essere complicatissimo oltrepassare. Solo in un prossimo futuro quindi potremo avere una definitiva conferma sulla validità del loro operato. Augurandoci che riescano a trovare il meccanismo adatto che permetta di valicare l'ostacolo, concedetevi un ascolto di "Era Of Substitution".

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SOULSTORM - No Way Out


Informazioni
Gruppo: Soulstorm
Titolo: No Way Out
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/soulstormofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Wrong Way Pt1
2. Son Of Hycarus
3. Last Dusk
4. Vitruvian Man
5. Her Taste
6. Wrong Way Pt2

DURATA: 33:06

I vicentini Soulstorm sembrano ancora in fase da "lavori in corso". La formazione dedita a un metal di forma melodica e progressiva ha rilasciato nel 2012 il primo ep "No Way Out" contenente sei canzoni che, se prese in considerazione per quanto concerne l'aspetto canonico e il rispetto del canovaccio delle correnti stilistiche a cui si rifanno, evidenziano una buona preparazione tecnico-compositiva, internamente però risaltano un paio di mancanze che non fanno decollare del tutto la prova.

Personalmente ho trovato piacevole l'esposizione dei pezzi sia per scelte di suoni che per l'impostazione dinamico-ritmica in loro possesso, è comunque palese che l'influenza dei Dream Theater sia a dir poco pressante, che le tastiere — e non solo loro — portino frequentemente a galla il nome Symphony X e in più di una circostanza, limitandomi a citare esclusivamente un'altra band, pare vi siano anche echi degli Elegy con Ian Parry. Sia chiaro che non c'è nulla di male in tutto ciò, le basi sono importanti, ben piantate nel terreno e i brani, sfoderando una prestazione che si divide fra frangenti nei quali la melodia è imperante e attimi in cui la band si concede delle salutari vivacizzazioni, quasi a sfogarsi dopo tanta dolcezza, mi hanno fatto apprezzare il loro approccio sì derivativo, ma vigorosamente delicato.

I musicisti, oltre a tener conto dell'ambito legato alle note, hanno tenuto in più che discreta considerazione anche ciò che riguarda la tensione e l'umore da conferire alle canzoni: "Son Of Hycarus" in tal senso è forse l'episodio più rappresentativo, data la sua natura cangiante. Il cantato invece soffre leggermente la pronuncia imperfetta di Alessandro Ceron, tuttavia questo è un dettaglio che può essere corretto in corsa. È il complesso la forza della band ed è da questo buon lavoro di squadra che si deve ripartire per dare vita al debutto, che sono certo ci proporrà una versione più matura, e mi auguro anche più sfacciata dal punto di vista della personalità messa in gioco, dei Soulstorm.

Questi ragazzi sono una promessa che attende di essere onorata e non posso che sperare in una conferma a breve termine che li tramuti a tutti gli effetti in una realtà sulla quale poter fare pieno affidamento. Attendendo che ciò avvenga, vi invito a dare una chance a "No Way Out".

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深山 (DEEP MOUNTAINS) - 深山 (Deep Mountains)

Informazioni
Gruppo: 深山 (Deep Mountains)
Titolo: 深山 (Deep Mountains)
Anno: 2010
Provenienza: Tai'An, Cina
Etichetta: Pest Productions
Contatti: pestproductions.bandcamp.com/album/deep-mountains
Autore: LordPist

Tracklit
1. 序曲•思雨 (Overture – Desiderare La Pioggia)
2. 山魂 (L'Anima Della Montagna)
3. 远山 (Monti Lontani)
4. 松林赋 (Ode Ai Pini)
5. 夜之蔓延 (L'Estendersi Della Notte)
6. 天葬 (Sepoltura Celeste) [traccia bonus]

DURATA 44:21

Tra i nomi più in vista del panorama metal degli ultimi quindici anni, è difficile non menzionare gli Agalloch. Formazione insolitamente nordamericana per l'epoca e gli stili di riferimento, che ha man mano esteso la propria influenza in tutto il mondo e in più di un genere. Sono tanti i progetti che per un motivo o per un altro hanno da ringraziare il quartetto di Portland, Oregon: vengono in mente The Morningside, Gallowbraid, Fen e tantissimi altri.

Il caso più curioso è secondo me la band cinese 深山 (shēnshān, che usa come nome internazionale Deep Mountains), originaria dello Shandong e attualmente sotto contratto con la più grande etichetta metal indipendente in Cina, la Pest Productions. Gli 深山 hanno pubblicato il loro primo EP, omonimo, nel 2010, e hanno rapidamente raccolto giudizi positivi sulla propria opera. Ciò che rende particolare la proposta è il ritorno a una corrente di pensiero riconoscibilmente cinese quale è il taoismo, come se quest'ultimo fosse rientrato nel discorso locale usando come veicolo uno strumento straniero come il black metal.

La città in cui si è formato il gruppo è Tai'an, nota per la sua vicinanza al monte Tai, una delle montagne sacre della religione taoista. La copertina del disco è il dipinto di un paesaggio montuoso con la tecnica tradizionale a inchiostro nero, il nome della band è scritto in corsivo proprio alla maniera delle opere di calligrafia sui rotoli tradizionali. Anche gli 深山 propongono un black metal molto variegato, con elementi folk, rallentamenti, influenze post-rock, a dimostrazione che hanno ascoltato bene le loro controparti straniere. I testi sono tutti cantati in cinese e pongono l'accento sugli scenari naturali dell'area, come in questi versi tratti da 松林賦 ("Ode Ai Pini"): "归鸟唱晚,夜风微寒,泰山北麓,松林黑暗,魂游山间,不觉影单" ("Gli uccelli cantano fino a sera, il vento notturno [soffia] freddo, sul versante settentrionale del monte Tai, all'ombra del bosco di pini, l'anima viaggia attraverso la montagna, non consapevole della solitudine").

Per quanto l'influenza del sound agallochiano (e derivati) sia innegabile ed evidente, siamo tuttavia di fronte a uno dei dischi più interessanti della crescente scena black metal cinese. La maggiore influenza locale, invece, è probabilmente Zuriaake, il nome all'origine del suono black metal cinese (decisamente più vicino al depressive). La differenza, in questo caso, è che il paesaggio è più portatore di grandeur spirituale che teatro di dolorose riflessioni (che comunque non mancano). Pur trattandosi del primo EP — ascoltabile e acquistabile su Bandcamp — "深山" è un lavoro già abbastanza maturo e personale, che lascia presagire buone cose per il futuro.

Il gruppo è attualmente al lavoro sul primo LP che, stando alla Pest Productions, dovrebbe essere pubblicato nella seconda metà di quest'anno, naturalmente saremo pronti a parlarvene non appena sarà possibile.

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ASOFY - Percezione


Informazioni
Gruppo: Asofy
Titolo: Percezione
Anno: 2013
Provenienza: Milano, Lombardia, Italia
Etichetta: Avantgarde Music
Contatti: diramazioni.it/asofy
Autore: Bosj

Tracklist
1. Luminosità
2. Saturazione
3. Ombra
4. Oscurità

DURATA: 48:08

Questo è il mio primo contatto con la creatura Asofy, a lungo progetto solista del milanese Tryfar, oggi duo grazie all'aggiunta del paroliere e cantante Empio, ed è un contatto foriero di sensazioni diverse. Dopo qualche anno di silenzio, il nome Asofy si riaffaccia quindi sul mondo: con quattro tracce per quasi cinquanta minuti di musica, "Percezione" è un disco ambizioso, la cui idea alla base è indubbiamente intrigante e potenzialmente di sicuro interesse, ma che in alcuni frangenti non riesce a mio avviso a raggiungere l'obiettivo propostosi.

Anzitutto, sia dalle descrizioni ufficiali sia dagli elementi del disco stesso, è facile intuire come l'insieme dei brani si ponga dinanzi all'ascoltatore con un piglio intimista, particolarmente improntato alla sfera sensoriale, segnatamente a quella visiva: se però è facile intuire come il viaggio che è l'ascolto di "Percezione" si preponga di trascinare l'ascoltatore in un vortice verso il basso, il nero e l'assenza di luce, meno spontaneo è riconoscere questo genere di sensazioni ascoltando il lavoro di Tryfar ed Empio. L'umore che permea il poker di composizioni non riesce a incidere quanto vorrebbe, poiché il ritmo, le atmosfere, i suoni con cui il disco inizia, sono gli stessi con cui finisce. Il che, in un climax concettuale, solitamente non è un buon segno.

La musica, molto estraniante e orientata alla prevalenza chitarristica, si fa forte di scambi e passaggi tra riff al limite del blackgaze e note ripetute e ripetute da una sei corde acustica sommessa e alienata; il risultato finale è un black in costante downtempo (tolta una lieve accelerazione in "Saturazione", l'eccezione che conferma la regola) che strizza un occhio, se non due, alle contaminazioni più doom e cadenzate, lontanissimo dai lidi maggiormenteestremi del genere, bensì orientato verso terre molto più urbane e "calde". Il clima è molto "piacevole" (le virgolette sono d'obbligo, visto il genere in questione), tuttavia la poca varietà mina la possibilità di goderne per tutti i quarantotto minuti che compongono l'album.

Alle linee musicali si aggiunge la variegata interpretazione di Empio dietro al microfono: i suoi sussurri e l'alternanza tra questi e roche urla forniscono al lavoro un'indubbia personalità fondata sul forte contrasto, quasi dissonanza, tra il piano vocale e quello strumentale. Il rischio della decontestualizzazione è però dietro l'angolo: se le linee musicali sono mediamente omogenee per tutta la durata del disco, mentre quelle vocali variano più o meno regolarmente, risalire alla ratio, al criterio di scelta operato dai due musicisti per approdare a queste soluzioni è piuttosto ostico. Per farla breve, viene da chiedersi: "perché ora sussurra e ora invece urla?" Per rispondere a questa domanda indubbiamente farebbe comodo avere i testi (tutti in italiano, e quella della lingua madre è come sempre scelta azzeccatissima quando si vuole puntare a una maggiore empatia) delle quattro tracce sott'occhio, per poter seguire il viaggio che Empio ci racconta con maggior cognizione di causa.

Condensare in una frase finale lo spettro di sensazioni collegato agli Asofy è impossibile: il duo nostrano ha personalità, e si è lanciato in un ostico percorso di autodeterminazione e affermazione personale. Il risultato è ancora lungi dall'essere perfetto, ma il solo mettersi in gioco in maniera tanto particolare, non cercando rifugio nei soliti canoni ormai triti e ritriti, merita una possibilità.

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SAWHILL SACRIFICE - Deus Humana Satanas


Informazioni
Gruppo: Sawhill Sacrifice
Titolo. Deus Humana Satanas
Anno: 2013
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Violent Journey Records
Contatti: facebook.com/SawhillSacrifice
Autore: Mourning

Tracklist
1. Void
2. Unhola
3. Wendigo
4. God In Man
5. Slow Black Rain
6. Great Ones
7. Solution

DURATA: 41:29

I Sawhill Sacrifice sono finlandesi? Probabilmente soltanto di nascita, infatti ascoltando il debutto del quintetto sembra proprio che le melodie svedesi e le velocità con le quali affettano l'aria o la diluiscono, trasportando con sé quell'inquietudine oscura cara agli anni Novanta dei soliti noti (in primis i Dark Funeral), siano un riferimento poi non così occasionale. La proposta è condita da sferzate di thrash grezzo e lascia poco all'immaginazione, puntando il proprio bersaglio in maniera diretta e avventandovisi contro con una pressione ritmica costantemente elevata.

I due brani posti in apertura, "Void" e "Unhola", sono due mazzate serratissime alle quali ne segue una terza, "Wendigo", pronta ad annichilirvi in modo non poi così difforme da quanto presentato sino a quel momento, ma raggiungendo comunque lo scopo utilizzando blast beat all'impazzata e sfoderando improvvisamente un'apertura nera e magniloquente prima che la carica conclusiva riprenda la marcia travolgente abbandonata in antecedenza. Mi ero ormai convinto che di pause non me ne sarebbero state concesse, invece ecco "God In Man" che mostra l'altra faccia della medaglia. Il pezzo allenta la morsa, non del tutto sia chiaro, però la frenesia viene in parte accantonata dando spazio a una concentrazione atmosferica maggiormente densa, aspetto che in parte viene mostrato in eguale maniera nella successiva "Slow Black Rain", densa e soffocante, la canzone che possiede il miglior equilibrio caratteriale e mette pienamente in risalto il buon lavoro strumentale svolto dal gruppo.

È veramente piacevole poter udire chiaramente le linee di basso di B. Bogdanowitch, apprezzare le ripartenze scandite dalla batteria di Lima, il riffato di Brutal Bloodblade e Mandarax che, nella sua natura inequivocabilmente nota, riesce comunque a mantenere viva e interessante un'ambientazione sonora nella quale la voce di Thimns si destreggia con più che discreta resa, utilizzando sia lo scream classicamente black sia un growl profondo e scuro.

Con "Great Ones" e "Solution" i Sawhill Sacrifice chiudono un cerchio privo al tempo stesso di eccellenze e di sbavature, consegnandoci un "Deus Humana Satanas" fornito di una produzione accurata e che vi invito a prendere in considerazione qualora siate fra gli adoratori della scena scandinava che ama tenere il piede schiacciato sull'acceleratore.

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IRON REAGAN - Demo 2012


Informazioni
Gruppo: Iron Reagan
Titolo: Demo 2012
Anno: 2012
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: autoprodotto
Contatti: ironreagan.bandcamp.com
Autore: ticino1

Tracklist
1. Paycheck
2. Eat Shit And Live
3. Artificial Saints
4. Running Out Of Time

DURATA: 05:04

È dura, davvero dura redigere una recensione riguardo un lavoro che dura poco più di cinque minuti... chi sarà più veloce? Loro oppure io?

Ci troviamo nel settore scatenato dell'hardcore brutale di scuola nuovaiorchese. Gli Iron Reagan arrivano però dalla Virginia, Richmond per essere precisi... già a questo punto ho perso la corsa con il gruppo, il primo passaggio del demo è terminato. La voce ricorda un poco Mr Connelly dei Nuclear Assault, mentre le scale rammentano a volte Agnostic Front e soci. Compromessi potrete cercarli finché ne volete, non ne troverete. Accenni metallici decorano le canzoni corte e veloci che potrebbero essere anche nate dalle menti dei N.Y.C. Mayhem.

Critica corta e veloce come il lavoro trattato. Gli Iron Reagan non hanno inventato l'acqua calda, ma sanno divertire con il loro stile schietto e diretto. Aspetterò l'uscita di un disco più lungo per verificare le mie affermazioni.

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BLACK CAPRICORN - Born Under The Capricorn


Informazioni
Gruppo: Black Capricorn
Titolo: Born Under The Capricorn
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Stone Stallion Rex / Voice Of Azram
Contatti: facebook.com/BlackCapricorn666 - soundcloud.com/black-capricorn
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Tropic Of Capricorn
2. Born Under The Capricorn
3. Capricornica
4. Double Star Goatfish
5. Scream Of Pan

DURATA: 41:47

Sono ormai passati due anni da quando un quintetto di musicisti cagliaritani, i Black Capricorn, debuttò con un buon album autotitolato e ora è con vero piacere che posso parlarvi del successore "Born Under The Capricorn". Anche nel caso non si conoscesse minimamente la band in questione, chiunque fosse anche solo vagamente pratico di un certo tipo di sonorità potrebbe già facilmente, considerando il mero lato estetico, legare il prodotto in questione ad una precisa corrente stilistica.

Passando poi al vero e proprio contenuto musicale, il legame di cui sopra diverrebbe palese: "Tropic Of Capricorn" e "Capricornica" sono infatti saturate da un riffing di natura sabbathiana, sì, ma terribilmente scuro, ossessivo e misterico, a cui è semplice accostare gli Electric Wizard e l'occultismo suadente sprigionato dalle vecchie registrazioni di gente come Coven e Black Widow. Ciò che percepiamo e sentiamo insinuarsi nel cervello è la pesantezza di una sinistra inclinazione esotericamente avvolgente, è il suono del giro di cardini arrugginiti che aprono cancelli conducenti a nere gole infernali scavate nelle viscere della terra, attraenti squarci in cui si annidano demoni di ogni sorta.

La lunga "Born Under The Capricorn", invece, ci ammalia con contorni psichedelici, con un Doom contaminato dalle esperienze astrali degli Hawkwind, un Doom che si ripiega circolarmente su se stesso dal momento che, tramite enfatici intrecci acustico/elettrici e orgasmiche divagazioni indiscutibilmente settantiane, i nostri riescono a confezionare uno splendido pezzo di più di un quarto d'ora ricolmo di atmosfere deviate, viaggi oscuri e squisito classicismo senza mai annoiare, bensì coinvolgendo profondamente ogni tormentato brandello di intelletto, ogni estasiata briciola di anima. Il disco viene poi concluso da "Double Star Goatfish" e "Scream Of Pan", pezzi in cui, al di sotto di un fitto strato di Doom oppressivo e acidità, si insinua una componente quasi rabbiosa: provate a immaginare un insano connubio tra le percezioni aggressive dei Celtic Frost, certe movenze tipiche del Doom nostrano a tinte Dark (Paul Chain e Black Hole, per esempio) e la pesantezza dei Cathedral.

Siete già alla ricerca di fazzoletti con cui rimediare ai danni che la vostra eccitazione ha appena provocato? Bene, è giusto che sià così! "Born Under The Capricorn" è una prova splendida che si muove benissimo in ogni momento, è un disco molto maturo in cui anche la voce — nonostante non si faccia sentire moltissimo, immagino in virtù di una scelta precisa tendente a lasciare più spazio alla devianza avvolgente dello sviluppo atmosferico — graffia e corrode, alimentando il tasso emotivo della proposta e ricordando, a volte, un Lemmy in versione demoniaca.

Questi musicisti nostrani dimostrano un'ottima dose di personalità nell'amalgamare il più sfrenato e oscuro (e, mai mi stancherò di dirlo, meraviglioso) classicismo settantiano con una languida muscolarità Stoner/Doom: il risultato, ovviamente, oltre che suonare ben ispirato, è più che convincente su tutta la linea.

Piccola nota a margine: "Born Under The Capricorn" è disponibile soltanto in vinile limitato a trecento copie e, credetemi, lasciarselo scappare sarebbe davvero un gran peccato. Orsù, dunque, amanti del Doom, amanti dell'occultismo, amanti del rock nero Anni Settanta, amanti della bestia con le corna, correte a stuzzicare le vostre infernali fantasie con i Black Capricorn!

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EL TERCER SEMESTRE - Tender Tropic

Informazioni
Gruppo: El Tercer Semestre
Titolo: Tender Tropic
Anno: 2013
Provenienza: Spagna
Etichetta: Aloud Music
Contatti: facebook.com/eltercersemestre
Autore: Mourning

Tracklist
1. Ratalan
2. Manuel
3. Tropicat
4. Flowers
5. Felix Millet
6. Obsolescencia

DURATA: 22:03

La spagnola Aloud Music continua a puntare sul rock perlopiù strumentale: nuova uscita e nuova scoperta affascinante, stavolta è il turno degli El Tercer Semestre. Il trio proveniente da Sabadell nel mini "Tender Tropic" suona un rock che trovo difficile inserire all'interno di un panorama specifico, è contaminato da venature alternative, math, post e progressive e presenta una dose elevata di melodie che nutrono il riffato, frequentemente ciclico e ossessivo.

Brani come "Ratalan" — unico nel quale è presente la voce, che ripete la frase "there's anybody takes care of me" — e il terzo "Tropicat" alternano un feeling acustico ampio a sortite in elettrico, inchiodandosi nel cervello, mentre lo svolgimento quasi ilare di "Flowers" lascia un sorriso stampato in viso, così come avviene nei frangenti più animati, folkloristici e nella stravagante citazione di "Eye Of The Tiger" dei Survivor insita nella vivace "Obsolescencia", la quale conclude questo breve, ma piacevole, viaggio in loro compagnia. Ciascuno di essi invita a premere nuovamente il tasto "play".

Gli El Tercer Semestre sono divertenti, rilassanti e alleggeriscono in maniera gradevole le tensioni durante una giornata andata storta, provate quindi a dar loro una possibilità, iniziando ad ascoltarli sul loro Bandcamp e chissà che da cosa non nasca cosa, arrivando all'acquisto di "Tender Tropic".

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MINDWORK - Eterea


Informazioni
Gruppo: Mindwork
Titolo: Eterea
Anno: 2012
Provenienza: Repubblica Ceca
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/mindwork
Autore: Mourning

Tracklist
1. Enter Eterea
2. Perceiving The Reality
3. The Stream Of Causality
4. Mind Renewal
5. Causality (The Reconciliation)
6. Reaping Of Waters
7. Stillness Of The Sea
8. Enthusiastic Waves
9. Eterea Collapse

DURATA: 45:11

I cechi Mindwork sono una delle tante scoperte fatte grazie ad Aristocrazia, nel 2010 ebbi il piacere di scrivere del loro debutto "Into The Swirl" in ritardo di un anno dall'uscita originale avvenuta nel 2009, mentre in questo 2013, sempre con lieve ritardo, mi trovo fra le mani il secondo capitolo "Eterea" rilasciato sul finire del 2012. La formazione è divenuta un trio, infatti dopo l'uscita del secondo chitarrista David Vaník — sostituito sul momento da Jan Tölg — Martin Schuster (voce, chitarra e tastiere), Adam Palma (basso) e Filip Kittnar (batteria) hanno continuato a modellare le proprie composizioni non aggiungendo nessun altro elemento all'interno del contesto. La risultante di questi tre anni di lavoro è racchiusa in un disco che ci consegna una versione della band progredita, tecnicamente affinata e ancora più varia nelle influenze.

Se "Into The Swirl" aveva in sé forti reminiscenze della fase evolutiva del sound dei Death di Schuldiner, con i Cynic e gli Opeth a fare da contorno, questo nuovo album ha percorso e progressivamente ampliato quell'orizzonte, facendo confluire nei brani oltre agli ultimi due nomi citati anche varianti di stampo Atheist, l'intimità malinconica di gente come Riverside, Anathema e Katatonia, inserendo in brevi occasioni anche situazioni sonore che potrebbero portare alla mente le creature in cui è presente Maynard James Keenan, fornendo così anche un tocco di "alternative" alla proposta.

La visione prog della musica contenuta in "Eterea" si avvale sia di una componente strumentale solida e dinamicamente ineccepibile che di una emotiva affascinante e suadente, ciò rende la scaletta particolarmente appetibile per coloro che vanno alla ricerca di prestazioni multisfaccettate. Prendete ad esempio il fascino delicato di "Enter Eterea" e "The Stream Of Casuality", con quest'ultima adornata da una solistica di stampo jazz, così come del resto lo è la compagna "Mind Renewal", il filtrare delle dolci note del piano e il vibrare del fretless in "Causality (The Reconciliation)". Oppure considerate l'abilità nell'indurire lo scenario di una "Reaping Waters" costantemente caratterizzata dal cantato sporco di Martin o al contrario di alleggerirne le sorti rendendolo sognante in "Stillness Of The Sea", sino a giungere alla conclusione consegnata alle cure dapprima di "Enthusiastic Waves" (ennesima riprova d'equilibrio e coerenza nelle scelte applicate alla stesura dei pezzi) e successivamente allo strumentale "Eterea Collapse" che pone la parola fine a "Eterea" con il suo mood agrodolce.

Nella prova dei Mindwork non si riscontrano difetti palesi, la produzione è decisamente buona e la strumentazione ha la possibilità di esprimersi in maniera alquanto naturale. L'unico neo potrebbe risiedere nell'approccio vocale di Martin nelle parti aspre che è meno convincente rispetto alle sezioni in pulito, tuttavia dopo un paio di ascolti ci si fa l'abitudine.

Sempre meno death in casa dei cechi e sempre più esplorazioni in corso, consiglio quindi d'incrociare "Eterea" soprattutto a coloro che masticano abitualmente certe sonorità e hanno una predilezione verso i gruppi citati nel testo, troveranno nelle canzoni molto di cui potersi cibare e ovviamente una band che vale la pena di inserire nella lista con su scritto "da seguire". Alla band invece rivolgo uno spontaneo e semplice "bravi".

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