lunedì 30 luglio 2012

REINO ERMITAÑO - Veneración Del Fuego


Informazioni
Gruppo: Reino Ermitaño
Titolo: Veneración Del Fuego
Anno: 2012
Provenienza: Perù
Etichetta: I Hate Records
Contatti: myspace.com/reinoermitano
Autore: Mourning

Tracklist
1. Quimera
2. El Sueño Del Condor
3. Sobre Las Ruinas
4. Desangrándote
5. Cuando La Luz Te Encuentre
6. Soy El Lobo
7. El Rito
8. Vente Al Fuego
9. Sangre India
10. Cadáver, Semilla, Renacer

DURATA: 01:06:43

I peruviani Reino Ermitaño nel giro di una decade hanno conquistato il cuore dei doomster incalliti.
Vuoi per il sound legato alla orme di Black Sabbath, Count Raven, Saint Vitus, Reverend Bizarre e famiglia, vuoi per la voce incantevole e magica della cantante Tania Duarte, la formazione di Lima ha raggiunto una notorietà nell'underground del tutto meritata.
Meritata sì, perché oltre l'aspetto musicale è impossibile non apprezzare l'approccio stilistico occulto, introspettivo e storico, con le tematiche affrontate che ripercorrendo tracce dei tempi che furono e alimentandosi della conoscenza popolare rendono ancor più interessante l'ascolto.
Con "Veneración Del Fuego" hanno raggiunto la quarta tappa discografica, un album che per la prima volta vede partecipe il chitarrista Eloy Arturo e che al cospetto di ciò che sinora han pubblicato mostra una band più accesa e irruenta, il fuoco che si sta venerando probabilmente porta con sè quel calore e quell'ardore capaci di mettere lievemente in disparte l'animo più riflessivo e intimista dei Reino Ermitaño.
I risvolti di una creatura particolare come quella sudamericana si scoprono lungo il percorso, nelle atmosfere prominenti e minacciose di "El Sueño Del Condor", animale simbolo della nazione che perlustra e regna la Cordillera De Los Andes, teatro d'innumerevoli uccisioni di massa durante il periodo storico dei "conquistadores", nell'aggressività che trapela da ogni singola nota di un'agguerrita "Sobre Las Ruinas", nella forma estesa e iniziatica di "Cuando La Luz Te Encuentre", adornata dall'ingresso di linee di violino e dalla scelta particolarmente seventies da parte di Julio "Ñaca" Almeida d'esibirsi in un appassionato assolo di batteria, e nell'accorato grido teso a svegliare l'anima di un popolo intero insito in "Sagre India", pezzo che oltre a una sviluppo lirico incentrato sulla devastante opera dell'uomo moderno, che si compiace dell'annientare la cultura originaria a favore del "progresso" (sicuri che lo sia?) economico, evidenzia strumentalmente una involuzione a tribale ancor più intensa grazie all'utilizzo di strumenti folcloristici.
Il collegamento con la natura è fondamentale per l'essere umano e i peruviani a loro modo cercano di non farcelo dimenticare, gli ululati che danno principio a "Soy El Lobo" e la frontiera mistica alla quale "El Rito" ci conduce servono proprio a questo.
"Veneración Del Fuego" è un gran bel disco, un'opera senza tempo, fosse stato pubblicato negli anni Settanta o Ottanta con tutta probabilità avrebbe trovato un suo seguito perché in sé accoglie la passionalità e l'evoluzione avvenute nel mondo doom di quel periodo, il passaggio dalla fase "proto" a ciò che adesso nominiamo senza dubbio in tal maniera.
La produzione volutamente incentrata a fornire "calore" alla proposta, non è un caso che si sia puntato per lo più sull'uso dell'analogico, e non posso non rimarcare ancora una volta l'ormai solita stupenda prova di Tania, eterea e spettrale quanto incantatrice e narratrice, elevano ancora una volta i Reino Ermitaño distanziandoli dalla massa di buoni lavori dai quali siamo abituati a ricevere prestazioni soddisfacenti, qui c'è magia ed è questa che fa la differenza.
Il portafoglio è dissanguato, la mia vita ulteriormente arricchita: DOOM ON!

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NILE - At The Gate Of Sethu


Informazioni
Gruppo: Nile
Titolo: At The Gate Of Sethu
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Nuclear Blast
Contatti: nile-catacombs.net - facebook.com/nilecatacombs - myspace.com/16993157
Autore: Akh.

Tracklist
1. Enduring The Eternal Molestation Of Flame
2. The Fiends Who Come To Steal The Magick Of The Deceased
3. The Inevitable Degradation Of Flesh
4. When My Wrath Is Done
5. Slaves Of Xul
6. The Gods Who Light Up The Sky At The Gate Of Sethu
7. Natural Liberation Of Fear Through The Ritual Deception Of Death
8. Ethno-Musicological Cannibalisms
9. Tribunal Of The Dead
10. Supreme Humanism Of Megalomania
11. The Chaining Of The Iniquitous

DURATA: 47:45

Ogni tanto anche su Aristocrazia Webzine tiriamo a sorte per chi abbia la fortuna di recensire Top Album; in questo caso il sottoscritto ha avuto il piacere di pescare il bastoncino corto e quindi di poter valutare la nuova fatica di quel colosso musicale a nome: Nile.

Inutile ribadire l'importanza fondamentale che questo combo proveniente dal Sud Carolina abbia avuto sulla scena Death Metal in ogni angolo del globo, come è inutile dire che negli ultimi dischi sia incappato come dire... in un lieve appannamento; ma la forza intrinseca del Re Scorpione scorre velenosa nelle vene di Sanders & Co. quindi sono qua trepidante ad ascoltare "At The Gate Of Sethu". Tornerà il Nilo ad esondare?

Posizionate le casse ricreando un vertice piramidale, alzo il volume, giusto per gradire la potenza dell'introduzione e per entrare immediatamente nelle grazie di una "Enduring The Eternal Molestation Of Flame" che mi rimanda inizialmente ai primissimi Morbid Angel di epoca Browing, il break centrale però è pura linfa Nile, il peso di millenni si coagula nelle mie orecchie e i brividi incominciano ad affiorare sulla pelle, un "non so che" mi fa tornare alla mente pure i Nocturnus (credo sia pura suggestione, sì lo so che ho i sassi nelle orecchie...). Il riffing è tecnicamente elevato e pesante come i nostri ci hanno oramai abituato da anni e Kollias è il maestro rinomato che il mondo conosce, non ci sono dubbi su tutto ciò, in più alcuni lievi accenni in fase di arrangiamento mi fanno gradire il tasso lievemente epico del brano, che esplode in un bel finale maledettamente dannato.

Se abbiamo parlato di tecnica ecco il riferimento: sorge a noi "The Fiends Who Come To Steal The Magick Of The Deceased" in cui i nostri danno sfoggio della loro perizia strumentale crivellandoci di colpi dal sapore egizio per le scale scelte in certi casi, con il breve stacco di chitarra acustica che ne acuisce il sentore per mettere in risalto un profondo growl di Dallas Toler-Wade che si abbina ad un Karl più "vitriolato" (in questo caso va detto che non in tutti i formati mp3 il buon Sanders rende al meglio vocalmente, a volte risulta davvero straniante e fuori contesto; fortunatamente in questo caso l'impressione è positiva). Le chitarre macinano montagne enormi di monolitici riff e l'alone devastante e immortale della cultura dei due paesi si manifesta feroce e mistica nei cori e nel controcanto gutturale fino al finale nuovamente di impronta morbidangeliana per la sua morbosità.

Anche la seguente "The Inevitable Degradation Of Flesh" parte a testa decisamente bassa ma tornando a suonare un po' più canonicamente rispetto alla precedente; la parte centrale non mi fa strappare certamente i capelli e la voce urlata a volte mi intristisce sembrando una sorta di Holmes dei Paradise Lost cento volte più "incazzatella", ma sempre su tonalità "moscette". Per fortuna c'è il ponte per tornare a devastare con i riff iniziali eppure l'amaro in bocca mi è rimasto... pezzo che non mi ha soddisfatto, in più vorrei rimarcare un certo sbilanciamento nella produzione fra lo spessore delle parti lente e le parti più spinte che per contrasto sembrano eccessivamente leggerine e pulite.

"When My Wrath Is Done" sicuramente mi rincuora, la produzione delle chitarre stoppate è strabordante (insomma si sente che dietro c'è la Nuclear Blast, mica la Anubis Music, qualcuno di voi forse la rimpiange?), il lavoro di batteria è pregevole e le dinamiche spaccaossa, una canzone che gira alla grande nel suo immane incedere come le slitte che portavano i sacri monoliti fino alla loro destinazione imperitura su cui emergere al mondo: Dominando.

Giungo alla titletrack dell'album (a proposito complimenti per la grande copertina disegnata nientepopodimeno che da Spiros dei Septic Flesh, altro grande nome del panorama Death Metal mondiale), francamente non riesco un granchè a capire, questo pezzo mi pare un puzzle di note messe qua e là, una shakerata a velocità assurda di tanta roba che però non mi dice niente.

NO, dai ragazzi due brani inconcludenti nello stesso disco non me li aspetto, non è roba da voi, siete i Nile mica Lino Turrisco (nome assolutamente inventato sul momento) e invece già nella seguente "Natural Liberation Of Fear Through The Ritual Deception Of Death" mi tocca far salire il conto a tre, se non altro il pezzo gira brutale e dal vivo triterà seguaci a non finire, ma l'epicità di inizio album pare evaporata e neanche la strumentale "Ethno-Musicological Cannibalisms" aiuta, anzi pare uno scarto preso da "Saurian Exorcism". Che il "fiume sacro" abbia già sparato tutti i propri calibri ad inizio disco e la miseria stia languendo latente sotto forma di una civiltà morta? E poi come mai Wade pare un ospite vocale piuttosto che un co-cantante?

Rialzo un po' la testa con "Tribunal Of The Dead", forse c'è ancora speranza, nelle parti lente sento che qualcosa vive e serpeggia, il Pantheon fissa il viaggio dell'anima fino a giudicare se sia per lei possibile una vita extraterrena e lo stesso faccio io per questo disco, anche se nell'ennesima parte veloce il buon Karl riesce a farmi svuotare le budella per l'ennesima volta, fortunatamente è veramente per poco e ciò non distrugge il pezzo che nel suo insieme è magniloquente, almeno rapportato ai brani di poc'anzi.

Se poi ricercaste il combo in versione un po' più "addolcita" vi servirà "Supreme Humanism Of Megalomania" che qualche sprazzo ben fatto lo possiede pure, con un giro principale che sa veramente di palustre e papiri, peccato per quelle cazzo di melodie semi svedeseggiati che mi fanno veramente intristire. Meglio non dire altro.

 E quando oramai non ho più veramente di che gioire, arriva la badilata salvavita (tipo Beghelli tanto per intenderci) con la conclusiva "The Chaining Of The Iniquitous" e ritorna alla mente la duplicità di Osiride, Dio dell’Oltretomba (so che può suonare strano in un disco riferito al grande Seth!) ma al contempo di Fertilità. Pezzo enorme, devastante e fragoroso in cui i mid-tempo spadroneggiano e spaventano per immensità e forza, fino al giungere bramato di un degno finale imperioso e faraonico.

Impressione finale è che neanche stavolta siano tornati al capolavoro che è il minimo sindacale per questa formazione; il limo tornerà a noi in maniera parca ed appena sufficente a sopravvivere, ma l'inizio è devastante e qualcosa si salva anche durante l’album. Allora mi dico: perchè non tornate a fare album da trenta minuti? In maniera che la vostra magia si ripresenti senza discussioni e rendendoci tutti nuovamente sudditi del verbo degli Antichi?

L’unico alibi che posso dare a questo album è che i ripetuti ascolti sono stati fatti in un "puerile" mp3 ma avendo trovato in rete altre edizioni e vedendo come apparivano differenti posso dire che magari anche certe parti di chitarra nella versione originale potrebbero suonare in maniera più convincente. Purtroppo questo ha passato il convento e questo valutiamo, sicuramente dai Nile pretendo di più e se un qualche parente sprovveduto volesse regalarmelo lo prenderei e mi farei immediatamente una gran bella selezione da spararmi addosso, con la dovuta cautela su certi brani però.

Nel frattempo se siete fan e non riuscite a dormire se non con le odi gutturali (anche se qua ve ne sono meno del solito) all'immenso Ra, fate voi i vostri conti; qualcosa di buono dovreste trovarlo...

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SULA BASSANA - Dark Days


Informazioni
Gruppo: Sula Bassana
Titolo: Dark Days
Anno: 2012
Provenienza: Germania
Etichetta: Sulatron Records
Contatti: myspace.com/sulabassana
Autore: Mourning

Tracklist
1. Underground
2. Departure
3. Surrealistic Journey
4. Dark Days
5. Bright Nights
6. Arriving Nowhere

DURATA: 1:11:30

In tutta onestà credo che chiunque segua la scena rock psichedelica non abbia bisogno di vedere presentato l'operato del signor Dave Schmidt aka Sula Bassana, è da inserire nella schiera di quei personaggi talmente eclettici e attivi nei quali prima o poi t'imbatti per forza, uno come lui poi che di progetti e inventiva ne ha da vendere sembra volersi mettere proprio sulla vostra strada.
Dopo "The Night", album del 2009 del suo solo-project omonimo recensito l'anno scorso, mi trovo fra le mani l'ultimo "Dark Days" rilasciato in questo 2012 ed è ancora una volta di una prestazione superlativa che le nostre orecchie potranno godere.
Quello che rende Sula Bassana un visionario coerente è la grandissima abilità con la quale varia il suo modo di comporre, mentre negli Electric Moon la "marmellatona" da jam session in assetto multiforme ma in assidua attività non mantiene mai una sostanza che possa creare delle linee d'appoggio "stabili", qui sono il viaggio e l'esperienza sensoriale libera a comandare.
Nei suoi dischi solisti, Dave è capace sia di mettere sul piatto quella tipologia di pezzi e brani come "Departure" che i venti e oltre minuti della mastodontica "Surrealistic Journey" dove gli anni Sessanta acidi richiamati dall'organo si fondono con la psichedelia kraut-rock seventies e l'atmosfera sembra creare bolle di sapone adatte al trasporto, nelle quali entrare e intraprendere un sentiero spaziale, allucinato, oppure ancora la carica di soluzioni di portata epica e dal retrogusto mediorientale sconvolgenti della titletrack, insieme a un'opener, "Underground", che in sottofondo lascia scorrere la voce di David Henriksson.
La canzone ci mostra un Dave in una versione che invoca lo spirito d'hendrixiana memoria e d'infinita eleganza che ti fa chiedere: magari questa bellissima esperienza verrà riproposta in più episodi? Con lui tutto è possibile.
"Dark Days" non fa eccezione, non fa sconti, è la summa del sound creato nel corso di questi anni da Sula Bassana e allora sarebbero potute mancare le divagazioni in territori fortemente inclini alle sonorità ambient? No, il piatto ci serve una "Bright Nights" che per quasi l'intera durata si snoda fra feedback, drone attitude e una chitarra dai tratti anche sgraziatamente spettrali per poi scavare una gigantesca fossa in stile doom nelle ultime battute, ve l'aspettavate? Io no.
La tracklist sta per concludersi, manca la sola "Arriving Nowhere", sì una sola canzone ma un altro pezzo da novanta, poco ci manca per dar il la a diciassette minuti di puro fascino psichedelico ritmicamente dissestati funk, i cambi di tempo e di tensione ambientale sono palesi e numerosi, più ci si avvicina alla fine, più si spera che l'album non finisca, il tasto "repeat" in queste occasioni è pura manna dal cielo.
Sula Bassana oltre al citato Dave Henriksson, guest alla voce in "Underground", si è avvalso dell'operato dell'ex drummer degli Electric Moon in "Surrealistic Journey" e "Bright Nights" Pablo Carneval non si può poi, ovviamente mettere di lato il meraviglioso lavoro artistico di Komet Lulu, citando il booklet: painting "Dark Days" inspired by the music of Sula Bassana, music on "Dark Days" inspired by this painting, il collegamento è più che mai importante.
Una carriera in crescendo quella dell'artista tedesco, per chi lo conosce è una garanzia, ogni suo album merita l'acquisto e di certo "Dark Days" non fa eccezione.
A coloro che non avessero avuto modo di entrare in contatto con la dimensione personale nella quale risiede consiglio di visitare la label della quale è titolare, la Sulatron Records, e attenti al portafoglio, potrebbe lacrimare di gioia e divenire vuoto in men che non si dica.

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FEUERZEUG - Dead Wahines And Tsunamis

Informazioni
Gruppo: Feuerzeug
Titolo: Dead Wahines And Tsunamis
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Irascible
Contatti: myspace.com/feuerzeugband - facebook.com/fzband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Cyclops Will Be Beheaded
2. Landkreuzer
3. Evel Knievel Has Kissed The Devil
4. I'll Scratch Until I Bleed A Flood
5. Nitroghostcar
6. Fusion Van
7. Cruising The Desert Part One
8. Cruising The Desert Part Two
9. Release The Kraken
10. Kometa
11. Lieuplorodon VS Giant Orthocone
12. Magma, Lava And Burned Karma
13. Dead Wahines And Tsunamis

DURATA: 1:10:01

È sempre tempo di stoner ma l'estate? L'estate è climaticamente e per visioni mistiche la stagione più adatta per affossarsi e farsi affossare da una mole imponente di release del genere, musica desertica ascoltata magari in riva al mare e che aumenta la calura, ottimo segnale per godersi al meglio un tuffo rinfrescante e ovviamente mai farsi mancare una bibita fresca, se c'è quel gusto alcolico adatto non guasta di certo.
Chi non conosce e non ha mai attuato questa sorta di modus operandi?
Certo la Svizzera, patria natìa dei Feuerzeug, il mare non ce l'ha e il deserto non sa cosa sia, eppure questo grintoso quartetto di Losanna composto da David Van Neeg (chitarra e voce), Marc Cappelletti (batteria), Esteban Von Wolfsburg (chitarra) e Terry Pinhard (basso) sembra proprio uscito dal panorama stoner made in U.S.A.
Prendete gli esempi più classici di Kyuss e Fu Manchu, aggiungete un tocco Q.O.T.S.A. e avrete fra le mani il sound di questi ragazzi, se invece dovessimo parlare di nomi europei gente come Dozer, Low Rider e Truckfighters sarebbe con tutta probabilità la prima della lista, la Svezia ha una serie di band da paura e non lo scopriamo oggi.
I Feuerzeug hanno debuttato nel 2009 con "Drive Fast And Crash" e a tre anni di distanza si ripresentano con "Dead Wahines And Tsunamis", lo tsunami c'è davvero ed è prodotto da tredici pezzi che incanalano energia, grinta e il fascino di alcuni aspetti retrò "seventies and spacey/psych" in una proposta che non disdegna mantenere il piede ben pigiato sull'acceleratore.
Il platter si prende le sue dovute pause distanziandosi dai momenti ricchi di vibrazioni e fuzz-driven desert, ciò si percepisce nello pseudo rilassamento utilizzato a preludio dell'ennesimo brainwashing emotivo come avviene nei due capitoli a titolo "Cruising The Desert", il secondo di questi diviene lo spartiacque fra la prima parte più "fast" dell'album, nella quale spiccano canzoni come l'opener "Cyclops Will Be Beheadead" e "Evel Knievel Has Kissed The Devil", e la conclusiva dove è impossibile non notare un aumento del minutaggio per canzone dovuto al fattore psych presente con ottimi risultati in brani quali "Release The Kraken" e la titletrack posta in coda.
La produzione perfetta, la prestazione strumentale invidiabile, veramente fluido e coinvolgente l'asse ritmico con il basso di Terry in gran spolvero, e il particolare modo di cantare di David, il singer ricorda in più di un'occasione una strana collisione fra Maynard dei Tool e Kurt Cobain dei Nirvana, danno una marcia in più a "Dead Wahines And Tsunamis".
È un disco importante questo secondo lavoro dei Feuerzeug, una dichiarazione di maturità e la pretesa di non voler ricoprire un ruolo marginale all'interno di uno dei settori musicali più floridi e qualitativamente migliori, con il terzo potrebbero porre definitivamente il loro nome sulle bocca di tantissimi e a quanto pare le intenzioni ci sono proprio tutte.
Lo stoner è la vostra vita? "Dead Wahines And Tsunamis" entrerà a farne parte, in originale, questo era ovviamente sottinteso.

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THE GREAT SAUNITES / LUCIFER BIG BAND - Split EP

Informazioni
Gruppi: The Great Saunites / Lucifer Big Band
Titolo: Split Ep
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: luciferbigband.bandcamp.com - thegreatsaunites.bandcamp.com
Autore: Advent

Tracklist
1. The Great Saunites - Black City
2. The Great Saunites - Medjugorje
3. Lucifer Big Band - Rakshasa Chant

DURATA: 20:45

Musica vera sale come fumo, sempre più denso, ci sommerge come liquido. La magia psichedelica stoner e space rock frutto del lavoro dei The Great Saunites tira fuori dai cassetti della memoria percezioni forti che si appiccicano sulla pelle. Ritmi che più che cullare l’ascoltatore, aiutano a sprofondare sul divano di casa, rilassano nervi e muscoli come dopo un bel cannone. "Black City" possiede la carica dei pezzi dei grandi film western, la voce (seppur un piccolissimo cameo, i pezzi sono strumentali) è perfettamente amalgamata nel calderone di giri di basso e batteria che continuano imperterriti lungo un sentiero di sabbia pieno di curve scandite da un tamburello e costellato di dune di feedback noise. L’energia di un esercito racchiusa in questo duo esplosivo farebbe sciogliere anche il meno propenso al genere, se "Black City" non convincesse i più restii a lasciarsi conquistare, "Medjugorje" proporrebbe un classico ma immortale viaggio verso la luce della trascendenza e della spensieratezza.
Arrivato il turno dei Lucifer Big Band, si viene catapultati in uno spazio d’ambient molto oscuro. Suoni sinistri e allarmanti su uno sfondo di riverberi industrial e harsh noise ammorbidito trasformano quello che era quasi diventato il sogno perfetto in un incubo. "Rakshasa Chant" sfilaccia il lavoro dei The Great Saunites, non tocca che ripremere "play" per ritornare nel sogno, nel connubio tra bene e male, i trip positivi hanno la meglio.

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VOWELS - Hooves, Leaves & The Death / As December Nightingales


Informazioni
Artista: Vowels
Titolo: Hooves, Leaves & The Death / As December Nightingales
Anno: 2012
Etichetta: Sun & Moon Records
Contatti: vowels.it
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. Wolves Eating The Sun
2. Not Unlike A Falling Leaf
3. Vespri
4. At Night
5. Wake

DURATA: 32:50

Non si può più tornare indietro. I Vowels hanno fatto la fatidica fatica di tagliare il cordone ombelicale una volta per tutte. Niente più liquido amniotico, solo l'aria del mondo, il veleno del mondo.
Tratto ora solo degli ultimi tre pezzi di questo doppio EP condensato, dato che i primi due (appartenenti a "Hooves, Leaves & The Death") sono già passati per le mie righe in passato e nel disco si trovano quasi immutati (c'è qualche lieve aggiunta ad arricchire alcuni punti, forse un leggero remastering, ma nulla che modifichi le strutture dei pezzi nè il loro suono complessivo). "As December Nightingales" è il punto deciso di svolta. Dismesse le sperimentazioni di transizione, dal metal delle origini verso altri lidi, siamo approdati ad una poetica matura e nuova, personale. "Vespri" è Ulveresca, dell'ultima maniera, nelle sue voci (come non pensare a Rygg?) e nei suoi testi, così come nell'impostazione del brano, che recupera la forma-canzone in maniera liquida e dilatata, fedele ed infedele, ma ricca di suggestioni antiche (parlo di anni '60-'70, di Hammond e Beatles, ed oltre) e sapori polverosi di valvole. "At Night" risulta mantenere la stessa caratteristica sonora, l'inclinazione ai Lupi norvegesi, con mezzi ancora più acustici e unplugged, ancora più retrò (e mi viene da collegare la prima parte del brano a certe cose di Aschansonnier e Cenere Muto). Il nome di O'Sullivan compare all'orizzonte, e forse dietro di esso si nasconde addirittura la parola Waits e le sue ballate sghembe, aperte, scure, alcoliche, impolverate. "Wake" conclude questi undici minuti circa di cantautorato scuro e sperimentale, queste canzoni, nel vero senso strutturale del termine, ondivaghe nei ritmi e nelle aperture, nei vuoti e nei pieni, con una voce femminile a chiudere in improvvisazione - forse - semplice e pulita un disco aperto, minimo e denso. Non temo assolutamente di aspettare con fiducia il prossimo lavoro completo dei Vowels. Sarà una grande opera, senza tema. Credetemi.

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DETHONATOR - Dethonator


Informazioni
Gruppo: Dethonator
Titolo: Dethonator
Anno: 2012
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Ironstone Records
Contatti: facebook.com/dethonator
Autore: Mourning

Tracklist
1. Wreckers
2. Harbinger
3. I Am Thunder God
4. Many Have Fallen
5. Shadows
6. Dethonator
7. Morbid Skies
8. Massive Demonic Killing Spree
9. In The Place Of The Skull

DURATA: 46:35

Quante volte abbiamo letto di band che dopo aver pubblicato un paio d'album cambiano improvvisamente monicker e stile? È una storia che si è ripetuta in tantissime occasioni, a quanto pare anche gli inglesi Dethonator hanno vissuto una morte e rinascita.
La realtà britannica heavy/thrash inizialmente nota come Kaleb con due dischi all'attivo, "The Great British Invention" e "Legion", nel 2009 decide di virare assumendo la forma attuale e conseguente cambiamento di sound, tant'è che quando mi venne presentato il disco omonimo come opera thrash rimasi alquanto spiazzato.
Si tratti infatti di un ibrido che in sè raccoglie influenze heavy, thrash, aperture non poi così celate al nu nelle partiture vocali e soprattutto un tipo di esposizione volutamente orientata ad agevolare la fruibilità del pezzo, il termine "catchy" a questi musicisti calza a pennello. "Dethonator" ha avuto una gestazione travagliata, era già pronto nel 2010 e probabilmente venne anche rilasciato in forma autoprodotta, adesso nel 2012 sotto la Ironstone Records ha avuto il suo lancio definitivo con tanto di modifica all'artwork rispetto a quell'originale, nulla di trascendentale ma in fin dei conti rende l'idea e questo basta.
Chi è abituato a sound old school e non ama il metal orientato sull'offerta di appoggi abbondantemente melodici alle volte al limite con il dolciastro, ma non stucchevoli alla Trivium, potrà già chiudere qui la propria lettura.
La proposta dei Dethonator è trascinante, ben confezionata, ricca di spunti solistici, di ritornelli avvincenti più per l'aspetto emotivo agrodolce che il piglio determinato, si vedano quelli di "Harbinger" e "Many Have Fallen" e ciò vi farà storcere il naso.
Lo so, un album simile è per una folta schiera di amanti metal quello che si potrebbe definire un capro espiatorio ideale, una rappresentazione dell'evoluzione metal che odiano, del resto però non posso non riconoscere ai ragazzi d'avere delle più che discrete qualità di base, di aver assorbito una lezione heavy che in più occasioni riporta alla mente qualcosa dei lavori solisti di Blaze, che nei momenti in cui provano a calcare la mano, ad esempio nella prestazione intensa come "Massive Demon Killing Spree", nell'apertura dell'opener "Wreckers", quanto in "Shadows" o nella titletrack, i Dethonator riescono anche a graffiare.
In linea di principio proprio la facilità d'ascolto e il non forzare mai storpiando questa che è la loro caratteristica fondamentale, a esempio il growl di supporto alla voce pulita di Jim Burton presente quasi esclusivamente relegato a quelle apparizioni tese all'accompagnamento all'interno del chorus o nel pre-chorus, fanno del platter una prestazione a suo modo gradevole.
Consiglio agli amanti del metal melodico di offrire una chance a quest'inglesi, chissà che "Dethonator" non possegga le chiavi giuste per scardinare i vostri dubbi trovando infine posto fra gli "on air" giornalieri, un tentativo vale sempre la pena farlo.

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DEIPHAGO - Satan Alpha Omega


Informazioni
Artista: Deiphago
Titolo: Satan Alpha Omega
Anno: 2012
Etichetta: Hell's Headbangers Records
Contatti: deiphago.webs.com
Autore: ticino1

Tracklist
1. Intro: Extermination
2. Human Race Absolute End
3. Heretic Oath
4. Plague And Satan Triumphant
5. Exalted Hate
6. Satan Mongers
7. Atrocities Absurdities
8. Crucifixation
9. Demonic Munitions
10. Satan Alpha Omega
11. Outro

DURATA: 37:33

Odiate la società? Non vi piace essere in compagnia di troppa gente? Non sopportate troppe amicizie? Fate come me. Tenete cara la discografia dei Deiphago; quando avrete ospiti, ma non femminili e interessanti, comincerete a discorrere sui lavori di questi filippini, mettendo distrattamente nel lettore uno dei dischi. Solo gli amici veri vi resteranno fedeli.

Dopo tre anni di preparazione Voltaire 666 e i suoi compagni vi tendono nuovamente un agguato con un disco pieno. "Filipino Antichrist" era forse un poco ostico a causa della produzione che è, ammettiamolo, un’impresa difficile per ogni tecnico del suono a questo livello di violenza brachiale e spietata. Voglio innanzitutto puntare il dito sulla copertina per mostrare un bel lavoro riconoscibile fra mille, pieno di dettagli e simboli, come se ne vedono pochi oggi.

"Satan Alpha Omega" è, inutile dirlo, l’armata di Skeletor che avanza con l’obiettivo di conquistare l’Universo. Come in ogni fiaba che si rispetti, He-Man perde vergognosamente la battaglia già vinta e il male oscura le nostre esistenze, sollevandoci da quei sentimenti chiamati rispetto, amore, altruismo e altre doti di cui non oso neppure citare gli insulsi nomi. Questi quaranta minuti scarsi mostrano un’evoluzione nella sapienza maligna dei nostri demoni sudest asiatici. Ascoltando attentamente si scoprono passaggi che sanno di Slayer e, qui resto senza parole, tanti assoli che distruggono il nostro universo. Mi vergogno quasi a dirlo... i Deiphago hanno inciso un disco che… no, non preparatemi una camicia di forza, devo proprio dirlo... È QUASI COMMERCIALE PER I LORO LIVELLI!!! Non temete, questo è il giudizio di un ascoltatore che si è propinato per anni dosi enormi di qualunque sonorità perversa e immaginabile, che ha sovente goduto in compagnia di opere denigrate dalla maggior parte della plebe ignorante. Per evitare rappresaglie di ogni tipo, rinuncio a rivelare la presenza nelle tracce di alcuni passaggi che portano le cervicali, o piuttosto quello che ne resta, a muovere ritmicamente il capo.

Che altro dire... le Filippine hanno messo nuovamente in atto un piano per distruggere il Mondo e per catapultarci indietro all’epoca della pietra. Un punto negativo è forse nuovamente la produzione che cela troppo alcuni riff e amalgama troppo gli strumenti. Non per questo perderò l’occasione di accaparrarmi questo bel lavoretto dei Deiphago!

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KYZYL KUM - Sable Rouge


Informazioni
Gruppo: Kyzyl Kum
Titolo: Sable Rouge
Anno: 2012
Provenienza: Francia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Kyzyl-Kum/130790573659910
Autore: Mourning

Tracklist
1. Kosmiska Superskunk
2. Cause Des Smicards Sur Du Funk
3. Because Death Of Icare Sucks
4. Il Ose Défier L'Art Des Trucks
5. Close My Scares. Fuck!
6. Cobaye Scorbut (Pose Mon Arme Chuck)
7. Goodbye Jean-Luc
8. Oh Oui! Le Grand-Duc!

DURATA: 38:16

I Kyzyl Kum sono un duo stoner/doom strumentale francese composto da Jérôme Bouquet alla chitarra e François Deschamp alla batteria.
Il monicker è sicuramente stato ispirato dal deserto asiatico che si estende nella zona ex russa, in nazioni quali Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan, così come il titolo "Sable Rouge" identifica il colore della sabbia di questa immensa distesa che si estende per circa 200.000 chilometri quadrati.
Non è facile comporre un disco di questo tipo, ci sono band come i Serpent Throne capaci di creare vere e proprie colonne sonore da viaggio in Harley per le sconfinate "Route" degli U.S.A., invece i francesi, vuoi per il nome e per la scelta cromatica, propongono un sound più ruvido, ascoltate "Because Death Of Icare Sucks", pesante che punta su partiture fortemente inclini alle scanalature groove in "Cause Des Smicards Sur Du Funk" e nel quale ricopre ruolo fondamentale l'abilità nel diversificare l'aspetto ritmico di François.
Le aree nelle quali si percepisce una forte connotazione atmosferica incline a riscaldare e raffreddare l'ambiente, l'intro "Kosmika Superfunk" e l'outro "Oh Oui! Le Grand-Duc!", si allontanano dalla visione terrena per immergersi in psichedelia vagamente spacey mentre le accelerazioni adrenaliniche che fanno scattare la voglia di partecipare scuotendo la testa nella penultima "Goodbye Jean-Luc" sono un buon esempio di come i Kyzyl Kum anche nei frangenti più vivaci siano capaci di mantenere viva quella connessione con l'aura desertica che li caratterizza.
La confezione artigianale e il numero limitato di copie stampate, sono appena cinquecento, potrebbero rappresentare una motivazione in più per l'acquisto di "Sable Rouge", tenete conto che l'elemento di principale interesse è e rimane la musica, chi si fosse limitato a guardare l'aspetto grafico giudicando erroneamente un "libro dalla copertina" incautamente avrebbe giudicato in maniera errata il lavoro facendosi così scappare l'opportunità di avere in collezione la prima di mi auguro una lunga serie di release di buon valore di questi musicisti francesi.
Siamo solo agli inizi ma si sa che chi ben comincia è a metà dell'opera, in bocca al lupo Kyzyl Kum.

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KARDIA - No


Informazioni
Gruppo: Kardia
Titolo: No
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Killer Pool Records
Contatti: myspace.com/kardiamuzik
Autore: Mourning

Tracklist
1. La Stabilità
2. Le Rondini
3. Settembre
4. Shooting Stars
5. Hiroshima
6. Suore
7. La Tempesta
8. Etica
9. Vincoli
10. L'Inganno
11. Vertigine

DURATA: 43:22

Non so se si possa definire una leggenda o meno, sembra vero però che il rock nei momenti in cui la società raggiunge dei picchi d'instabilità e di profonda incoscienza trovi l'energia, le risposte e diventi il rifugio di chi ha realmente qualcosa da dire, permettendo a coloro che sino a quel momento avevano "nicchiato" di far fuoriuscire quella "verità" che scorre dentro evitando i filtri del mercato "ordinario".
Sarà per questo che si parla sempre troppo poco e male di rock nel nostro paese? Siamo una realtà ovattata e accecata dalle luci di una ribalta che non esiste? Mi sa proprio di sì.
Il trio capitolino dei Kardia composto da Paolo Alvano (basso e voce), Valerio A. Landini (chitarra e sintetizzatori) e Alessandro Emberti Gialloreti (batteria e seconda voce) rientra a pieno titolo in quel circolo di band che ha preso coscienza della situazione attuale, che si muove viaggiando musicalmente in bilico fra ciò che è il passato degli anni Ottanta e Novanta, pescando da gruppi del movimento post-punk/darkwave, rock elettronico-new wave e l'alternative/indie, utilizzando suoni che si alimentano sia del calore dell'analogico, sia della freddezza priva di sentimento del digitale.
"No" è paragonabile a un equilibrista, si muove su di una corda tesa barcollando di qua e di là senza rischiare né correre pericoli eccessivi perché sicuro delle proprie potenzialità, evidenziando quanto l'uso della lingua italiana, in questo caso affilata e ricercata, sia asservito all'estensione emotiva dei brani.
È una gamma di colori ridotta ma sfumata quella che dipinge il ritratto di un disastro evitabile esclusivamente con un colpo di coda repentino e grazie alla lucida follia di chi nel momento del bisogno, nella sua posizione d'estremo disagio, ha più chiaro che mai il quadro della situazione al quale dovrà sottostare o ribellarsi.
È grigiore melancolico e carezzevole quello impresso in "Le Rondini" e "Settembre" con la prima che palesa un animo spiccatamente elettronico, è invece più intenso e definito quello riscontrabile nell'operner "La Stabilità", termine che non sempre indica un vissuto coadiuvato da sensazioni felici quanto più da una "normalità" apparente riconducibile per lo più a una mediocrità accettata con rassegnazione.
L'altalena cromatica non subisce oscillazioni nette e deformanti, il percorso s'imbrunisce ulteriormente in "Suore", canzone nella quale l'atmosfera diviene maggiormente sofferta e addolorata, il platter riprenderà quota dirigendo lo sguardo in lidi dalla gradazione perlacea con la svolta post-rock delle conclusive "L'Inganno" e "Vertigine", iniettando nuovamente una dose di grigiastro in una discesa che stava diventando troppo ripida, si ridarà fiato sino all'arrivo.
Melodie trascinanti, sound che mette in mostra una spiccata personalità e cura del dettaglio fanno di "No" un album interessantissimo, il lavoro di produzione svolto da Claudio Spagnuoli presso gli Oz Record Studio di Roma, il master affidato alle mani di Claudio Gruer ed effettuato al Pisi Mastering Studio e l'artwork creato da Paolo Soellner (Klimt 1918) rafforzano la convinzione che i Kardia siano pronti per il grande salto, affrontare il mercato Europeo e perché no provare anche a sfondare in quello statunitense utilizzando l'unica traccia in inglese del disco, "Shooting Stars", tentare non sarebbe un male.

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BLACK MOTH - The Killing Jar


Informazioni
Gruppo: Black Moth
Titolo: The Killing Jar
Anno: 2012
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: New Heavy Sounds
Contatti: facebook.com/themothpit
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Articulate Dead
2. Blackbirds Fall
3. Banished But Blameless
4. Spit Out Your Teeth
5. The Plague Of Our Age
6. Chicken Shit
7. Blind Faith
8. Plastic Blaze
9. Land Of The Sky
10. Honey Lung

DURATA: 38:33

Il fascino dello stoner e dell'occult rock è di quelli che se ti strega una volta ti "rovina" una vita, è impressionante il numero di uscite e la qualità che questi due segmenti di mondo musicale hanno prodotto e continuano a produrre ed è evidente che ci sia una vera e propria escalation da parte delle donne al suo interno.
Le rappresentanti del cosiddetto "sesso debole" sembrano essersi ripromesse di fare il culo a stelle e strisce agli uomini e ci riescono anche alla grande.
Non guardando troppo indietro nel tempo, anzi rimanendo proprio legati a quest'ultima decade, è palese che act quali Jex Thoth, Blood Ceremony, The Devil's Blood, Alunah, The Wounded Kings (nell'ultimo album "In The Chapel Of The Black Hand" v'è Sharie Neyland alla voce), Subrosa, e potrei nominarne chissà quanti altri, abbiano dato una scossa significativa a questo panorama.
A tale già folta schiera si uniscono i Black Moth che dietro al microfono presentano l'ennesima figura femminile che sa come conquistare l'ascoltatore, lei è Harriet Bevan. In "The Killing Jar" c'è tanta atmosfera, in parte psichedelica in parte mistica, tanta musica anni Settanta, una buona compartecipazione del sound stoner e di periferie retro-doom, insomma il banchetto preparato possiede più portate e ognuna d'esse garantisce di saziare la vostra voglia.
La partenza è affidata a uno sprint in stile Q.O.T.S.A. del periodo "Rated R" e "Songs For The Deaf", "The Articulated Dead" si nutre di sostanza dopante Homme e nel finale acquisisce pure vitamine punk, sembra di ascoltare Jello Biafra dei Dead Kennedys che in maniera propagandistica urla "Dead Meat" e la cosa gasa parecchio.
Tracce di un altro membro storico della scena desert come Chriss Goss e dei suoi Master Of Reality coniugate a un'esecuzione suadente e da streghetta di Harriet rendono irresistibile "Blackbirds Fall". I musicisti sono coscienti delle proprie possibilità, sanno quando devono accelerare e diminuire la battuta, "Banished But Blameless" col suo bell'incipit molto sabbathiano e la successiva "Spit Out Your Teeth" sono praticamente perfette nel loro ammaliare. Il quartetto di brani centrale che vede susseguirsi "The Plague Of Our Age", "Chicken Shit", "Blind Faith" e "Plastic Blaze" se non aveste ancora chiare le idee si propone idealmente di convincervi sulle qualità in dote ai Black Moth.
Gli stilemi del genere sono stati assimilati in tutto e per tutto, l'accoppiata d'asce Jim Swainston e Nico Carew inanella una dietro l'altro una serie di riff che fanno scuola avvalendosi di frenesia, profondità lisergica non rinunciando a infilare pure qualche discreta sezione solista per alimentare questo rock che salta di sella in sella sempre su cavalli vincenti.
Quando si ascoltano album come "The Killing Jar" il pensiero che artisti seminali come i Black Sabbath e i Coven (nomino loro perché a mio avviso sono i riferimenti in assoluto dominanti) possano essere fieri d'avere fornito le basi a un movimento così straordinario, avendo infuso la voglia d'esprimersi in tal maniera a una gioventù musicale simile, non credo si possa definire eretico.
Se poi in coda al platter ti trovi a confrontarti con due canzoni del calibro di "Land Of The Sky" che è puro coinvolgimento e "Honey Lung" a tratti onirico orientale, a tratti scatenata e da scuotimento costante, l'unico atto da compiere è quello di attendere la battuta d'arresto per poi premere nuovamente il tasto "play". Se come il sottoscritto siete rimasti fantasticamente incastrati in una dimensione tutta vostra nella quale questo tipo di dischi è divenuto il pane quotidiano, non potrete di certo farvi mancare il debutto dei Black Moth.
Qui non è questione né di perfezione né di tecnica, sono il feeling, le emozioni e il vissuto rock che rendono "The Killing Jar" un lavoro da annoverare in collezione.
In caso aveste il dispiacere di sentir dire da qualcuno che il rock è morto, affermazione ormai sin troppo facilona, non mandatelo a quel paese perché è inutile, dimostrategli il contrario con i fatti, la buona musica riesce a smuovere anche le pietre e qui ce n'è davvero tanta.

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QUIET IN THE CAVE - Tell Him He's Dead


Informazioni
Gruppo: Quiet In The Cave
Titolo: Tell Him He's Dead
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Cave Canem D.I.Y.
Contatti: myspace.com/quietinthecave
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Dark Passenger
2. Run Out
3. Measure
4. Monstro
5. Lose

DURATA: 26:30

Inizio col dire che salterò premesse e presentazione della band, i Quiet In The Cave non sono sconosciuti ad Aristocrazia e il nostro Advent ne parlò già due anni or sono nella recensione che li vedeva coinvolti nello split con i The Drop Machine.
La band toscana è maturata e supportata da un progetto denominato Cave Canem D.I.Y., un collettivo che sta cercando di portare avanti le realtà della zona legata al monte Amiata ed oltre non limitandosi al panorama musicale, per i dettagli vi rimando al loro sito (cavecanemdiy.wordpress.com).
Hanno rilasciato un mini lavoro di cinque pezzi intitolato "Tell Him He's Dead" che si accoda alla "generazione bastarda" di act capaci e incredibilmente abili nel combinare più influenze stilistiche dando vita a prove quindi multisfaccettate che alternano malsanità ad atmosfere sognanti, acidità psichedelica a brutalità pura e cruda.
Il platter è un crocevia non lontano dall'incarnare un perfetto incontro-scontro fra le profondità del doom, la natura esplorativa del post metal sia in ambito black che più classicamente ricollegabile al mondo hardcore e una visione atmosferica affine al mondo gotico e per gotico intendo quello segnato dall'era primordiale del trio britannico Paradise Lost, Anathema, My Dying Bride.
"Tell Him He's Dead" al pari di una giornata dissestata da un umore spiazzante del tempo gode di continui cambi umorali che ne segnano il percorso, l'opener "The Dark Passenger" è il "manifesto" di ciò che i Quiet In The Cave sono adesso, montagne russe che passano dal grigio al nero a sprazzi di bianco con rapidità e giusti intenti, interessante il modo con il quale Munholy (Malfeitor, ma son splitatti?) utilizza la voce dando sfogo sia al lato più oscuro e tenebroso che a quello più recitativo e carezzevole. In "Run Out" e "Measure" le reminiscenze del passato prossimo che li vedeva interpretare brani quali "Ionosfear" e "Stalker" non sono andate di certo perdute, l'ambientazione acquisisce una concentrazione "goth" notevole nella prima e una fermentazione "extreme" nella seconda ancora non pervenute appieno nel precedente lavoro, è infatti altrettanto vero che quell'alone dark e i meandri post che appartenevano a quei due pezzi sono percettibili all'interno di queste nuove creazioni, il feeling si è evoluto ma non snaturato.
Che amino affondare il colpo se e quando è possibile non lo nascondono di certo tant'è che con "Monstro", titolo che fra le altre cose non poteva essere più indovinato, le striature black assumono corposità, i residui d'influenza "dronica/noise" si permeano nella canzone sfoderando la prestazione più corpulenta e ferina, fra le altre cose la parola "monstro" sembra avere per il combo una rilevanza notevole dato che anche il primo demo pubblicato portava tale nome, ci sarà dietro un motivo a noi ignoto? I ventisei minuti e mezzo del disco sono volati e "Lose" con il suo inglobare per l'ennesima volta tutto ciò che rappresenta il suono dei Quiet In Cave ci conduce a morte piacevole e della quale si ha ormai una interessata conoscenza.
È ammirevole come e quanto le piccole label diano linfa vitale e spazi ad artisti nostrani che meritano di ricevere consensi e soprattutto voce in capitolo, dato che ci ritroviamo frequentemente sommersi da produzioni molto meno meritevoli ma supportate da "etichette" industriali e poco affini a valorizzare l'arte in sé.
È quindi un piacere poter consigliare un ascolto come "Tell Him He's Dead" augurando ai toscani di produrre al più presto un prosieguo in versione full ed è altrettanto doveroso premiare gli sforzi di chi dal basso e con i propri mezzi, si vedano Frohike, Lo-Fi Creatures e la suddetta Cave Canem D.I.Y., ci mette cuore e portafoglio per dar forma a tali release, continuate così!

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WOLFHOWL - My Return To The Mountains


Informazioni
Gruppo: Wolfhowl
Titolo: My Return To The Mountains
Anno: 2012
Provenienza: Grecia
Etichetta: Azermedoth Records
Contatti: myspace.com/wolfhowlband
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. My Return To The Mountains
2. The Coldest Winter
3. On Northern Land

DURATA: 18:53

Se vi dico Grecia e Black Metal, a cosa pensate? Provo a indovinare: probabilmente vi verranno in mente gruppi come Necromantia, Varathron, Thou Art Lord, Acherontas, Kawir e chissà quali altri.
E se invece vi dico Wolfhowl? Immagino che il vostro cervello non riesca ad associare nulla a questa parola e, del resto, non potrebbe davvero essere diversamente.
Wolfhowl è un progetto, nato nel 2009 nell'isola di Cefalonia dalla mente del polistrumentista Faethon, che giunge quest'anno alla sua primissima prova in studio, un EP intitolato "My Return To The Mountains".
Dalle band connazionali che ho citato in apertura il musicista ellenico non prende alcun tipo di ispirazione preferendo, invece, guardare più in su e più a destra sulla cartina geografica e privilegiando un approccio che si potrebbe accostare al Nord e all'Est del continente europeo.
La title-track e "On Northern Land" (quest'ultima con tanto di episodi di vocals pulite e "sbilenche" alla Burzum) rimandano infatti ad un Black Metal che trova termini di paragone in realtà quali Drudkh e Hate Forest, senza tralasciare gli imprescindibili classici scandinavi.
Senza togliere al mastermind le buone prestazioni dal punto di vista della strutturazione dei brani, però, le composizioni purtroppo non offrono particolari picchi che sappiano esaltare l'ascoltatore.
Formalmente molto buono un pezzo come "The Coldest Winter", il quale, rifacendosi anche un po' ai Forgotten Woods, offre un riffing che, come da titolo, è in grado proprio di ricreare in qualche maniera quelle sensazioni tipiche della stagione del gelo (sensazioni ricercate maniacalmente da molte band nordeuropee degli anni Novanta) supportato anche nell'impresa dallo stacco atmosferico centrale che, forse, è il punto più alto di questo "My Return To The Mountains".
Nonostante i suddetti tentativi, ahimè, non vi sono mai spasmi tellurici, momenti particolarmente pregnanti o slanci di ispirazione in grado di scuotere l'uditore; insomma, il tutto scorre via in maniera un po' troppo insipida, lasciando poche tracce del suo passaggio.
Per una proposta del genere, il riuscire a catturare l'attenzione è fondamentale anche se, a questo scopo, non sono di certo necessarie soluzioni pirotecniche o impossibili acrobazie musicali: il Black Metal vive unicamente di sensazioni e istinti, di intimità riflessa e, quindi, ciò che conta è riuscire a incanalare nel flusso musicale ogni sfaccettatura emozionale che si desideri trasmettere.
Senza voler in alcun modo sminuire o tacciare di aridità l'operato di Faethon (non è questo il mio scopo, altrimenti sarei a "Porta A Porta" a sputare sentenze gratuite), ritengo che ciò che serva al progetto Wolfhowl sia una bella iniezione di personalità e, perchè no, un po' di esperienza in più sul campo.
Le basi per fare bene credo che ci siano e il tempo non difetta per cui sarò curioso di testare i miglioramenti alla prossima uscita.
Nel frattempo un ascolto a "My Return To The Mountains" potreste anche concedervelo: chissà che anche a voi non venga la voglia di segnarvi il nome Wolfhowl e di monitorare il suo futuro!

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BLACK BEINGS - Anathematize


Informazioni
Gruppo: Black Beings
Titolo: Anathematize
Anno: 2011
Provenienza: Oregon, USA
Etichetta: Freak Metal
Contatti: myspace.com/blackbeings
Autore: Bosj

Tracklist
1. Phase1: Malediction
2. Phase2: Into Nothingness
3. Phase3: Eternal Damnation

DURATA: 28:47

Dopo averlo inseguito a lungo, riusciamo, ad un anno dalla sua uscita, a mettere le mani su "Anathematize", secondo ep del three-piece della west coast Black Beings. Guidata dall'eclettico Aaron "Dead" Nedry (già ospite su queste pagine con i lavori a nome Akem Manah e mastermind di diversi altri progetti), la formazione si dedica ad un canonico ma piacevole funeral doom dai tratteggi noise ed industriali, che ricorda da vicino quanto proposto dalla scena americana attraverso acts quali Catacombs e i Celestiial di Jason Walton, pur senza l'aggressività del primo e la finezza dei secondi.
Le tre tracce qui proposte sono piuttosto "sbilanciate", nel senso che il grosso della produzione è racchiuso nel brano conclusivo, che con i suoi sedici minuti rappresenta da solo ben più della metà del lavoro totale; nonostante questa asimmetria, tuttavia, grazie anche e soprattutto alle sfumature industrial di cui è colorato, il platter si presenta ben omogeneo e i tre pezzi sono uno la naturale prosecuzione dell'altro, risultando quindi difficile dire dove uno termini e il successivo abbia inizio. Le contaminazioni, inoltre, si fanno preponderanti quando si arriva alle parti vocali: tolti alcuni accenni, il "cantato" non è in growl, ma si presenta come un parlato sommesso, sovrainciso e poi sovrainciso nuovamente, sporcato e alonato da una lavorazione "a macchina". A questo si aggiunga che non sono molte le parti in cui la voce è presente, in favore di tastiere reiterate, ripetute fino all'ossessione, specialmente nella parte finale del trittico.
Poco materiale per un esame approfondito del progetto, eppure quanto "Anathematize" mette in mostra è più che valido: se il funeral doom non è mai stato uno dei vostri generi preferiti, anche a causa della durata spesso proibitiva dei lavori ad esso ascrivibili, potreste trovare in questo ep un giusto compromesso.

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VOWELS, VOCI, VICENZA, VICINANZE

Informazioni
Autore: 7.5-M

Nei dintorni di Vicenza c'è il mare. Non mi crederete, ma vi assicuro che è così. Mi direte che esistono i colli Berici e la pianura. Ma io vi posso confermare: c'è il mare. E c'è una barchessa, nella quale stanno i Vowels. Nemmeno io sapevo cosa fosse una barchessa, al principio. I quattro ragazzi - tutto il gruppo nessuno escluso - hanno voluto mantenere il segreto, che lo vedessi coi miei occhi, mi hanno detto. Ho atteso, cinque su una Seicento, senza alcuna aspettativa, per rimanere veramente sorpreso, mentre mi conducevano a lei. Poi l'ho vista: un alto colonnato in mattone rosso ad annunciare una casa colonica a due piani, probabilmente d'un secolo fa, non più in uso, forse. A fianco a questo scafo di grandi dimensioni si trova una piccola villa, del secolo passato, un giardino ben tenuto, ricco con l'acciottolato regolare, la fontanella d'acqua, le piante tropicali. I quattro mi introducono nel giardino della barchessa dismessa attraverso il cancello di ferro annerito, tra sterpi e macchinari abbandonati. Aprono una porta nella chiglia, sotto il colonnato alto, una porta di ferro chiaro. S'apre su una stanza foderata di polistirolo: una sala prova, un luogo da complotti, uno studio di registrazione, un manicomio? Nel secolo passato questa stanza mi dicono fosse adibita a studio di fotografia epigrafica. Ora è una sala isolata all'interno con pannelli scricchiolanti e colla edilizia. L'hanno costruita i Vowels, in questi ultimi mesi. Ancora necessita della corrente elettrica, ma la struttura è pronta, ampia.
Qui lavoreranno in futuro i Vowels, nella sala prove e di registrazione che è la loro esperienza di costruirla, di scrostarne i muri, di riempirli di nuovo. Di raccogliere le radici da terra e sollevarle alla luce presente. Di fronte a questa stanza, case d'americani della base militare vicina e famiglie loro, col canestro in giardino.
Dadaismo e futurismo mescolati mi dicono del loro modus operandi, oppure antidadaismo, scherzano. Per me come per loro è uno scherzo che non significa nulla, al contrario, l'attaccamento al loro mondo, ai loro luoghi ed esperienze, non culturali, è innegabile. Negare il mondo è sciocco, senza sale. Isolarsi da esso è altrettanto insapore, tanto che i ragazzi mi dicono: non ci interessa se fuori dalla stanza ci sentono, cosa molto probabile (ma la zona è tranquilla, intorno c'è molto spazio e verde). L'isolazionismo acustico è in realtà osmosi. Non è quello delle pareti bianche-psichiatriche, è quello che si getta nella realtà e la modifica, creando uno spazio nuovo. Li ammiro per questa volontà così precisa, chiara.
Confrontarsi con la realtà, gettarvi il proprio corpo. Questo inverno i Vowels suoneranno dal vivo, complice il prossimo batterista in arrivo. Un nuovo impegno, unito alla creazione di un luogo che è loro originale, li condurrà alla stagione dei freddi. Non hanno con chi spartire un confronto - forse è un bene, per come sento io -, perciò con chi suonare? Che pubblico cercare d'accogliere? Poche possibilità, incerte. Soprattutto negli ambienti in cui si muovevano in passato, quelli di metallo. Necessitano anche qui di nuovi spazi e nuove relazioni, da costruire e per costruire uno spazio anche culturale, oltre che reale, che possa accoglierli. La loro volontà si muoverà in questa direzione. Spontaneo confido in questa volontà loro, senza dubbi.
Ci allontaniamo dal mare attorno Vicenza, approdiamo alla città accaldata che sbuffa, bardata di paramenti di cementi. Camminiamo per facciate palladiane incompiute, dove è l'assenza a rendere il fondamentale fascino. Discutiamo di urbanistica selvaggia e civile, di Everest e piazze rase dai bombardamenti del secolo passato, di campanili mai esatti, fin dalla nascita.
Loro hanno biciclette alla mano - partiranno per le Sicilie, o per chissà dove, quest'estate - mi accompagnano alla stazione dei treni. Riparto. Torno al mare, a Venezia, tra le barche, dopo essere stato nel ventre d'una barchessa che sta per partire. Mi accorgo che m'è rimasto, puntata come pulce, una spiga tra i vestiti.

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SOLITVDO - Demo MMXII

Informazioni
Gruppo: Solitvdo
Titolo: Demo MMXII
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: myspace.com/solitvdo - solitvdo[at]tiscali.it.
Autore: Akh.

Tracklist
1. Beata Solitvdo, Sola Beatitudo
2. Death At Born
3. ...O Solitvde
4. Ecce Homo
5. ...Et Ego Somnvm In Flvctus

DURATA: 26:36

Dalla Sardegna torna a presentarci Solitvdo, il suo progetto, Herr CDXIII (413, già attivo con i Division VIII, che Aristocrazia ha avuto il piacere di incontrare attraverso una recensione, e coi Crowned in Thorns ), la proposta qui trovata fa parte di un Black Metal di stampo melodico con inserimenti di chitarre acustiche e voci pulite. Se nella vostra mente però si sarà formata la visione di uno dei tanti gruppi che mirano ad annoiarvi con arpeggini e riff blandi vi sbagliate, infatti la melodia sovente si fa battagliera come mostra subito in apertura "Beata Solitvdo, Sola Beatitudo" nella quale emerge immediatamente l'identità di questo combo. Melodia sì ma unita a tensione e a una sana vena B.M. di cui fanno parte anche momenti veloci che ben dimostrano la volontà di ricreare un'atmosfera generale al contempo guerriera, mistica e varia come usavano certi act di matrice più svedese.

Si avvertono a mio avviso anche influenze dai tratti melodici che riportano a certe strutture che possono far venir a mente gli Ulver di "Bergtatt" e lo stesso pensiero ritorna sia per le aperture acustiche sia per certe linee vocali chiare, mentre per i più attenti al mondo underground l'associazione sarà a gruppi come i Gallowbraid nella loro forma più furoreggiante. Esce fuori anche un forte spirito Immortal (epoca "Sons Of Norther Darkness") da certi accordi epici e da un riffing pugnace e vibrante come si può percepire in "Death At Born" o "Ecce Homo".

Ovviamente i rimandi scandinavi non minano la personalità della proposta che anzi riesce a farsi valersi in maniera indipendente e tutto ciò per il valore proprio delle composizioni che vivono bene grazie alla miscela ben dosata delle varie componenti, non ultima una certa marzialità ritmica che accentua il lato rabbioso ed arrembante di Solitvdo. Questa esce prepotentemente anche nel brano "Death At Born" in cui bmp serrati aiutano ad assaltare l’ascoltatore con veemenza e convinzione fino allo sviluppo più trascendente in chiusura di brano, dove i cori puliti la fanno da padrone ricreando il collegamento che andrà a sfociare in "...O Solitvde", un pezzo ispirato dalla lirica del poeta John Keats in cui le clean vocals (che in vaghi frangenti richiamano la presenza suprema di Garm, ma anche di una fragranza evocativa dal sapore medievaleggiante e la presenza di un misticismo della solitudine tangibile ed elitario) su un tappeto di chitarre che si fanno apprezzare per il gusto e le lievi variazione di tema.

Da rimarcare anche la prestazione come session (in quanto Herr CDXIII suona tutti gli strumenti e canta il clean) di WLKN, che con il suo timbro scuro e minaccioso ben si amalgama alle visioni mortifere e al gusto retrò del demo, fornendo una prestazione ottimale; che ben si accosta a questa proposta garantendogli quella vena malvagia e ficcante che va a bilanciare certi altri slanci più "aperti" come si evidenzia nel frangente di "Ecce Homo". Tutta la grazia acustica però fuoriesce nella conclusiva "...Et Ego Somnvm In Flvctus" in cui lo spirito più romantico, introspettivo ed intimo di Solitvdo esce a prenderci per mano conducendoci a perderci fra i flutti della battigia marina, facendo sì che l’anima si fonda assieme alle onde perdendocisi.

La produzione ha forti spunti dediti alla vecchia tradizione e si possono notare alcune sottilissime sbavature ritmiche, ma devo dire che in tempi di iper produzioni e rimaneggiamenti tecnologici (sì, anche per le demo signori miei) tutto ciò mi ha fatto emozionare e percepire la vitalità, la passione, la vibrazione di questi brani, suonati e prodotti con il cuore e non con la freddezza di una scheda audio e di un computer, quindi approvo e do il massimo supporto.

Credo proprio che il nostro movimento underground stia assolutamente bene e band come Solitvdo ci rendono grazia della situazione, a prescindere dai riscontri che si potranno trovare a livello nazionale ed internazionale, i quali non modificano il valore artistico che si sta raggiungendo nella nostra Penisola, alla faccia di crucchi, galletti o canadish.

Questo demo merita attenzione, se fossi in voi mi segnerei il nome e contatterei l'autore; poi mi godrei ventisei minuti di sognante e battagliero Black Metal!

La Fiamma Vive in Solitudine.

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ILLNESS


Informazioni
Autore: Insanity

Formazione
Carrion - Tastiere, Basso, Sample
Gulnar - Voce, Chitarra, Basso, Drum Programming, Sample


Ci eravamo già occupati di loro recensendo l'ultimo full "Planet Paranoia", questa volta conosceremo meglio gli Illness come band, vediamo cosa hanno da raccontarci.

Benvenuti su Aristocrazia Webzine, come va? Come facciamo di solito inizierei col presentare la band, raccontateci un po' la vostra storia.

Gulnar: Abbiamo iniziato nel 2001. Rappresentiamo il "BLACK SCHIZOPHRENIC METAL". È una combinazione di black metal riff maligni con una drum machine automatica e tastiere folli con sample da film horror/thriller/documentari.


Semplice ma adatto alla proposta, come avete scelto il monicker Illness?

Cercavamo qualcosa di "malato", qualcosa che potesse descrivere la nostra musica, il nostro modo di vedere le cose. Illness è stata la prima parola che mi è venuta in mente. Inoltre non c'erano altre band con questo monicker.


Nella recensione si parlava di una svolta del sound in ambiti elettronici dall'EP "Trupi Jad", come è avvenuto questo cambiamento? Com'è stata l'evoluzione della band dagli inizi agli ultimi lavori?

"Trupi Jad" è stato registrato nel 2009. Gli Illness esistono dal 2001. Abbiamo sempre fatto album metà Black Metal e metà elettronici (per questo l'abbiamo chiamato Black Schizophrenic Metal). Abbiamo il nostro stile. Il sound è cambiato perchè abbiamo finalmente trovato un buono studio con dei buoni tecnici (fino a "Planet Paranoia" abbiamo registrato ogni disco in un posto diverso, spesso con gente che non sapeva niente di Black Metal). Abbiamo registrato già tre lavori lì: "Planet Paranoia" nel 2010, "Drowning in Schizophrenic Depression" (split con i S.I.R.S.) nel 2011, e il nostro album "PsychoPath" in uscita nel 2012.


La line-up è sempre stata composta solo dai due membri fondatori, un po' una via di mezzo tra le band "complete" e il trend tipico del Black Metal del "chi fa da sè fa per tre"; c'è qualche motivazione dietro questa scelta o è semplicemente non avete problemi a gestire il tutto in due?

Riusciamo a gestire tutto tra di noi. Non ci serve nessun altro. È la nostra ideologia e nessun altro potrebbe entrarci. A volte usiamo session o ospiti, ma siamo sempre stati una "two members band".


La drum machine viene spesso malvista in ambito Metal, in una proposta come la vostra però il suo suonare meccanico può essere un punto a favore. Avete mai pensato di inserire una batteria reale o credete proprio che la drum machine si adatti alla vostra musica?

La batteria automatica è parte della nostra idea. Suona disumana e fredda. Ci piace così. Potremmo avere un "batterista live" ma non lo vogliamo. Quando abbiamo creato gli Illness, non c'erano molte band che usavano la drum machine (nel Black Metal). Successivamente è diventato un trend e molti "black metaller casalinghi" hanno iniziato ad usarla. È possibile che in futuro avremo una batteria reale in alcune tracce ma non avremo mai un batterista fisso.


Come componete i vostri brani? Chi si occupa della musica e chi dei testi?

Io scrivo tutte le parti di chitarra e i testi, e mi occupo della drum machine. Carrion scrive le parti di tastiera (ma ha scritto una parte di chitarra per il nostro prossimo album "PsychoPath"). Da un po' suona anche il basso che prima suonavo io. Scegliamo i sample dai film insieme.


Parliamo un po' di voi fuori dalla band: avete qualche passione o hobby?

Musica, libri, film. L'arte in generale. Gite nei boschi, montagne...


Quali sono gli album fondamentali per la vostra formazione artistica e che hanno reso gli Illness ciò che sono ora?

"Under The Sign Of The Black Mark", "Pleasure To Kill", "In The Sign Of Evil", "De Mysteriis Dom Sathanas", "In The Streams Of Inferno"... Troppi da citare (anche considerando solo il Metal). Abbiamo iniziato ad ascoltare Metal a fine anni Ottanta. C'erano così tanti ottimi album allora.


Torniamo alla band: dopo "Planet Paranoia" avete pubblicato uno split con i S.I.R.S. (progetto Dark Ambient a quanto ho letto), com'è nata e com'è stata questa collaborazione?

È andata bene. Siamo molto soddisfatti. L. Ghost mi ha contattato via email e mi ha chiesto se volessimo fare lo split con i S.I.R.S.. Abbiamo accettato perchè avevamo ascoltato il demo "Fungemia" e ci era piaciuto molto. Abbiamo sempre apprezzato l'Ambient per cui abbiamo pensto che potesse essere una bella collaborazione. Abbiamo registrato il nostro materiale e ho aiutato L. Ghost con i suoi brani registrando alcune tracce vocali, di chitarra o sample. Qualche mese dopo sono entrato nei S.I.R.S.. Lo split è stato pubblicato in tre formati: cd, un dvd speciale e cassetta.


L'anno scorso avete ripubblicato l'intera discografia in versione cassetta, come avete realizzato questo progetto e perchè?

L'abbiamo fatto perchè siamo ancora maniaci delle cassette, e sappiamo che anche a molte persone piacciono. Ho scritto ad un ragazzo che ha una piccola label underground e gli ho chiesto informazioni per "Trupi Jad" su cassetta. E lui ha voluto pubblicare tutto il nostro materiale. Abbiamo accettato di ripubblicare tutto tranne lo split Illness/S.I.R.S.. È stato pubblicato dalla tedesca Runenstein Records.


Avete mai portato i vostri brani in sede live, o quantomeno avete mai pensato all'idea nonostante siate solo in due?

Non suoniamo live. Vediamo il Black Metal come un'arte, non un altro modo per diventare famosi o fare soldi. Ci importa della musica, del messaggio, non dei fan e dei concerti. Magari faremo un concerto speciale un giorno ma non sappiamo se e quando.


Girando sul vostro Myspace ho notato l'annuncio della prossima uscita ("PsychoPath"). Qualche indiscrezione da darci? Sapete già dirci quando verrà pubblicato?

Il nuovo album intitolato "PsychoPath" è già registrato. Ora siamo nella fase di mixaggio e mastering. Speriamo di finirlo entro fine luglio. La label che ha pubblicato i nostri due ultimi album (Nihil Art Rec) ha qualche problema economico per cui non sono sicuro che riusciranno a pubblicare "PsychoPath". Se non ce la dovessero fare, cercheremo altro.


Altre news per il prossimo futuro?

Dopo "PsychoPath" finiremo il lavoro per lo split Illness/Klver ed inizieremo a lavorare a nuovi brani per un mcd intitolato "Trumna" (bara). Ovviamente continueremo a lavorare con i nostri side project.


L'intervista finisce qui, vi ringrazio per il tempo che ci avete concesso e vi lascio la parola per chiudere con un ultimo messaggio per i nostri lettori.

Never Stop The Madness!!! Chiunque sia interessato a comprare il nostro materiale può contattarci: Illness666@wp.pl o www.myspace.com/illnesshorde.

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MALNÀTT


Informazioni
Autore: M1

Formazione
Pôrz - Voce
Lèrd - Batteria
Bigât - Chitarra
Aldamèra - Basso


Non hanno un nuovo disco da promuovere, o meglio non ancora, non sono reduci da un tour europeo eppure è sempre interessante e mai banale quanto hanno da dire i Malnàtt nella figura del loro storico e "divino" leader Pôrz. Potrete condividere o detestare quanto leggerete, sicuramente non rimarrete indifferenti.

Ciao Porz, ciao Malnàtt, come vanno le ricerche di un'etichetta per la pubblicazione del vostro futuro quinto album "Principia Discordia"? Al giorno d'oggi ha ancora senso affidarsi a una label? Quali vantaggi dovrebbe comportare per essere presa in considerazione da voi? Eventualmente avete vagliato l'idea dell'autoproduzione?

Porz: Ciao, ti correggo subito circa il "quinto", ovvero questo per noi è il settimo album da studio (comprese autoproduzioni e demo) ma è il quarto registrato in uno studio professionale e con la velleità di essere pubblicato e distribuito in tutto il mondo. Siamo in trattative con un'etichetta italiana, credo i termini si definiranno verso fine luglio. Quando e se firmeremo il contratto la news verrà pubblicizzata worldwide!


È stato soddisfacente il rapporto precedente con CCP Records?

Il rapporto con la CCP è stato formalmente ottimo dall'inizio alla fine del contratto, ma da un punto di vista professionale si è spento album dopo album, perché più noi ci stavamo disinteressando al folk più l'etichetta si disinteressava a noi.


Dal vostro sito ho appreso che avete registrato ben tredici nuovi brani, potete svelare qualcosa in più? Vi siete mossi sulla scia del precedente disco?

Avevamo ancora qualche poesia da musicare, e in questo senso c'è un filo conduttore con l'album precedente. Musicalmente invece abbiamo seguito il percorso di austerità inaugurato con il governo Monti: la musica e gli arrangiamenti sono minimali e aggressivi, i tempi si sono velocizzati rispetto al passato, inoltre siamo intervenuti anche sulla spending review e la lineup si è asciugata a soli quattro elementi e ognuno suona un solo strumento. Via anche le auto blu: il chitarrista si sposta con quella aziendale e il batterista si muove in scooter. Bassista in bicicletta e io a piedi. Il prossimo passo sarà fare le prove ognuno da casa propria via Skype.


In passato avete proposto cover molto personali di gruppi come Moonsorrow, Moonspell, Turbonegro, Mad Season. Cosa dobbiamo aspettarci dalle due presenti su "Principia Discordia"?

Una cover non è mai personale, una cover è quello che ti sarebbe piaciuto comporre nella tua vita ma non sei capace e ti tocca di copiare gli altri. In questo senso trovo che le cover e le tribute band siano le più oneste del pianeta: ammettono la loro mancanza di capacità e vestono i panni di altre persone, come dei bambini con la spilla da sceriffo e la pistola di plastica che credono di essere dei difensori della legge. Tornando a noi: abbiamo registrato una canzone black'n'roll dei Darkthrone che suoniamo dal vivo (la potete ascoltare sul nostro MySpace) ["Too Old Too Cold" NdA] e anche una canzone dei Beatles a cui abbiamo cambiato alcune parole nel testo (anche in questo caso la renderemo scaricabile gratuitamente, anche se non abbiamo ancora deciso quando).


So che non amate le etichette appiccicate addosso e la retorica, anzi preferite la dissacrazione di tutta la sacralità del mondo black metal e dintorni. Che cos'è per il voi il black metal? Ha senso parlare di black metal come di un mondo a se stante?

Il black metal è dissacrazione. Anzi, il black metal non è un cazzo ma se fosse qualcosa sarebbe dissacrazione allo stato puro. Il problema è che è un movimento adolescenziale per gente timida repressa e sociopatica quindi non riesce ad avere alcuna incisività nel mondo reale. Un esempio? Venticinque anni di dichiarazioni altisonanti da parte di migliaia di band black metal hanno fatto contro il tanto odiato Cristianesimo MOLTO MENO di quello che ha fatto il movimento nigeriano di Boko Haram negli ultimi sei mesi. L'apice della "guerra contro il Cristianesimo del black metal" è stato quando un disadattato norvegese figlio di militari si è messo a bruciare dei monumenti storici sostenendo che erano simboli, diventando alla fine lui stesso simbolo di quanto si può essere coglioni a buttare via la propria giovinezza in carcere.


Il vostro stile musicale è cambiato molto dagli esordi grezzi e pagan/folk ad oggi. Come va interpretato questo mutamento? Una lenta e costante evoluzione o più semplicemente passano gli anni, cambiano le persone e così anche la musica?

Più che evoluzione è involuzione. Negli anni ho sempre cercato di fare in modo che in Malnatt ci fosse una regressione. Il fine ultimo della band è mandare via tutti finché non rimarrò da solo nella lineup. A quel punto farò degli show per voce gracchiante e tamburello in centri sociali senza pubblico.


Troppo spesso in passato ho sentito parlare di voi come di un gruppo black demenziale, aggettivo questo che una volta appioppato è difficile da scrollarsi di dosso e che indirizza in maniera eccessivamente univoca e limitante nel vostro caso il pensiero dell'ascoltatore (pigro). Pensate che lo stile e i testi poetici adottati in "La Voce Dei Morti" abbiano cambiato almeno parzialmente la situazione?

Non capisco come sia possibile definire DEMENZIALE una band che ha fatto cose come studiare i canoni della musica folk e medievale, che ha introdotto strumenti inediti per il genere (fisarmonica, bodhràn, tromba, scream femminile…) e che ha fatto un concept album usando poesie decadenti di poeti morti dell'800 e del '900… Soprattutto quando è ritenuta "seria" (trve) della gente che si trucca da pagliaccio e fa le foto nei boschi, che si mette le armature e contrae i muscoli per fare degli autoscatti patetici o che fa dei falò nel bosco credendosi dei celti o dei vichinghi… In un mondo normale sarebbero questi i dementi, non noi. Il problema vero è che per fare black metal devi essere in posa il 100% del tempo, mentre noi ci permettiamo di essere "normali" e di prenderci in giro. Il vero Nichilista non è quello che sta in un angolino a far finta di essere depresso, il vero nichilista ride e scherza in mezzo alla gente, poiché nulla conta.


La figura di Porz è il centro dell'universo Malnàtt, qual è (ed è stato in passato) il contributo dei compagni di avventura? Dobbiamo considerarvi un gruppo a tutti gli effetti o il gruppo di Porz, il quale si avvale di collaboratori?

Io sono il coach, gli altri sono i giocatori. Io senza squadra non vado da nessuna parte, gli altri senza i miei illuminati schemi di gioco suonerebbero solo cover noiose con qualche sfigato capellone senza idee. Siamo dipendenti gli uni dagli altri. Un maestro senza allievi non è un maestro, e un allievo senza maestri non migliorerà mai la sua condizione di allievo.


La domanda che volevo porvi da una vita: "Pornokrator" è un omaggio, una parodia o una presa in giro a "Kosmokrator" degli Spite Extreme Wing?

Era un omaggio. Un omaggio sincero, perché ammiravo l'assoluta abilità di riuscire a riciclare riff norvegesi unendoli a testi copiati da filosofi destroidi falliti. In più c'era sempre qualche storia legata a luoghi carichi di magia e di improbabili riverberi naturali. E quelle foto dei luoghi che in passato erano stati teatri di guerra… Uao! I prodotti SEW erano davvero coinvolgenti, solenni, interessanti e profondi. Tra l'altro credo ci siano molti temi comuni tra SEW e Malnatt: l'alchimia come metodo di ricerca interiore, la guerra, l'italicità... Solo che li trattiamo in maniera DIAMETRALMENTE OPPOSTA, quindi per noi il Kosmokrator di origine mitraica diventa il Pornokrator che nasce dal barbecue… Punti di vista. Sono passati anni, ho perso le email, comunque mi era stato esplicitamente chiesto da Argento di rivolgere i miei omaggi in altra direzione. Giuro che avevo davvero rispetto di quell'artista ma gli dovetti rispondere che a caval donato non si guarda in bocca. Come si era stizzita tutta l'invitta armata!


Voi come gli In Tormetata Quiete siete apparsi nella serie tv "L'Ispettore Coliandro": un giudizio su quell'esperienza?

Mai come dopo l'apparizione televisiva abbiamo avuto richieste per suonare e fare tour (a pagamento ovviamente). È molto triste che in un ambito musicale che fa dell'elitarietà e dell'underground i propri vessilli ci si debba poi scontrare con il fatto che solo andando in televisione diventi degno di essere preso in considerazione. Comunque sia i Manetti Bros sono dei grandissimi e si meriterebbero di avere orde di produttori facoltosi alle spalle, perché a differenza di tutti i registi incapaci e di regime da cui siamo circondati loro le IDEE le hanno davvero!


Spesso nelle interviste ci si piange addosso fra intervistatore e intervistato: la scena fa schifo, l'italiano medio è tutto Sanremo e stadio, gli mp3 hanno distrutto la musica eccetera. Quali motivi invece vi spingono personalmente a mettervi in gioco in prima persona ancora oggi nonostante tutto e tutti?

In sostanza noi vogliamo metterci ancora in gioco perché la scena fa schifo, l'italiano medio è tutto Sanremo e stadio, gli mp3 hanno distrutto la musica eccetera.


Rubo i diritti d'autore al collega ticino1 e vi chiedo: a quale domanda avreste da sempre voluto rispondere ma non vi è mai stata posta?

Ti rispondo chiedendoti: qual è la domanda che avresti sempre voluto fare ad una band ma per motivi di posa aristocratica o di buon gusto non hai mai fatto?


Vi ringrazio per la disponibilità e mi auguro che il nuovo disco possa essere fuori il prima possibile. Prima di chiudere, lasciandovi la parola, quali sono i tre motivi per cui i nostri lettori NON dovrebbero ascoltarvi?

I motivi per non ascoltarci sono infiniti. Sceglierne tre sarà impresa ardua. Innanzitutto non sappiamo suonare: se vuoi ascoltare della musica vera non prendi sicuramente un disco di Malnatt. E nemmeno degli In Tormentata Quiete anche se hanno l'immotivata fama di essere musicisti raffinati. Se vuoi ascoltare musica vera non dovresti ascoltare black metal e metal in generale a dire il vero, ma Elio e Le Storie Tese per esempio. Il secondo motivo è che anche se ci sforziamo non riusciamo a essere mai troppo banali. Vorremmo essere come le grandi band che ripetono sempre lo stesso album per anni. Il metallaro vuole sicurezza, vuole lo stampino indipendentemente dal sotto-genere che ascolta. Band come Iron Maiden, AC/DC, Motorhead, Amon Amarth e Meshuggah ci insegnano che una volta che hai trovato il tuo sound puoi mettere in stasi la creatività e iniziare moltiplicare le vendite dei dischi. Nel metal se ti evolvi sei morto. Il terzo motivo l'ho lasciato per ultimo perché è il più importante: se ascolti bene le canzoni leggendo i testi e chiedendoti cosa significano dopo un po' inizi a pensare e ad avere un atteggiamento critico nei confronti del mondo. Insomma capisci che dietro a ogni strofa e a ogni arrangiamento c'è un ragionamento e alchemicamente il metallo pesante diventa metallo pensante. Questa trasmutazione è pericolosa e non tutti se la possono permettere. Perché nessuno vuole pensare. Non è un caso che una delle industrie che ha più introiti sia quella dell'entertainment. La gente vuole tornare a casa dal suo lavoro di merda, cacciarsi sul divano e spegnere il cervello finché non sarà chiamato a timbrare il cartellino il giorno dopo. Non è un luogo comune, o almeno non solo. La gente vuole le battute sui gay o sulle donne che non sanno guidare; vuole Spiderman; vuole Braveheart; vuole eroi che facciano le cose al posto loro; vuole le trasmissioni sugli animali pericolosi o sulle feste dei ricchi americani. E soprattutto vuole farsi i cazzi degli altri su Facebook per tre o quattro ore al giorno. Così almeno dicono le statistiche. Ma la stupidità coatta è quasi desiderabile se si pensa che c'è un'altra industria ricca quanto quella dell'entertainment: ovvero quella delle armi. E credo che ancora una volta non sia un caso. Significa che i popoli vanno sedati a suon di stronzate via tv, cinema, internet, etc. e se poi però intendono reagire vanno immediatamente repressi nel sangue. Il cervello è un lusso per pochi e Malnatt ti fa diventare uno dei pochi. Ecco perché nessuno dovrebbe ascoltare Malnatt.

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