venerdì 30 marzo 2012

QUO VADIS - Infernal Chaos


Informazioni
Gruppo: Quo Vadis
Titolo: Infernal Chaos
Anno: 2010
Provenienza: Polonia
Etichetta: Total Metal
Contatti: myspace.com/QuoVadisPL
Autore: Mourning

Tracklist
1. Caducus
2. Blood For Oil
3. Bomb & Fire
4. Black Horizon
5. Chaos
6. Dreams
7. Cross Of Gold
8. East Vs. West
9. Nimue
10. Evil Dad
11. Russia

DURATA: 54:18

I Quo Vadis di cui intendo parlare non sono i canadesi, il cui prog/death di razza è ben lontano dalla realtà polacca in questione, oltretutto più vecchia come nascita.
"Infernal Chaos" è l'ottavo disco prodotto da questa formazione e venne rilasciato nel 2010 tramite l'etichetta Total Metal.
Il platter si allontana decisamente dalle classiche produzioni "made in Poland" in primis per l'impostazione meno brutale e maggiormente ragionata, per una deriva thrash che miscela con discreta sapienza influenze che attingono dal panorama europeo ad altre ricollegabili alla scena Bay Area facendo filtrare la sensazione che vogliano andare ben più lontano provando a essere orecchiabili e melodici. Inoltre accentuano già dai titoli, spesso semplici e chiarificatori, le tematiche trattate, si vedano "Cadacus" (esoterismo), "Bomb & Fire" (fanatismo religioso) e "Evil Dad" (molestie).
Ci provano a uscire dal classico calderone da "minestra riscaldata" sfruttando tratti orientaleggianti nella già tirata in ballo "Bomb & Fire", infilano dentro anche le tastiere in "Cross Of Gold" offrendole da contorno a un brano robusto e come accennato in antecedenza non si fanno mancare il ritornello da canticchiare. Sono scelte rischiose e che solitamente tendono a dividere le opinioni fra coloro che amanti dell'old school sputeranno veleno a priori e altri che più tolleranti e fruitori di proposte "alternative" le troveranno di proprio gusto; anche in questo caso siamo dinanzi a un conflitto eterno e privo di soluzioni.
Tirando le somme, dopo svariati ascolti di "Infernal Chaos" ciò che appare evidente è che i Quo Vadis abbiano le idee chiare su come muoversi ed esporre le loro motivazioni in musica, il disco non diventerà mai un "masterpiece" ma lo s'inserisce nello stereo di buona lena e questo insieme alla piacevole ora scarsa di compagnia da loro offerta è ben più che un risultato sufficiente per un "on air" simile.

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MOVIMENTO D'AVANGUARDIA ERMETICO - Ignis


Informazioni
Gruppo: Movimento D'Avanguardia Ermetico
Titolo: Ignis
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Natura Morta Edizioni
Contatti: myspace.com/movimentodavanguardiaermetico
Autore: Mourning

Tracklist
1. Morte Iniziatica
2. Ermetico Signal D'Antica Schiera
3. Sole Nero Degli Albori
4. Ignis, Oltre La Linea Del Fuoco
5. La Via Del Lupo
6. Promontorio Estremo Da Secoli
7. Guerriero

DURATA: 42:51

Per i fedelissimi fruitori della scena black italica, il finire del 2011 porta con sé una notizia che sarà di sicuro gradimento, la Natura Morta Edizioni ha ridato vita al demo-album "Ignis", lavoro degli "impegnati" e decisamente "impostati" Movimento D'Avanguardia Ermetico.
La band piemontese si è distinta nel corso degli anni per un cammino evolutivo che l'ha resa una realtà di valore in quanto mai fossilizzatasi sui canoni "standard" che affliggono e rendono monotone sul lungo andare le release di stampo "elucubrativo". Il loro black non ha mai rinnegato fughe estemporanee in territori pagan e folk, ascoltate a esempio la fase d'incipit della traccia finale di questo lavoro, "Guerriero", ed è riuscito a innovarsi pur mantenendo fede all'utilizzo dell'idioma nostrano per quanto concerne il cantato. È il conservare una dose di "depressive-attitude", seppur modificata opportunamente con l'incrementare o il variare di tinte grigio-scure, che li ha condotti sino al colore nero rappresentante unico di "Stelle Senza Luce".
"Ignis" è un messaggio che supera le barriere artistiche, non è solo musica, non è solo parola, è arte e in quanto tale va interpretato calandosi nella realtà dell'artista, non è una scelta semplice, non è un volersi conformare, è l'esatto contrario, è il progredire tentando d'involvere il proprio pensiero, facendo affiorare quella primordiale individualità che permette al Lupo d'essere fondamentale nel branco e ugualmente forte e battagliero per la propria sopravvivenza nella solitudine. È il puntare un obbiettivo perseguendolo, superando i valichi ideologici che conducono alla via sì più semplice ma che nel calcolo delle possibilità nella maggior parte dei casi sarà quella da evitare per non cadere prigioniero della "massa", è il riformare una società che non è più tale.
L'aspetto sonoro viene in soccorso dell'ascoltatore inondandolo di sensazioni contrastanti, le melodie struggenti, le aperture grondanti una malinconia ancestrale che invita a riflettere, lo spingere incalzante delle fasi più ruvide e incattivite anche nella voce esortante ed evocativa nel recitato di "Sole Nero Degli Albori", filtrata e acida in "Ignis, Oltre La Linea Del Fuoco", dipingono un quadro nel quale consapevolezza dei propri mezzi e lucidità d'intento sono concetti messi in ampio rilievo.
Chi non avesse avuto la fortuna di accaparrarsi la prima versione di questo gioiellino "made in Italy" potrà ringraziare la Natura Morta Edizioni per questo "regalo", "Ignis" è quindi nuovamente disponibile, adesso avete l'occasione per farlo vostro.

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MAD MAZE - Frame Of Alienation


Informazioni
Gruppo: Mad Maze
Titolo: Frame Of Alienation
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Punishment 18 Records
Contatti: myspace.com/madmazethrash
Autore: Mourning

Tracklist
1. Walls Of Lies
2. Sacred Deceit
3. Mad Maze
4. Cursed Dreams
5. ...Beyond
6. Caught In The Net
7. Lord Of All That Remains
8. Mk-Ultra
9. Retribution

DURATA: 39:29

Il thrash è un genere che purtroppo o per fortuna possiede dei confini alquanto stabili e ormai ben delineati, è quindi sempre più complesso venir fuori all'interno di un'area musicale così popolata da act "similari" se non per componenti quali carattere e personalità. Queste solitamente si riflettono sul songwriting evitando di offrire una prestazione che si limiti a riproporre in maniera ordinata, alle volte molto più che piacevole ma pur sempre infinitamente derivativa, giri, cantato e assoli in stile "copia & incolla"; ciò non è affatto facile e la prima uscita è un test divenuto complicato da superare.
I nostrani Mad Mazem dopo aver pubblicato nel 2010 l'ep "No Time To Left" hanno atteso due anni per dare alle stampe il debutto "Frames Of Alienation", avranno raggiunto i risultati sperati?
C'è da dire che il disco suona davvero bene, è innegabile che gli emiliani sappiano cosa vogliono e conoscano bene ciò che interpretano, forse anche troppo, è solitamente inevitabile il paragone con act noti soprattutto quando come nel caso di questi ragazzi le similarità per impostazioni, dinamiche e scelte di sound ti riconducono pari passo a realtà quali Exodus e Testament in maniera così evidente. Non è forzatamente un problema, è altrettanto ovvio però che la situazione divenga scomoda quando la sensazione di deja-vù diviene una costante.
I brani scorrono facendo affiorare una discreta grinta e una serie di soluzioni indovinate in "Sacred Deceit", "Mad Maze" e "Lord Of All That Remains" e trovando dei discreti ganci melodici e facendo defluire una certa vena progressiva nella conclusiva "Retribution". La stoffa c'è, sarà quindi possibile lavorarci su in futuro per modellarla al fine di farle rompere i cardini che la costringono a rimanere racchiusa in un bozzolo composto di "standard" di buona fattura ma che pur sempre standard rimangono, dando così spessore e varietà anche ai tentativi sinora poca riusciti di aperture unicamente strumentali come "...Beyond".
La voce di Alberto Dettori è timbricamente interessante, ben impostata e non lontana dal rimembrare quella di Russ Anderson dei Forbidden, potrebbe però evitare l'uso di passaggi tendenti al "growl" che legano poco con la musica.
I Mad Maze sono un cantiere in corso nel quale vi è tutto il materiale a disposizione, le combinazioni e la maturità che acquisiranno produzione dopo produzione apporteranno probabilmente quelle piccole ma dovute modifiche che permetteranno al loro approccio d'affinarsi e divenire maggiormente proprio. È quello il punto da tenere in considerazione per il salto di qualità che accrescerebbe di sicuro i valori sinora in possesso di un sound "che piace".
"Frames Of Alienation", una bionda da 66 cl e headbanging libero basterebbero a farvi passare un po' di tempo in gradevole compagnia, per andare oltre e mantenere ben saldo il posto nello stereo toccherà attendere ancora.

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JUMPING JACK - Truck & Bones


Informazioni
Gruppo: Jumping Jack
Titolo: Truck & Bones
Anno: 2012
Provenienza: Francia
Etichetta: Aderock Records
Contatti: myspace.com/jumpingjackgroup
Autore: Mourning

Tracklist
1. She Made No Resist
2. Wet Desert
3. Crystal Tree
4. Into My Eyes
5. Churches Flames
6. Taxidermic Sensation
7. Fucking Holidays
8. Black Jack
9. Siren's Blast
10. Drunk Peanut
11. Neverth

DURATA: 48:38

Due anni, sono passati due anni dall'uscita del primo ep "Cows And Whisky" e a gran voce ritornano i francesi Jumping Jack con l'album di debutto "Truck & Bones", vogliono farsi sentire e lo fanno nel migliore dei modi.
Li avevamo lasciati vogliosi di divertire e carichi di una goliardia travolgente, li ritroviamo convinti, incazzati e con una prestazione muscolare che ha aumentato il tasso di ottani non mettendo di lato nessuna delle componenti passate come le incursioni groovy e il Kyuss sound ma con l'aggiunta di un tocco grunge percettibile in più situazioni che adesso ne completa la miscela esplosiva.
Quest'ultimo additivo è chiaramente riscontrabile nell'opener "She Made No Resist" nella quale echi degli Alice In Chains sono evidenti soprattutto nell'impostazione vocale del sempre bravo Julien Bells, nei momenti in cui decide di mettere di lato il graffiato irruento a favore di un'esecuzione più pulita e come non pensare a un accostamento nirvaniano in alcuni frangenti della successiva "Wet Desert"?
Che il sound dei Jumping Jack sia di quelli "bastardi", nel modo più corretto e piacevole d'interpretazione del termine, è evidente, riescono a essere convincenti nei pezzi più heavy e trascinanti come avviene in una "Into My Eyes" nella quale spiccano la semplicità del ritornello, la fase corale e le spinte di cassa ad opera di un Chris Dabrown scatenato.
I francesi incanalano una crosta southern godereccia in "Fucking Holidays" e "Siren's Beast", tengono il piede ben saldo sull'acceleratore ma essendo un grosso camion con tanto di rimorchio il mezzo prescelto per rappresentare la prestazione massiccia dell'album, era dovuto attendersi non grandi velocità piuttosto logicamente un'espressione di potenza e impatto dirompenti, ci hanno accontentati.
Il modo di sedurre con note e soluzioni dietro il microfono che sembrano sempre più un incrocio con la Seattle degli anni Novanta e l'evoluzione di Homme nelle sue varie creature sono stati pienamente assorbiti, ascoltate "Churches Flames", è lampante come una deriva dei Queens Of The Stone Age più malinconici s'inserisca nell'animo dei Jumping Jack e per non far torto a nessuno in "Taxidermic Sensation" è la band madre Kyuss a unirsi all'onda sonora del gruppo spalleggiandola e arricchendola ancor più.
Le prospettive erano rosee, non mi attendevo però un album così convincente ed essenzialmente maturo come "Trucks & Bones". Il trio, nel quale è d'obbligo citare il lavoro del bassista Manu Redhead perfetto nel dar manforte allo scatenato Chris dietro le pelli, possiede la piena consapevolezza dei mezzi a propria disposizione e li utilizza con una naturalezza e gusto sui quali c'è poco da discutere.
Leggendo avrete quindi compreso che ritengo questo disco un acquisto da fare, se poi aveste già avuto in passato il piacere d'ascoltare quella dose d'adrenalina che è "Cows And Whisky" sono sicuro che questo "Truck & Bones" non vorrete di certo perderlo, è puro godimento.

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INFERIUS TORMENT - Ceremony Of Godslaying


Informazioni
Gruppo: Inferius Torment
Titolo: Ceremony Of Godslaying
Anno: 2012
Provenienza: Russia
Etichetta: World Terror Committee
Contatti: myspace.com/inferiustorment
Autore: Mourning

Tracklist
1. Agnus Dei
2. Evangelical Key
3. Diabolical Perversity
4. Sola Scriptura
5. Archangelic Seals
6. Evil Manifestos Of Satan
7. Funeral Of Christian God
8. Unbaptized Flames

DURATA: 37:10

Diretti, veloci, bastardi e pronti a sferrare un colpo dietro l'altro, i russi Inferius Torment tornano alla carica dopo il debutto "Your God Liar" e che ce l'abbiano con le divinità e seguaci non è cosa nuova, vi dicono nulla i titoli dei lavori precedenti "Prey From Burning Church" e "War Against Christianity" rispettivamente demo ed ep di questa formazione?
La linea seguita con il nuovo album è la medesima a partire dalla scelta del nome, "Ceremony Of Godslaying", e in quanto alla sostanza è un black/death efferato, privo di fronzoli quello che sbattono in faccia, qualche rallentamento per aumentarne il carico solforico ma nei frangenti più incisivi sono chitarre che intagliano la pietra e una batteria dinamica, veloce e sprezzante a cura dal drumming Torturer, membro anche dei Bethlehem ed ex degli austriaci Belphegor, a essere l'arma vincente dei pezzi che sfoderano una bestialità disarmante come avviene in "Diabolical Perversity".
Gli Inferius Torment creano anche dei discreti momenti melodici nell'opener "Agnus Dei", assumono una postura più ordinata e decadente nelle allentate "Sola Scriptura" e "Archangelic Seals" caratterizzate da fasi corali trascinate e strutture nelle quali si cerca di mettere in risalto la parte più introspettiva e malvagia evitando il cliché delle soluzioni "only violence". È però senza alcun dubbio il mantenimento pressante di ritmi frenetici con annesso riffato macerante la miglior mossa messa in atto dalla band e il crescendo dell'ultima canzone citata, le accelerazioni di "Evil Manifestos Of Satan" e le cadenze martellanti a più riprese in "Funeral Of Christian God" non fanno che confermare tale tesi con i rimandi a una scena svedese, quella di Marduk e Dark Funeral, che sembrano essere alquanto palesi.
"Ceremony Of Godslaying" è un po' come ascoltare chi crede d'aver scoperto l'acqua calda, la minestra è quella che in tanti apprezziamo da tempo e gli ingredienti per quanto validi alle volte vi risulteranno talmente familiari da farvi ammettere che qualche fase di stanca ci sia.
Gli Inferius Torment in fin dei conti se la giocano con le carte a loro disposizione, siano buone o meno questo lo deciderete voi, certo è che se necessitate di una scarica d'adrenalina e stop un album simile è quantomeno consigliabile.

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GROSS GROLLAND - What Doesn't Kill Me Makes A Big Mistake


Informazioni
Gruppo: Gross Grolland
Titolo: What Doesn't Kill Me Makes A Big Mistake
Anno: 2012
Provenienza: Russia
Etichetta: Metal Scrap Records
Contatti: myspace.com/grossgrolland
Autore: Mourning

Tracklist
1. Kamikaze
2. Under Sight
3. Die
4. B.Y.E. (Be Your Enemy)
5. It
6. Voices
7. 648
8. Policeman Tropillo
9. Friday
10. Friendship

DURATA: 37:23

Ok, suonare groove è bello, suonare groove è di tendenza, però adesso il panorama è esageratamente stracolmo di band simili, troppo simili, i russi Gross Grolland vanno a infoltire ulteriormente questa già immensa schiera di band non così meritevoli.
Le intenzioni di base e il sound a dir la verità non sono male, è facile ricondurre a gente come i Pantera la matrice dalla quale hanno attinto, è presente una componente elettronica seppur minimale che potrebbe far pensare a qualcosa dei Syl ma per lo più si ha a che fare con una band che punta sul groove con la pecca di affondare poco i colpi.
Lo strato in superfice infatti porta di primo acchito a considerare il debutto "What Doesn't Kill Me Makes A Big Mistake" un album nel complesso piacevole e con più di uno spunto azzeccato se non fosse che, dopo più giri nel lettore, le magagne vengano pian piano a galla.
Si percepiscono dei cali di potenza strani per una proposta che fa del "groove" la sua caratteristica portante tanto da limitare a soli due brani per altro in coda, "Policeman Tropillo" e "Friendship" con quest'ultima che nel ritornello assomiglia stranamente a "The Promise Of Agony" dei Dark Angel, le esecuzioni motivanti all'ascolto.
Sparsi per il platter si percepiscono buone intenzioni ("Under Sight", "Be Your Enemy" e "648") che però sembrano possedere il freno a mano tirato, un po' quello che succede in casa dei The Haunted da troppo tempo a questa parte, si prende il largo con il piede giusto e poi... non si arriva in nessun posto.
I Gross Golland sono un discreto sottofondo da utilizzare quando si è in palestra o nei momenti nei quali si è indaffarati e si ha voglia comunque di qualcosa di discretamente pesante che li accompagni, difficilmente però riusciranno a entrare nelle grazie di coloro che non si accontentano di una onesta quanto in più casi scontata prestazione del genere. I mezzi e la volontà ci sarebbero pure, per i risultati siamo ancora lontani dallo spingerci oltre un'anonima e poco gratificante sufficienza.

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CRUSHER - Endless Torment


Informazioni
Gruppo: Crusher
Titolo: Endless Torment
Anno: 2012
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Metal Scrap Records
Contatti: myspace.com/crusherkiev
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro
2. On The Needle
3. Den Of Inquity
4. Politishit
5. Endless Torment
6. S(k)atanic Ride
7. Jesus Saves (Slayer cover)
8. Living For...
9. Thrasher In Hell

DURATA: 31:37

I Crusher sguazzano nel thrash, i Crusher si dilettano con l'old school sound, sono miriadi le band che si potrebbero citare a loro influenza, in pratica potrebbe essere l'incipit di qualsiasi recensione che si presti ad analizzare un disco del genere legato alla nuova ondata.
"Endless Torment", questo il titolo del debutto del trio ucraino, è un album decisamente rivolto con lo sguardo al panorama anni Ottanta, quindi niente coretti facili, zero melodie svedeseggianti o catchy ma bensì tanta devozione che spicca e alimenta la mezzora e poco più di durata.
Il platter è di facile fruibilità, i requisiti fondamentali per goderselo appieno? Passione per il thrash, una buona birra in mano e voglia di fare headbanging, è una situazione zero pretese e molto divertimento quella nella quale i Crusher ci coinvolgono con i loro brani, non sto quindi a scegliere quale sia il migliore o il peggiore della tracklist, è una piacevole "medicina" da prendere in unica soluzione e poteva mancare l'omaggio a quelli che fra i tanti maestri sono i più celebrati?
La cover di "Jesus Saves", pezzo storico dell'altrettanto capolavoro immortale "Reign In Blood" targato Slayer, viene eseguita con passione, farla meglio dell'originale è impossibile, gli ucraini la ripropongono in maniera disinvolta ed è già tanto.
Non c'è nulla di sbagliato in un lavoro come "Endless Torment", c'è riversata la voglia di suonare di tre ragazzi che hanno l'attitudine giusta per affrontare e vivere il mondo thrash, forse più di tanti altri supportati da grandi label e produzioni iperpompate. Può essere penalizzante averne una più sporca ma che risulti più vera? A mio modo di vedere no, purtroppo cambiano i tempi e le mode portano con sè danni enormi all'immagine e alla cultura musicale.
Per coloro che seguono con costanza il revival thrash i Crusher risulteranno graditi, con tutta probabilità non diverranno mai dei capofila però il proprio sporco lavoro lo svolgono e si sente.

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CONSTANTINE - Divine Design


Informazioni
Gruppo: Constantine
Titolo: Divine Design
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Palokka Records
Contatti: myspace.com/constantineoffinland
Autore: Mourning

Tracklist
1. Divine Design
2. The Shadow Within
3. The Seers Of The Shadows
4. A Change In The Tide
5. Slave To The Flame
6. Through The Veil Of Death
7. The Darkest Grace

DURATA: 01:00:50

Ci sono band che al primo ascolto ti fanno pensare: "ah, finalmente si respira", i Constatine finlandesi mi han fatto quest'effetto con il loro debutto "Divine Design".
In un mare heavy che si divide fra troppi "happy act" e un buonissimo revivalismo NWOBHM, i finnici si piazzano nel mezzo sfruttando le doti del suono classico combinandole con una più che discreta dose di progressione. Pensate a un misto di Queensryche, Dream Theater e Fates Warning che si fondono con forti intrusioni Iron Maiden e Helloween, il risultato è la musica del platter.
Non parlo di un "masterpiece" ma di un disco che suona quantomeno diverso dalle continue forzature nell'uno o nell'altro senso che hanno portato una marea di "cloni" e pseudo tali a invadere il mondo metal. La genuinità, l'istintività e anche un pizzico di voglia di strafare, il pezzo più breve dura "soli" sei minuti, giocano a favore di un platter che possiede dei buoni brani per costruzione, sviluppo e incastri solistici, in tal senso è lodevole l'operato della coppia di axemen composta da Janne Seppänen e Janne Korpela capace di tessere discrete trame melodiche ed apportare quel tocco prog alle trame.
Il supporto offerto dalla base ritmica che vede Antti Varjanne al basso è molto presente, udibile chiaramente nelle sue operazioni di ricamo, con Marko Möttönen alla batteria particolarmente abile nell'apportare dinamismo ai brani ma un po' penalizzato da un sound che sembra poco "robusto", mentre l'unico a possedere qualche piccolo neo è il cantante Lassi Vääränen non proprio perfetto però decisamente coraggioso nel muoversi sui brani con tonalità rimembranti il signor Michael Kiske verso il quale in certi frangenti vi è più di una semplice somiglianza.
Gli apici per quanto concerne la tracklist vengono toccati nella più compatta e accattivante "The Shadow Within" e nell'ambiziosa ed epicheggiante "The Darkest Grace", agli antipodi per approccio e consistenza dato che si parla del brano più breve e di quello più esteso per durata di "Divine Design", in entrambe le occasioni i Constantine sembrano possedere una marcia in più dimostrando come le potenzialità in dote possano far prospettare un roseo futuro, con "Through The Veil Of Death" che si candida emotivamente a divenire la mia preferita ascolto dopo ascolto, rapisce.
Un'ora di musica quella contenuta in "Divine Design" che non merita assolutamente di passare inosservata, vi consiglio quindi di prestare orecchio ai Constantine e di segnarvi il monicker perché se il buongiorno si vede dal mattino ne sentiremo certamente parlare.
All'interno del digipak dai toni foschi-crepuscolari troverete allegato un codice per l'accesso personale a un'area bonus nella quale potrete esaminare un breve documentario, rehearsal tapes e altre chicche, un motivo in più per entrare in contatto con una band che vuole farsi conoscere, supportateli con l'acquisto dell'originale.

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C-300 - Scourge Of Angel


Informazioni
Gruppo: C-300
Titolo: Scourge Of Angel
Anno: 2010
Provenienza: Russia
Etichetta: Metal Scrap Records
Contatti: myspace.com/s300kam
Autore: Mourning

Tracklist
1. Scourge Of Angel
2. Rain
3. Apostle
4. World Of Shadows

DURATA: 34:51

I russi C-300 debuttano nel 2010 direttamente con l'album "Scourge Of Angel" contenente quattro pezzi, tre dei quali di durata superiore agli otto minuti.
La band suona una sorta di melodic death/thrash molto "bastardizzato", in certi momenti sembra che le movenze retrò con l'assetto più moderno e alcuni casi heavy oriented dei brani entrino in collisione portando a galla una discrepanza d'intenzioni. Lo si nota soprattutto nei frangenti in cui la musica tende a passare da una velocità elevata in blastato a una più aperta e scandita con minor necessità di spingere per favorire l'intrufolarsi di sezioni solistiche e sezioni di clean vocals, c'è quasi uno scollamento, come se si volesse in maniera forzata far convivere due nature che solo in parte si trovano a loro agio.
Non che "Scourge Of Angel" sia un lavoro brutto, va però a corrente alternata, ci sono dei momenti nei quali la vena più melo/heavy e quella thrash/death infoltita con accenni progressivi divengono coinvolgenti, sia la titletrack che "Rain" ne godono così come del resto la conclusiva "Apostle", in pratica le tre canzoni più estese. Si può però rimaner soddisfatti di spezzoni e non dell'intero? No, meglio allora la conclusiva "World Of Shadows" che per quanto non inventi davvero nulla risulta almeno più concreta nei fatti.
La produzione stessa avrebbe potuto ricevere una maggior cura soprattutto per quanto concerne il suono della batteria, in fin dei conti è passabile ma nel complesso ci troviamo un primo lavoro poco più che sufficiente.
Gli C-300 non saprei a chi consigliarli, per gli old schooler sono troppo melodici e fuori portata, per coloro che amano il metal dai tratti progressivi ancora sin troppo acerbi, per quelli che ascoltano musica "ibrida" all'infinito forse potrebbero risultare piacevoli, per ora non sono né carne, né pesce e schiarirsi un po' le idee non sarebbe male.

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BROTHER SUN, SISTER MOON - Brother Sun, Sister Moon

Informazioni
Gruppo: Brother Sun, Sister Moon
Titolo: Brother Sun, Sister Moon
Anno: 2012
Provenienza: Nuova Zelanda/Inghilterra
Etichetta: Denovali Records
Contatti: facebook.com/brothersunsistermoon
Autore: Mourning

Tracklist
1. Ghosts Of Barry Mill
2. Stand Under
3. Cope
4. Brother Sun, Sister Moon
5. A Year's Worth Of Leaves Your Heart
6. From Grain To Flour
7. Storms Break The Day
8. One Throws And One Pulls
9. All You Need
10. South Downs By Morning
11. Stand Under (Listening Mirror remix bonus track solo su cd)
11. South Downs By Morning (Dale Cooper Quartet remix bonus track solo su Lp)

DURATA: 37:07

L'essere artisti è una dote innata, c'è chi veramente mettendosi continuamente in gioco e divertendosi nel farlo estrae dal cilindro opere di un fascino e di una sensibilità estranee a questo mondo.
Con un monicker come Brother Sun, Sister Moon non è possibile evitare il collegamento storico con la figura religiosa di San Francesco d'Assisi né tanto meno quella alla versione cinematografica della storia di quest'uomo a cura di Franco Zeffirelli nel 1972. Eppure ascoltando il lavoro di Alicia Merz, nota al nostro sito come mastermind dei Birds Of Passage, stavolta non da sola nel creare il proprio mondo musicale bensì in compagnia di Gareth Munday (Roof Light) compositore e produttore, vi accorgerete di quanto l'universo emotivo e le rappresentazioni mentali che solcheranno la vostra mente siano distanti da quell'affascinante racconto d'altri tempi.
È minimalismo sonoro, ancora una volta è quello il campo nel quale Alicia si muove sfruttando la sua abilità nel modulare la voce e la strumentazione in ambito lo-fi per garantire alle tracce un mood etereo. Immaginatevi liberi da ogni gancio terreno, sospesi a fluttuare spinti da una lieve corrente che vi permette di spostarvi senza condizionarvi, aggiungete imprevisti elettronici che apportano una dose di sperimentazione, un ibrido fatto di semplicità e colori cangianti e avrete fra le mani il disco.
È particolare l'uso della dub-step nella leggiadra cascata di suoni di "Stand Under", la sensazione d'esser cullati da una ninnananna incatenante per colpa della sua leggiadria melancolica in "Year's Worth Of Leaves Your Heart", è impossibile non affermare che l'inquietudine sia allele dominante nella natura dell'opener "Ghost Of Barry Mill" e che "From Grain To Flour" si diverta non poco a mettere insieme suoni angelici e disturbi malevoli per esaltare la dualità contrastata. Unaa visione fatta di beat, spirito free e attimi jazz liqueformi compare nella titletrack accoppiata alla fluidità con la quale la passeggiata da sogno scandita in "South Downs By Morning" riesce a proiettare immagini vive nella testa in una maniera che ha del fantastico.
"Brother Sun, Sister Moon" è un'ulteriore riprova delle grandi capacità artistiche di Alicia Metz e delle scelte indovinate anche in ambito di collaborazione, Gareth è perfetto nell'apportare quel tocco di moderno che "stridendo" gradevolmente con le atmosfere eleganti rende il risultato magico.
Per chi ancora non avesse chiara l'antifona, incrociare il nome di Alicia legato a un qualsiasi progetto sembra al momento la miglior forma di pubblicità per il lavoro stesso: cambiano i nomi, la qualità espressa e le emozioni regalate rimangono sempre di gran classe, acquisto consigliatissimo.

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lunedì 26 marzo 2012

FORMANTA - Everything Seems So Perfect From Far Away

Informazioni
Gruppo: Formanta
Titolo: Everything Seems So Perfect From Far Away
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Seahorse Records
Contatti: myspace.com/formantamusic
Autore: Mourning

Tracklist
1. Sleeping Pills
2. You'll Like It
3. Something Wrong
4. Down In Here
5. Sugar Cane
6. Little Girl
7. After The Day
8. We're Swimming
9. No Title
10. Astronauts

DURATA: 42:30

Il rock è un mondo particolare, chi ne vive al di fuori lo identifica spesso con "rumori" e sonorità unicamente assordanti, nulla di più errato e non c'è niente di peggio che l'essere ancora così bigotti e "ignoranti" nel 2012.
È un'arte che ha dagli anni Cinquanta in poi trovato sempre il modo d'interagire con l'uomo utilizzando tutte le sfaccettature emotive e sonore, non è un caso che il "pop", o musica adesso definita easy listening, fosse figlio del raffinato modo di porsi negli anni Sessanta dei Beatles e che nelle decadi più vicine a noi, Ottanta e Novanta, personaggi come gli Smiths e i R.E.M. abbiano saputo fondere la fruibilità d'ascolto con la capacità di creare un songwriting coinvolgente, ricco di sensazioni e dall'animo dannatamente rock, scalando le classifiche ed entrando a far parte della vita di tantissimi.
I romani Formanta è da quella lezione di stile e semplicità apparente che hanno tratto ispirazione, è evidente che il quartetto capitolino abbia le due realtà citate per ultime quali fonti primarie dalle quali attingere, allo stesso modo però portano con sè un bagaglio musicale più ampio e sfaccettato, si muovono in territori di confine fra i due macrogeneri non rinnegando puntate nello shoegaze, non quello stupido pseudo-intellettualoide spacciato per tale che gira nel metal, bensì ciò che fa capo a gente come My Bloody Valentine e Slowdive, sonorità rimembranti i Sonic Youth e perché no qualcosa dei Joy Division e dei Cure anche se l'atmosfera è decisamente più frizzante in varie circostanze.
Quello che colpisce di un album come "Everything Seems So Perfect From Far Away" è l'avere al suo interno dieci potenziali "hit" radiofoniche ma contemporaneamente e realisticamente ci si rende conto che essendo in Italia la possibilità di ascoltare pezzi simili se non supportati da una "nomea" riconosciuta, al massimo si potrebbe beccarli su una frequenza ristretta a un campo locale, diviene quasi un'utopia per le scelte scandalosamente commerciali e scandalosamente da brivido dei palinsesti delle nostre emittenti più note anche di chi in passato dava maggior spazio all'underground.
È un peccato, un sincero peccato perché il mood carezzevole e rassicurante di "You'll Like It", la vivace energia trasmessa in "Down Here" e l'aura new wave di "After Day Girl" basterebbero a far innamorare l'ascoltatore.
C'è troppo di buono in questo lavoro anche nei momenti più derivati come l'accoppiata centrale di brani composta da "Sugar Cane" e "Little Girl" nei quali è sin troppo palese il dazio pagato ai loro maestri, i Formanta mostrano di possedere classe da vendere, di non cadere mai in tentazione, la scappatoia del ritornello "facilone" e della melodia sputtanata non è fortunatamente nelle loro corde. Si pone a favore quest'attitudine doverosamente devota all'arte? Probabilmente in termini economici no, in dignità di sicuro sì.
Non so a cosa si riferisca il titolo, è sicuramente indovinato dato che con i tempi che corrono la forma vale in sin troppi casi più della sostanza ed è vero che "tutto da lontano sembra così perfetto", è da vicino che poi le magagne vengon fuori, non è però il caso dei Formanta nei quali ogni ingranaggio gira ed è oliato perfettamente.
Si parli della la bella ed elegante voce di Sabrina Gabrielli o del reparto strumentale che vede il marito Francesco Sciarrone e Valerio Minelli alternarsi al basso, chitarra, piano e Gianpaolo D'Angelo alla batteria, la risultante conduce a una prestazione che si guadagna fiducia e voglia d'ascolto passaggio dopo passaggio.
Per gli amanti del rock e i nostalgici delle atmosfere anni Ottanta i Formanata sono il nome nuovo da seguire e potrebbero iniziare con l'acquistarne questo piacevole debutto.

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TEMPLE OF DEIMOS - Temple Of Deimos

Informazioni
Gruppo: Temple Of Deimos
Titolo: Temple Of Deimos
Anno: 2010
Provenienza: Italia
Etichetta: Elevator Records
Contatti: myspace.com/templeofdeimos
Autore: Mourning

Tracklist
1. Supertransistor
2. It’s Beautiful When I Die
3. Fields Of Berries
4. More Heavy For A Big Tornado
5. We Don't Know
6. Oh Hellen
7. Talk About Slaughter
8. Ipnotic Impression
9. Senor Bang
10. When The Clown Never Smiles
11. Fleart Impression
12. Gulp Me Down

DURATA: 35:05

Nella vita capita anche di fare figure del cavolo no? Solita notte insonne, giro sui vari "Space" in ascolto, ormai è una piacevole routine che da anni va avanti, incrocio quello dei Temple Of Deimos, un paio di pezzi e via, scatta il messaggio per aprire i contatti, sono talmente "rinco" dal sonno che invio il testo in inglese e la band di dove poteva essere se non italiana (Genova)? Un classico.
Mi risponde gentilmente il cantante Fabio Speranza che altrettanto gentilmente m'informa che il disco è uscito nel 2010 ma me ne invierà ugualmente una copia e poi altre due chiacchiere parlando del più e del meno e di una scena italiana che potrebbe sempre far meglio.
Arrivato il cd lo inserisco, bastano le prime note a farmi saltare all'orecchio l'influenza portante di tutto il platter omonimo: i QOTSA.
Joshua Homme è uno di quei personaggi che una volta entrati in circolo difficilmente te ne liberi, la lezione del suddetto è stata assorbita in maniera efficace e Fabio in compagnia di Federico Olia (basso e voce) e Andrea Parigi (batteria) mette insieme un disco di dodici tracce che ha il pregio di suonare alla grande e il difetto di suonare alla grande in stile primi tre lavori di quella band.
È sin troppo facile identificare in quelle opere il riferimento più netto è però così gradevole il fluire delle note e intanto qui e là appaiono altre presenze come Muse, Foo Fighters, qualcosina di rimando ai Masters Of Reality ad arricchire il piatto.
Momenti più robusti risiedono in "Supertransitor" e "Gulp Me Down", venature spacey e quel pizzico di psichedelia che non guasta mai si fanno strada in "Senor Bang", l'appeal melodico diviene prominente in "Oh Hellen" contrastando gli attimi più scuri di canzoni come "It’s Beautiful When I Die" e "Fields Of Berries", permettendo alla sincera ma devota attitudine che oscilla costantemente fra lo stoner rock più fruibile e frangenti "popular" veri e propri di venir fuori con semplicità.
La voce di Fabio è sottile, flebile in alcune circostanze, decisamente lontana da ciò che solitamente uno s'attende d'ascoltare impiantata su pezzi simili, eppure il suo sporco lavoro lo fa, bisogna solo abituarsi.
Per il resto non ci sono grandi pecche da denotare in "Temple Of Deimos", è un album che mette in mostra una formazione che possiede tutte le carte in regola per far bene, però distaccarsi dalla "casa madre" e fornire un pizzico di personalità propria sarà fondamentale, non è facile ma utile per spiccare il volo ancor più che "limare" alcune ripetizioni di un songwriting di per sé vicino alla maturità.
La lista delle realtà italiane da seguire si allunga ulteriormente, i Temple Of Deimos entrano a farne parte e gli ascoltatori degli act citati nel testo farebbero bene a dedicar loro un po' di tempo e segnarsi questo monicker in attesa di buone nuove sperando giungano a noi in breve tempo.

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CHRON GOBLIN - One Million From The Top


Informazioni
Gruppo: Chron Goblin
Titolo: One Million From The Top
Anno: 2011
Provenienza: Canada
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: myspace.com/chrongoblin
Autore: Mourning

Tracklist
1. One Million From The Top
2. Make You Mine
3. Bring Your Idols
4. Why You Gotta Stare?
5. Freedom or Death
6. Open Up My Eyes And See
7. Mother Brother
8. Suicidal Sewer Bomber
9. Come Undone
10. Instrumental

DURATA: 53:15

Li avevamo lasciati con un primo ep carico a mille, rieccoli pronti a farci scatenare con la loro miscela di stoner rock, punk e psichedelia, sono i Chron Goblin.
I canadesi di Calgary debuttano con "One Million From The Top" che non muta poi di tanto la formula presentata nel mini apripista, si possono ancora riconoscere nel sound nomi quali Fu Manchu e in parte Kyuss, c'è una sferzata d'irriverenza classica dei Monster Magnet, non si è persa quella verve punkettona che trova collocazione nel monicker Demoncleaner e i Nebula seppur in versione meno "drogaticcia" partecipano nuovamente a una godereccia orgia desertica di quasi un'ora.
È un disco che ti fa urlare "it's time to party", divertente, energico, scatenato, adatto a risollevare un momento "no", a liberarti dai demoni di una giornata del cazzo con pezzi trascinanti e alcolici.
Le canzoni traino sono sicuramente quelle vive e pimpanti iniziando dalla titletrack e opener, la successiva "Make You Mine" nella quale è presente quella sfaccettatura punk della quale scrivevo in antecedenza, "Bring Your Idols", "Freedom Or Death" e "Mother Bother" che chi più, chi meno orientata a possedere venature metalliche trova sempre e comunque il modo di farvi muovere il culo dalla sedia.
Strane le movenze riflessive di "Why You Gotta Stare?" che permettono al platter di modificare almeno in parte il tiro, questo cambio anche d'atmosfera insieme a quelli apportati in brani come "Open Up My Eyes And See" e "Suicidal Sewer Bomber" apportano quel quid ambientale espanso il giusto, offrendo un'ulteriore faccia della loro realtà musicale e insieme al mood groovy di "Come Undone" ci consegnano un "One Million From The Top" dalle indubbie virtù.
In più di una semplice e sparuta occasione vi accorgerete che nel sound s'infiltreranno dosi di rock'n'roll fifties e sixties, il che rende ancor più esagerato e sfrenato il calore trasmesso dalle tracce, l'unica pecca riscontrabile è una lieve omogeneità nelle strutture, in alcuni frangenti le soluzioni e gli schemi compositivi tendono a ripetersi, cosa che comunque non incide negativamente sulla riuscita del lavoro dei Chron Goblin che dal primo all'ultimo secondo svolge con dedizione il proprio compito.
Spendo le righe conclusive per citare lo strumentale che chiude i giochi allineandosi piacevolmente a quanto esposto in precedenza, (non lo troverete evidenziato in tracklist) e la parte grafica che ci consegna un comodo digipak dalla natura "rock" palese, un booklet con i testi e in fronte una foto della band che dimostra la propria "passione" per l'alcol (divertitevi a contare il numero di lattine ai loro piedi).
A quanto sembra c'è un acquisto in più da fare per gli amanti degli act nominati nel testo, tenete in considerazione di prenderlo a breve, "One Million From The Top" darà un deciso scossone alla vostra vita, chissà magari un giorno troveremo i Chron Goblin "on stage" sui palchi nostrani, non sarebbe di certo male.

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DOOMRAISER - Mountains Of Madness


Informazioni
Gruppo: Doomraiser
Titolo: Mountains Of Madness
Anno: 2011
Provenienza
Etichetta: Bloodrock Records
Contatti: myspace.com/doomraiser
Autore: Mourning

Tracklist
1. Mountains Of Madness
2. Phoenix
3. Re-Connect
4. Vampires Of The Sun
5. Like A Ghost

DURATA: 46:18

Non avevo alcun dubbio sul valore dei nostri Doomraiser, la formazione in cui militano Nick "Cynar" Rossi e Bj Caminiti aveva già tolto qualsiasi incertezza confermando la gran prova d'apertura dei giochi "Lords Of Mercy" dandole come successore un "Erasing The Remembrance" praticamente perfetto, cosa dovevo attendermi quindi da "Mountains Of Madness"? Speravo almeno avessero mantenuto quello standard altissimo, beh, sono riusciti a sorprendermi visto che per il sottoscritto han fatto anche meglio.
Cos'è quest'album? È la maturità definitiva, il "colpo grosso" (non pensate subito a Umberto Smaila e alla sua trasmissione "hot"), quel centro che li proietta nel "gotha" del panorama doom e chiunque non la pensi così vien da domandare cosa cazzo abbia ascoltato.
È il convogliare l'esperienza di tutti questi anni nella scena, le influenze che li hanno fatti crescere trasportandole all'interno di un sound che ha più appigli heavy, una forza emotiva devastante e una dose di drogaggio psichedelico ed evocativo da stordire un fottutissimo elefante.
Le danze prendono forma con la titletrack, un brano sofferto, appesantito nella modalità doom ma che improvviso e solerte si risveglia utilizzando la voce di Nick come tramite per esprimere nel migliore dei modi le sude doti.
Le succede "Phoenix" ed è magia, pura e semplice magia quella che come un guanto calza a pennello alla veste suadente che stordisce l'ascoltatore trasportandolo all'interno di un circolo di sensazioni dal quale è praticamente impossibile scappare, rafforzato dall'ancoraggio che pianta la posizione, l'hammond del guest Francesco Bellani penetra nell'intelaiatura ipnotica addensandola di atmosfere seventies ed è come avere un orgasmo.
Che i nostri sappiano anche rendersi le cose più semplici sfruttando soluzioni catchy non era da sottovalutare come eventualità possibile tanto che "Re-Connect" usufrendo di una matrice stoner alternata a frequenze più low e ammassanti un'aura sulfurea sulle quali troviamo a mo' di spartiacque il refrain "d'acchiappo", casca proprio a fagiolo.
È l'ago della bilancia che tiene perfettamente in equilibrio le due parti di "Mountains Of Madness" dato che con "Vampires Of The Sun" il riffato diventa granitico acquisendo anche tonalità più grevi ma facendo sì che il brano divenga tutt'altro che un semplice monolite nero, sono i cambi d'umore continui a valorizzarne il possente incedere.
La chiusura del platter è affidata a "Like A Ghost" e al suo muoversi bi-dimensionale che porta con sè trip acidi, imponenti influssi d'oscurità e una sensazione dal gusto aspro acuita dalla cantilenante coralità di Marta Biancotti e Annarita Lombardi.
Il viaggio è concluso? Di già, no ripartiamo.
I Doomraiser sono in piena fase evolutiva, il songwriting e le prove strumentali sono sempre stati convincenti ma adesso stiamo sul gradino che conduce all'eccellenza, che dopo due grandi album questo sia il primo di una serie di veri e propri capolavori?
Glielo auguro vivamente, intanto c'è solo una cosa da fare, comprare immediatamente "Mountains Of Madness" perché sì, "italians do it better" è un motto che possiamo usare in occasioni come queste, i Doomraiser se lo meritano, avanti così ragazzi!!!

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ROTORVATOR - Heaven


Informazioni
Gruppo: Rotorvator
Titolo: Heaven
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: rotorvatorblack.blogspot.it - rotovator.bandcamp.com
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. From The Wounds
2. Shelter In The Pit
3. Zealots

DURATA: 15:16

I Rotorvator sono ormai in attività da alcuni anni e fin dall'inizio hanno seguito un percorso proprio, alquanto inusuale per un gruppo musicale. Infatti hanno cominciato a diffondersi a destra ed a manca attraverso collaborazioni con artisti visuali come Ericailcane, a gruppi teatrali quali i Cosmesi, a progetti musicali come Rhuith, sfuggendo alla destinazione prettamente musicale del loro lavoro e sconfinando in altri campi di ricerca. Il risultato di questi sconfinamenti si sente, anche se il gruppo ha sempre mantenuto, e continua a mantenere, un approccio e un timbro propri. Tutto questo lavorio collaterale, per altri, ma per loro assolutamente principale e fondante, ha portato i Rotorvator a ritardare l'attacco alla lunga distanza ed a sfornare solo split ed EP. "Heaven" fa parte di quest'ultima categoria. Tre traccia per poco più d'un quarto d'ora.
Ascolteremo un lavoro complesso, che prende le mosse da un approccio black metal, con uso massiccio dell'elettronica, sempre sporca e ronzante, no-fi, voce graffiante e feedback continui. Nessuna sbavatura o grossolanità, nessun rozzo artificio: le composizioni sono precise ed articolate, il rumore è calibrato con precisione.
Il primo brano "From The Wounds" è quello che convince maggiormente, per la tensione mantenuta costante e per il crescendo misurato che caratterizza tutta la traccia. Carico e veramente bello. Le linee di chitarra riempiono e l'elettronica mantiene un ruolo denso e spesso, che incrementa tremendamente la viscosità di questo brano.
Il secondo pezzo, "Shelter In The Pit", ci presenta per la prima volta il gruppo con sfumature post, con una drum machine a segnare ritmi inattesi. Chitarre in chiaro ed arpeggi vengono integrati con un'elettronica sinteticissima e sfrigolante. Stellare, anche se non completamente convincente proprio in quelle sfumature post-rock che fanno perdere tensione al brano. Probabilmente questa sensazione di energia placata che deriva da "Shelter In The Pit" non si avvertirebbe in un contesto maggiormente influenzato da queste stesse sfumature ed atmosfere, così poco rotorvatesche (per come abbiamo conosciuto finora questo progetto). Insomma è uno sconfinamento in territori inusuali, questa volta però all'interno dell'ambito puramente musicale, che non convince appieno perchè solo accennato.
Il terzo brano "Zealots" è forse il più vicino alle composizioni del passato dei Rotorvator. Ritmi non troppo forsennati ma drum machine martellante e ricca di frequenze alte e basse. In questo brano è notevole l'interazione tra voce ed elettronica. Altro aspetto che incrementa la qualità delle composizioni di questo EP rispetto al passato.
In definitiva un EP che convince parzialmente, considerando la maturità del progetto e l'urgenza da parte dell'ascoltatore di avere un più denso e grande mare scuro in cui inoltrarsi. Comunque le attese non verrano deluse, visto che verso fine anno uscirà il primo full length del progetto. Attendiamo fiduciosi e guardinghi.

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REVENGE - Scum.Collapse.Eradication


Informazioni
Gruppo: Revenge
Titolo: Scum.Collapse.Eradication
Anno: 2012
Provenienza: Canada
Etichetta: NWN!
Contatti: myspace.com/revengeattackbloodrevenge
Autore: ticino1

Tracklist
1. Us And Them (High Power)
2. Retaliation (Fallout Prayer)
3. Parasite Gallows (In Line)
4. Filth Solution (Intolerance)
5. Banner Degradation (Exile Or Death)
6. Burden Eradication (Nailed Down)
7. Pride Ruination (Division Collapse)
8. Scorned Detractor (Trust No One)

DURATA: 35:44

Il War Metal... si ama o si odia! Ah sì? E cosa dire a proposito dei singoli gruppi? Lo stile è davvero restìo al cambiamento e al progresso ed è giusto che sia così. Ho sempre considerato questi canadesi come la copia esatta dei mitici Conqueror. Tenterò ora di capire se anche questo disco confermi quella mia opinione.

"Scum Collapse Eradication" è il quarto "full" dei signori provenienti dalla storica Ross Bay Area. Il primo punto che noto è quello che pare diventare standard presso queste formazioni: la produzione nitida. Qualche anno fa era d’obbligo, anzi, quasi educazione incidere un disco rude con un suono altrettanto rozzo. Da qualche tempo a questa parte sembra che la mentalità stia cambiando. Non troverete dunque tracce indistinguibili che vi lasciano solo immaginare le scale che potrebbero essere contenute in quel miscuglio di suoni astrusi.

Feroce e violento è l’inizio del disco. "Us And Them" non fa prigionieri e macella con i suoi riff taglienti già dal principio tutte le attese degli amici della melodia. Non si può negare un tocco di "vintage" portato da alcune scale grind di vecchia scuola. Le due voci, una gracchiante e l’altra gutturale in sordina, rinforzano in qualche modo questa mia impressione. Già ora credo che i pezzi saranno da delirio in concerto. Il marciume non conosce limite alcuno su questa registrazione e le pause sono un lusso che il duo non concede; pure le fasi più lente sono un supplizio per chi non credesse al metallo fanatico e ortodosso.

Il nuovo lavoro dei Revenge si trova al centro di un triangolo formato dal death più rozzo, dal grind e dal black. È difficile per me definirne esattamente i limiti e decidere se questo disco sia indispensabile o meno per voi. Di certo posso solo dire che questa fetta di metallo nero come la pece è pesante, corrosiva e infame. Nel loro piccolo questi canadesi hanno composto dei pezzi privi di compromessi e atti all’esecuzione dei nemici del vero metal.

Ascoltate per credere!

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BLOOD RED WATER - Tales Of Addiction And Despair


Informazioni
Gruppo: Blood Red Water
Titolo: Tales Of Addiction And Despair
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: bloodredwater[at]gmail.com - Facebook - Bandcamp
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Ungod
2. Considerations / Commiserations
3. Avoid The Relapse
4. Modern Slave Blues
5. The Perfect Mix

DURATA: 20:17

I Blood Red Water sono un quartetto nato a Venezia nel 2010 e giunto alla fine del 2011, dopo le solite varie peripezie che praticamente ogni band deve affrontare, alla pubblicazione di "Tales Of Addiction And Despair", il loro primo EP autoprodotto.
Questi ragazzi si bagnano in una corrente musicale che, al momento, è una tra le più floride e con il maggior numero di uscite di qualità: avrete già forse intuito che parlo del Doom e dei suoi derivati.
Pezzi come "Ungod", "Modern Slave Blues" e "The Perfect Mix" assumono infatti la connotazione di un flusso fangoso profondamente ostile e opprimente, un male acido e corrotto che scorre nelle vene bruciando e corrodendo.
Nei suddetti casi, l'influenza dei venefici EyeHateGod si unisce con lo Sludge strisciante e disilluso dei Grief e la mentalità nervosa e disturbata degli Iron Monkey mentre, a rafforzare l'effetto devastante di queste costruzioni apocalittiche, si aggiungono cupi rallentamenti dal gusto più classico in stile Cathedral e alcune rabbiose apparizioni degne dei Crowbar.
La personalità dei Blood Red Water è comunque prorompente e, nonostante le inevitabili (ma pur sempre apprezzate) derivazioni a cui chiunque suoni questo genere va incontro, esce allo scoperto non soltanto nei momenti in cui tutte le influenze citate vengono sapientemente miscelate.
"Considerations/Commiserations" è un episodio che, inserito in quello sfaccettato caleidoscopio che è il Doom, fa pendere l'ago della bilancia verso un'attitudine più "weed addicted" in cui emerge l'influenza di gente come Bongzilla e Weedeater, riuscendo inoltre a far infiltrare al proprio interno un feeling di matrice Hardcore.
"Avoid The Relapse" si veste invece di uno stile che riprende in mano le redini dello Stoner Rock e si appoggia inequivocabilmente ai monumentali Fu Manchu, senza lasciarsi nemmeno mancare alcuni tratti Alternative che potrebbero ricordare non così lontanamente i Queens Of The Stone Age.
Un elogio particolare vorrei inoltre farlo alla voce di Michele, davvero ottimo nell'effettuare cambiamenti in corsa e nell'appoggiarsi coerentemente ai cambi umorali della musica: ve lo posso dimostrare dicendo semplicemente che in alcune parti di "Ungod" ho avuto persino l'impressione che a sgolarsi nel microfono fosse un giovane Lord Seth (aka Jonas Renkse) ai gloriosi tempi di "Dance Of December Souls", cioè quando i Katatonia erano ancora un gruppo con i cazzi e non una lagna per pseudo-depressi.
Tirando le somme non posso far altro che affermare con forza che le potenzialità dei Blood Red Water sono grandi e che sicuramente sentiremo ancora parlare di questo tormentato e incazzato quartetto veneziano.
Ah, ancora una cosa: i nostri portano avanti la filosofia del D.I.Y. e presto vedrà la luce la versione fisica di "Tales Of Addiction And Despair".
Fin da ora, però, è possibile scaricare gratuitamente il lavoro dalla pagina Bandcamp del gruppo quindi non avete veramente nessuna scusa questa volta!

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OSHIEGO - Woe To The Conquered


Informazioni
Gruppo: Oshiego
Titolo: Woe To The Conquered
Anno: 2011
Provenienza: Singapore
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: Myspace - Facebook
Autore: Bosj, Akh.

Tracklist
1. Blood Omen
2. In Death My Dominion
3. Vae Victis
4. The Absolute
5. The Abyss
6. Decapitating The Sarafan
7. The Scion Of Balance
8. Into The Grave (Grave cover)

DURATA: 35:15

Lo sterminato mondo dell'underground non smette mai di stupire: questa volta veniamo contattati nientemeno che da una band di Singapore. Nonostante si possa pensare che la piccola isola-Stato malese viva placidamente ai margini del mondo, le fitte interconnessioni commerciali intrattenute con l'Occidente hanno in realtà veicolato in quelle lande, in qualche modo, anche il verbo del metal estremo, come gli Impiety ci dimostrano ormai da vent'anni sui palchi di un po' tutto il mondo: in quei cinque multietnici milioni di abitanti, insospettabilmente, si muove e si sviluppa una linfa musicale invidiabile, e gli Oshiego ne sono fulgido esempio.
Dediti ad un thrash/death di derivazione fortemente svedese, di quello più datato, alla Merciless, Nihilist e Grave (non a caso il disco è chiuso da una piacevole cover di "Into The Grave"), i cinque (ora quattro in realtà, dato che dal periodo delle registrazioni a questa recensione all'interno della formazione si sono avvicendati alcuni cambiamenti, tra cui l'abbandono di un chitarrista) riescono a far suonare "Woe To The Conquered" se non proprio fresco, sicuramente gradevole e a suo modo moderno, evitando con successo il rischio di presentare al pubblico un album "vecchio".
Oltre al classico rifferama compatto e quadrato, alla solistica non protagonista ma indubbiamente presente, gli Oshiego infondono quel tanto di groove e di cambi di tempo sufficienti per donare varietà e personalità al platter. Le soluzioni potranno non essere originalissime, ma il basso di "The Absolute", l'intro in crescendo e uptempo in blast-beat di "Decapitating The Sarafan", il cantato più gutturale di "Vae Victis" e, soprattutto, il passaggio iniziale quasi da dancefloor metallara di "The Abyss", creato ad hoc per ballare e scapocciare, seguito da mid-tempos e un assolo che non può non richiamare gli Unanimated di "Ancient God Of Evil", sono tutti elementi che contribuiscono alla scorrevolezza di un lavoro di debutto con molte luci e poche ombre.
Anche dal punto di vista della produzione, i Singaporeani entrano nell'arena a testa alta e senza temere confronti: dagli Snakeweed Studios di Singapore alla masterizzazione in Polonia, dal punto di vista formale il disco non conosce cali di sorta alcuna, tutti gli strumenti sono in perfetto equilibrio e distintamente riconoscibili, permettendo di apprezzare ciascun singolo passaggio registrato.
Se non fosse abbastanza, ecco poi una chicca per i nerd: l'intero disco è un concept nientemeno che relativo a Legacy Of Kain. Chissà cosa direbbe la Eidos...

Grazie Bosj per l’ottima analisi, se posso vorrei aggiungere alcune osservazioni.

Uno, è proprio vero che la musica estrema si è enormemente sdoganata, ed il fatto che Singapore abbia una buona scena ne è l’ennesima riprova anche se va tenuto a mente che gli Abhorer già imperversavano nel lontano 1987e.v e dopo di loro i già citati Impiety, è forse per questo che il paese asiatico mi pare trasudare putredine e violenza blasfema attraverso le sue band. Gli Oshiego però si discostano da questa ottica proponendoci un buon Death metal di stampo moderno nei suoni e per l’approccio preciso degli strumenti sempre affilati e puntuali, ma generalmente utilizzando un corposo riffing e una certa struttura dei brani di altra scuola come accennava il collega.

Ci troviamo quindi un ottima amalgama di varie influenze, veramente ben calibrate; se infatti si possono sentire venature di un certo Bolt Thrower sound, "Blood Omen" o "The Scion Ov Balance" se ascoltate ne potranno esser una riprova, possiamo anche rimarcare un certo approccio trita-vertebre in pennate devastanti di tipica impostazione Brutal Death lungo tutti i trentacinque minuti espressi, come inutile sarebbe ignorare gli accenni tipicamente U.S.A. ed europei.

La cosa da non sottovalutare è come un gruppo senza contratto che compie lo sforzo di autoprodursi non abbia assolutamente niente da invidiare ad act più affermati e seguiti, è vero, non ci sono miracoli o voli pindarici, ma la passione ed il sudore si avvertono profondamente e pure la convinzione nei loro mezzi, basti notare come vengono arricchiti di piccoli camei i vari brani, quali controtempi, sincopi o alterazioni, ciò dimostra che questi ragazzi credono in quel che suonano. I nostri si divertono davvero moltissimo a prendere gli ultimi venti anni di musica estrema e scremarli, sezionarli, inciderli ed innestarli fra loro con una invidiabile naturalezza, convertendo il tutto con una predisposizione all’attuale, al moderno. Infatti delle moltissime influenze old style sia Thrash che D.M. niente lascia pensare a deja vù o a un clichè preimpostato, fino ad arrivare ad un giro di basso funky core in apertura di "The Absolute" che si integra perfettamenta con la vena epica (infatti sovente Nile e Behemoth potrebbero esser l’accostamento giusto per rendere l’impatto degli Oshiego, basti ascoltare anche il loro ultimo brano per prenderne coscienza) del resto della canzone, soprattutto nei lead che a volte strizzano l’occhio al Tecno Death ed ai gruppi pionieri del genere.

La cosa piacevole è anche la preparazione degli strumentisti che non realizzano sbavature di sorta, risultando compatti e vari, costruendo una prova davvero encomiabile, sia nella fase compositiva, sia interpretativa. Insomma a mio modesto parere gli Oshiego davvero hanno tutte le carte in tavola per poter piacere ai fanatici del mondo del D.M., dando giusto spazio ad una formazione che ha voglia di spaccare e di farci sapere che ci sono anche loro fra le orde demoniache pronte alla conquista del globo musicale e non, dove non vengono certamente lesinate potenza, mastodonticità e dinamicità. Splendida la cover dei Grave, un masterpiece che viene rivisitato con sagacia ripulendolo dalla polvere degli anni e riportando sugli scudi un pezzo che ha scritto la storia del genere.

Francamente una mail a questi ragazzi gliela invierei essendo giunto a conoscere una realtà indubbiamente valida e che merita rispetto a prescindere dal fatto che siate degli ascoltatori esotici o meno, in quanto se volete D.M. questi ragazzi ve ne elargiranno di alta classe.

Oshiego? Il conquistatore.

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CHRON GOBLIN


Informazioni
Autore: Mourning
Traduzione: Dope Fiend

Formazione
Josh Sandulak - Voce
Devin "Darty" Purdy - Chitarra
Richard Hepp - Basso
Brett Whittingham - Batteria


Arrivano dal freddo Canada (Calgary) i Chron Goblin, una band che di lì sembra avere solo i natali, visto che il sound ha tanto di "deserto" in sè. Ho avuto il piacere di scrivere in occasione di entrambi i lavori sinora pubblicati, l'ep omonimo e il full "One Million From The Top", dei quali troverete le recensioni girando per il sito, non ci resta che conoscerli meglio.

Benvenuti ragazzi, possiamo dire che l'anno che se n'è andato è stato più che positivo per i Chron Goblin?

Il 2011 e, finora, il 2012 sono stati grandi anni per i Chron Goblin. Abbiamo registrato e pubblicato il nostro primo album, suonato un sacco di concerti, stiamo lavorando alla scrittura di un nuovo album e stiamo per girare un video musicale. Abbiamo anche avuto l'opportunità di aprire per un live dei Devin Townsend Project (degli Strapping Young Lad) ed è stato un onore. Oltretutto siamo riusciti a organizzare due spedizioni di dischi in Svezia ed è stata la prima volta che la nostra musica era disponibile sul mercato europeo. Le cose sono andate bene e ci aspettiamo di mantenere questo slancio nel 2012!


Iniziamo parlando di chi sono i Chron Goblin, come è nata la band e perché questo nome?

Ci siamo incontrati all'università nel 2004 ma soltanto nel 2009 abbiamo deciso di formare una band insieme. Il nostro reciproco amore per la musica, la birra e il divertimento era troppo forte! Ci conosciamo da tanto tempo, siamo fondamentalmente fratelli. Il nome è venuto fuori con uno scherzo, quando Darty e i suoi colleghi sono stati definiti come un gruppo di "Chron Goblin" che si godevano il dolce sapore di Mary Jane. Il nome era divertente e ben riconoscibile, quindi lo abbiamo fatto nostro!


Dell'EP mi aveva colpito soprattutto la sincera "attitudine" con la quale vi ponevate nei confronti della musica composta, quali sono stati i motivi o le spinte che vi hanno direzionato verso questo tipo di sound?

La prima canzone che abbiamo scritto, "Walk With Me", era fondamentalmente un mix delle mie due maggiori influenze di sempre: Black Sabbath e Kyuss. Ci sono molta energia e potenza nell'EP. Lo abbiamo registrato nello scantinato di un nostro grande amico con metodi di registrazione molto primitivi, il che conferisce quella sensazione da live. Credo che abbiamo speso meno di cinquecento dollari per l'intera registrazione.


"One Million From The Top" non solo mi ha confermato quell'impressione appena citata, ma ha messo in chiaro anche che avete poca voglia di seguire un "modus operandi" comune che produce dei buoni dischi ma mette spesso in secondo piano il divertimento. Ho percepito proprio una gran carica festaiola all'interno dei brani, è questo ciò che volevate?

"One Million From The Top" è un album fantastico per noi in quanto rappresenta realmente la varietà di influenze e stili che amiamo e che rendono unico il nostro sound. È una fantastica miscela di rock 'n' roll, punk, stoner rock e heavy metal.


Il platter per me ha due pezzi contraltare: "Make You Mine" con quell'incedere dai tratti punk e "Suicidal Sewer Bomber", severa soprattutto atmosfericamente parlando. Come date vita ai brani? Quali sono le tematiche che amate trattare e chi è l'autore dei testi? Leggendoli ho trovato spunti sulla religione e molta introspezione, riuscendo comunque a farla combaciare in maniera piacevole con i momenti più "vivi" dell'album, ciò li rende ancor più interessanti.

Il nostro cantante Josh scrive i testi ma lui è presente nell'intero processo di songwriting, quindi diventa veramente naturale inserire i testi nei pezzi. Noi, come individui, assorbiamo un sacco di cose dalla musica che ascoltiamo e facciamo sempre il tiro alla fune durante il processo di composizione. Questo è ciò che rende diverso il nostro sound. Alcuni dei nostri brani sono pezzi di storia vissuta di Josh e alcuni sono le nostre convinzioni sulla società. E molti sono una via di mezzo.


Su YouTube ho avuto la possibilità di guardare un paio di vostre esibizioni live, avete mai pensato di girare un video ufficiale di una delle canzoni di "One Million From The Top"? In quel caso, quale scegliereste e perché?

Siamo in realtà in procinto di ricevere un finanziamento e speriamo di girare un video musicale per la titletrack di "One Million From The Top" entro tre mesi. Questa canzone rappresenta la nostra varietà di influenze ed è un buon manifesto della band.


Altro punto a favore del vostro lavoro è l'incursione spesso e volentieri di richiami al rock'n'roll degli anni Cinquanta e Sessanta, quanto e cosa amate del periodo primorde del genere?

Siamo tutti grandi fan del blues, sia del primorde americano che di quello europeo. Penso che questa influenza sia molto diffusa in pezzi come "Come Undone" visto che la canzone inizia con un'inquietante parte di chitarra in stile anni Cinquanta. Non ci sarebbe l'hard rock/heavy metal come lo conosciamo oggi senza le influenze del primo rock'n'roll e del blues.


Com'è stata partorita l'idea della foto all'interno della pista da skateboard con tanto di "paesaggio alcolico" a fare da contorno?

La nostra musica ha fatto sempre appello allo scenario dello skateboarding, in quanto entrambi condividono l'aggressività e la potenza grezza. La foto è stata effettivamente presa nel cortile della nostra sala prove ed è la nostra rampa come è la rampa di tutte la band che praticano skateboard. Volevamo una foto a rappresentare chi siamo e nulla era meglio della nostra amata rampa appena fuori dalla nostra sala prove... e poi ci piace la birra.


Avete qualche passione da "nerd" (e vorrei conoscere qualcuno che non ne ha...)? Videogiochi, porno, fumetti, b-movie, altro?

Penso che siamo tutti un po' nerd a modo nostro... ma io preferisco guardarla come una passione più che un'ossessione. Josh scatta fotografie sorprendenti e modifica/crea video, Richard allena una squadra amatoriale di hockey su ghiaccio, Brett pratica downhill e Devin vive secondo il motto "skate or die". Noi tutti abbiamo le nostre passioni al di fuori della musica ma sono queste stesse passioni che ci invogliano a dedicarci ai Chron Goblin e alla nostra musica.


Com'è la scena musicale canadese? Avete rapporti d'amicizia e stima con altre formazioni? Ce ne sono alcune che vorreste consigliare in modo da poterne approfondire la conoscenza?

La scena musicale canadese ha molte band di talento, tuttavia la poca popolazione e il territorio di grandi dimensioni rendono molto difficile andare in tour. Per esempio, a febbraio abbiamo percorso quattromila chilometri in un fine settimana per suonare in tre città diverse. È certamente una scena diversa da quella europea e statunitense quando si tratta di tour. Tuttavia, i lunghi inverni freddi ci obbligano in casa, cosa che ci permette di proseguire con la nostra musica e continuare a scrivere nuovi album.


Quali sono i pregi e i difetti del mondo della musica? Cosa proprio non vi piace e cosa pensate che manchi rispetto al passato?

Penso che il vantaggio principale sia l'accessibilità. La gente può semplicemente andare online e ascoltare una trentina di diverse band in una mattinata. Al contrario, per quanto sia bello che, in generale, la musica sia diventata più semplice da reperire, l'andamento delle vendite suggerisce che le persone (più giovani) ascoltaio principalmente musica sintetica come dub-step e simili ed effettivamente fanno meno sforzi per trovare una musica da ascoltare davvero, non solo da mettere in sottofondo mentre si lavora o si guida.


In un periodo nel quale la digitalizzazione e l'mp3 sembrano esser divenuti la via da seguire, per fortuna molte compagini continuano ad autoprodursi utilizzando i supporti fisici come nel vostro caso. Dovremo arrenderci a una serie d'insulsi 0101010101 o secondo voi si potrà sempre contare su uno zoccolo duro pronto a mantenere viva la forma da "toccare" e "sfogliare" oltre che naturalmente da ascoltare?

Assolutamente. La musica è una delle più grandi forme d'arte al mondo ed è in continua evoluzione. La musica commerciale era destinata a diventare una realtà, quando band come i Beatles hanno dimostrato che enorme successo si poteva raggiungere producendo musica. Purtroppo, il tutto si è sviluppato nella versione distorta che conosciamo oggi. La musica è stata prodotta solo per piacere ed è stata resa accessibile universalmente. Quello era ciò che non sarebbe mai dovuto succedere. Ora le label mettono troppo le mani nel processo di songwriting. E gli effetti sono quelli che sentiamo.


Parliamo di live, com'è stata la vostra prima esibizione davanti a un pubblico?

Il nostro primo concerto fu a una festa a casa del nostro bassista di fronte a una cinquantina di persone, subito dopo la sua entrata nel gruppo. Era uno spazio piuttosto stretto ed era molto intimo. Ma noi abbiamo dato davvero tutto. Qualcuno fece un buco in un muro.


Ci saranno possibilità di vedervi suonare in Europa?

Saremmo tanto felici di avere la possibilità di suonare in Europa. È sicuramente uno dei nostri obiettivi nei prossimi diciotto mesi dal momento che la scena hard rock e heavy metal è davvero forte. Ci piacerebbe avere l'opportunità di suonare in un festival come il Desert Fest nel 2013.


Cosa vogliono fare da "grandi" i Chron Goblin? Sogni e desideri da realizzare?

Come band vogliamo continuare a crescere come musicisti e continuare a scrivere e registrare altri album. Ci piacerebbe anche poter suonare in Europa e nel resto del mondo.


I cinque dischi ai quali non sapreste assolutamente rinunciare?

Black Sabbath – "Master Of Reality"
Queens Of The Stone Age – "Queens Of The Stone Age"
Constellations – "August Burns Red"
Propaghandi – "Less Talk, More Rock"
Weezer – "Blue Album"

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DOOMRAISER


Informazioni
Autore: Fedaykin, Dope Fiend

Formazione
Nicola "Cynar" Rossi - Voce
Andrea "BJ" Caminiti - Basso
Willer - Chitarre
Drugo - Chitarre
Pinna - Batteria


Oggi abbiamo il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Nicola, alias Cynar, e BJ, rispettivamente voce e basso dei romani Doomraiser, parabola ascendente del panorama Doom italiano. La loro terza e più recente release, "Mountains Of Madness", è negli scaffali già da qualche mese e ha rappresentato, a mio avviso, un’importante maturazione da parte della band, dimostrando la loro volontà di innovare e introdurre elementi nuovi nella musica senza creare una rottura col passato; siamo curiosi di sapere che aria tiri in casa Doomraiser, e se qualcosa bolle già in pentola.

Prima di tutto, ciao, vi do il benvenuto a nome di Aristocrazia! Inizierei con una domanda puramente di rito: parliamo un po' della vostra storia, come sono nati i Doomraiser, quali erano le vostre aspettative e chi sono le persone che ne fanno parte? Quali sono i passi della vostra carriera che ritenete fondamentali?

Cynar: Ciao a tutti! La nostra storia risale all'estate del 2004 con l'incontro di persone che volevano sviscerare tutte le proprie emozioni nella musica del destino, nell'autunno dello stesso anno alla line up, composta già da me, BJ, Pinna e Drugo, si aggiunge Valerio nel ruolo di seconda chitarra, è da qui che tutto ha inizio! In realtà noi non avevamo grosse pretese, volevamo suonare fondamentalmente per divertirci appagando così le nostre passioni accomunate, successivamente con il tempo e prendendo sempre più sul serio il progetto le cose son venute da sole in maniera molto spontanea e naturale, i primi concerti, il primo demo, il primo album, il primo tour e così via.

BJ: Tutto è nato e continua ad evolversi con molta naturalezza. Un gruppo di amici che voleva condividere la stessa sensazione. Un gruppo di amici ai quali ogni membro che si è aggiunto, Nicola prima e Valerio dopo, lo ha fatto senza forzature, ma con la stessa e sola volontà di condividere un sentimento comune ed anzi, divenendo amico a sua volta. Questo perché il DOOM non è solamente un genere musicale, ma una cosa molto più ampia.


Il terzo disco è da molti critici indicato come quello della maturità. Chi erano i Doomraiser di "Heavy Drunken Doom" e chi sono i Doomraiser di "Mountains Of Madness"? Come siete cambiati come persone e come musicisti? Ci sono stati dei mutamenti nel vostro modo di intendere la vostra produzione musicale?

Cynar: Sicuramente il primo vero cambiamento sta forse proprio nell'atto pratico della dipartita di Valerio e la sostituzione con Willer, l'approccio allo strumento tra i due musicisti è molto diverso, quindi questo avvenimento ha già di per se cambiato un po' i connotati dello stile dei Doomraiser non snaturandolo. In "Mountains Of Madness" penso che questo si possa notare per un approccio più psichedelico nella musica. Comunque in generale sul primo album eravamo molto più ingenui e istintivi, anche se in fondo non abbiamo mai abbandonato la nostra istintività e il nostro amore viscerale nei confronti della spontaneità artistica; a livello compositivo il tutto avviene in maniera molto diretta.

BJ: I cambiamenti, o meglio l’evoluzione dei Doomraiser, entità unica composta da diverse persone, è avvenuta e avviene senza forzature, semplicemente seguendo un percorso che è tutto da scoprire anche per noi. Anche il cambio di chitarrista con l’ingresso di Willer è avvenuto senza una ricerca sonora precisa, è avvenuto per necessità, dovevamo sostituire Valerio, ma casualmente e fortunatamente ha giovato e si è inserito in questo nostro cammino. È arrivato nel momento giusto in cui alcuni elementi presenti nella nostra musica chiedevano di essere ampliati ed approfonditi. Ampliare ed aprire quello che è il lato psichedelico fatto di ossessività dando maggiore aria all’interno della musica stessa.


A questo punto direi che è opportuno parlare in modo più dettagliato proprio del nuovo disco. Iniziamo dal titolo: "Mountains Of Madness" può essere visto come un omaggio all'oscuro Maestro di Providence? Come mai, secondo voi, nel mondo del Metal in generale l'immaginario lovecraftiano è così radicato e ispiratore?

Cynar: Diciamo che la storia di montagne della follia dell'autore di Providence è stata solo la molla di partenza per avviare il discorso, man mano che si componevano le liriche si andava oltre e la mente viaggiava fino a lasciare definitivamente il racconto dell'autore, è stato un grande momento di ispirazione, ma il vero nocciolo del discorso è andato verso altri lidi e su territori completamente diversi dalla storia. Comunque l'immaginario di Lovecraft è molto suggestivo ed essendo tale non può non ispirare musica anch'essa così suggestiva come il metal.


La venatura settantiana e psichedelica di "Mountains Of Madness" raggiunge dei picchi qualitativi da capolavoro (l'esempio più lampante è "Phoenix", ma mi è rimasto particolarmente impresso il motivetto di "Like A Ghost"), quali sono gli artisti e le band che maggiormente vi hanno ispirato in questo caso?

Cynar: Nessuna band in particolare ha ispirato la stesura dei brani di "Mountains Of Madness", come dicevo poc'anzi il lavoro di composizione avviene in maniera molto spontanea, a volte improvvisiamo e da questo embrione che nasce durante la jam session si creano e si sviluppano i brani.

BJ: L’uomo vive di esperienze, sensazioni e delle energie che queste trasmettono. Queste sono le nostre influenze che scaturiscono dal quotidiano, dalla musica che si ascolta o da un libro che viene letto in maniera spontanea. Noi suoniamo insieme e non c’è un compositore singolo nei Doomraiser. Sono le stesse energie che ognuno di noi condivide e trasmette all’altro quando suoniamo come unica entità, alla luce delle proprie esperienze, che ci influenzano.


Come definireste l'anima di "Mountains Of Madness"? Quali sono le pulsioni, i demoni e i messaggi insiti al suo interno?

Cynar: Io penso che "Mountains Of Madness" sia un disco molto positivo. Le tematiche alla fine trattano di tesori e segreti nascosti nella storia dell'umanità e l'uomo deve ricercare tutto ciò che ha perduto per essere in armonia con il tutto. Purtroppo oggi viviamo all'apice del Kali Yuga che per gli induisti sarebbe l'ultima era: "l'era di ferro"; penso che anche uno stupido si accorga dei disagi nel mondo; il disco quindi propone una riflessione sul recupero delle maestosità delle antiche culture esoteriche come gli egizi, gli inca, ecc, non è un caso che popolazioni che erano lontane miglia e miglia abbiano dei simbolismi e interpretazioni di essi molto simili, come le similitudini tra le piramidi d'Egitto, le ziggurat in centro e sud America, e tra questi: le varie svastiche che possiamo trovare sia in Asia che in nord Europa, il simbolismo della croce che troviamo in era precristiana in moltissime tombe etrusche ecc. Quindi dobbiamo recuperare "l'universalità" dell'universo, questo è il cammino dell'uomo, questo deve essere il destino dell'umanità intera.

BJ: Vedi, per forza di cose e soprattutto per una pigrizia oramai congenita, viviamo sempre più in un mondo individualista in cui a predominare è l’arroganza del singolo verso il suo simile, ma anche e soprattutto verso tutto quello che ci circonda, che fa parte del nostro "universo". Non siamo più in grado di leggere i simboli ed i messaggi che anche una pianta può donarci per il nostro accrescimento. Non sappiamo più dare il giusto valore o ancor peggio sentire e ricevere quelle che sono le energie che derivano da percorsi di accrescimento spirituale di migliaia di anni. Questo cerca di affrontare in maniera positiva "Mountains of Madness", una sorta di viaggio di riscoperta da condividere.


I Doomraiser sono sempre stati famosi per l’estremo impatto sul pubblico, soprattutto in sede live. La mia impressione è che "Mountains Of Madness" sia un prodotto più "pensato", con elementi nuovi, ma che non abbia poi intaccato più di tanto la componente "d’assalto" della vostra musica. Che genere di prospettiva potete darci su questo argomento? Sentite che gli elementi "in più" del vostro ultimo album siano ad esso circoscritti o pensate che sia la naturale evoluzione della musica dei Doomraiser? Continuerete a sperimentare in questa direzione?

Cynar: Infatti è cosi, in "Mountains Of Madness" ci sono dei momenti molto riflessivi che però non eclissano i momenti di assalto anzi li valorizzano, in sede live penso infatti che questo fattore si possa notare meglio. Per noi il momento dello show è importantissimo, è proprio lì che noi ritualizziamo la nostra musica andando in estasi, per noi il live è una sorta di cerimonia che fa elevare lo spirito. Anche se penso che in egual misura la fase di composizione in studio abbia la sua importanza, lo studio è il nostro ATANOR, il nostro piccolo laboratorio.

BJ: Io sostengo, in primis perché è la maniera in cui la vivo, esista una dimensione nella fase compositiva, una dimensione in studio di registrazione ed una in sede live. Stesse energie, ma percorso di sprigionamento differente. Tre diversi rituali. Il live è quindi un rituale in cui le sensazioni che noi apriamo in quel momento, e che il pubblico anche apre a sua volta, si scambiano in maniera diretta. Noi siamo pronti in un concerto a donare e a ricevere e questo crea il forte impatto che abbiamo durante un live. Il nuovo disco, anche se più meditativo, conserva lo stesso impatto perché è sempre scaturito da un rituale in cui avviene lo stesso scambio di energie, anche se in una diversa dimensione, e gli elementi nuovi o diversi sono solo un mezzo in più ed evoluto per arrivare a questo scambio.


Avendo assistito al vostro concerto di presentazione del nuovo disco, e avendo visto un enorme soddisfazione dipingersi sulle facce del pubblico e del gruppo, posso immaginare, e correggimi se sbaglio, che il nuovo disco sia stato accolto con molto calore dal pubblico italiano, e non solo tra i più affezionati. Quali sono state invece le reazioni fuori dalla nostra Penisola?

BJ: Con grande soddisfazione i riscontri di critica e pubblico sono molto positivi e stiamo vedendo tutto questo anche in sede live. È un grande piacere poter riscontrare dal sorriso delle persone che la tua sensazione porta positività.


Parliamo adesso in modo più generico del genere che voi proponete, il Doom. Esso, in ogni sua sfaccettatura, è uno dei filoni forse più intimi, mistici ed estremi del panorama metallico. Cosa significa per voi? Quali sono le chiavi di lettura che utilizzate per giudicare la qualità di un disco Doom?

BJ: Penso che si sia già capito da quanto detto finora che il DOOM non è solamente un genere musicale, va ben oltre. È un mezzo che può condurre ed è lui stesso una chiave perché fondamentalmente naturalezza e intimità. Musicalmente non ha fronzoli e non è timido, è diretto, crudo, ricco o scarno.

Cynar: Sinceramente non bado molto alle chiavi di lettura di un disco. Noi ascoltiamo veramente tantissime cose quindi penso che se un disco è bello è bello sia se è Doom che non, per noi comunque il Doom oltre che musica è un sentimento, è una delle tante chiavi di lettura della realtà, è un momento emotivo che viviamo in maniera collettiva.


Oggi come oggi il Doom è un genere in crescita; non so se possa essere considerato un "trend" o meno, ma la scena Doom (con le relative varianti) si è espansa a dismisura ultimamente e, almeno per come la vedo io, la qualità è quasi sempre piuttosto alta. Pensate che in qualche modo questo "boom" possa aver snaturato gli elementi tipici del genere oppure la intendi in modo puramente positivo? Ci sono dischi degli ultimi quattro o cinque anni che vi hanno davvero colpito in questo campo?

BJ: È successo già altre volte in passato che questo genere godesse momenti di maggior esposizione e crescesse mediaticamente e per numero di band. Sicuramente non è cambiato a livello di vitalità perché le band anche se nel sottobosco sono sempre esistite. Credo sia il genere con la maggior costanza da parte delle band. Ora, anche se c’è la possibilità di ascoltare band qualitativamente alte, c’è di conseguenza un enorme numero di band copia o riciclo, come tutto l’abbondante numero di band revival a cui stiamo assistendo. Un esempio, puoi avere delle venature settantiane nella tua musica, ma queste devono nascere dal tuo spirito non essere buttate in faccia e vendute solo per una questioni di suoni e stile che sono copiati da quella o quell’altra band pari pari. In questo modo appiattisci e rovini proprio quello che era lo spirito di scoperta e crescita musicale di quel periodo. Rapporta il tutto ad un genere ed il risultato non cambia.

Cynar: Io penso che come tutte le cose quando vengono sporcate con il "riciclaggio artistico" in qualche modo perdano di significato e di valore, questo boom forse in effetti è esagerato poiché ci sono tantissime realtà che sono veramente stagnate e stagnanti, ma penso che al fianco di queste realtà esistano anche tantissime band che sono veramente superbe e sopraffine, se penso all'ultimo album di Joe Hasselvander ne è la prova concreta!


In Italia il Doom si è evoluto con delle caratteristiche ben precise, alle volte più orientate a certi richiami puramente Prog-Rock e/o Dark. Il vostro stile attinge maggiormente da altri calderoni, ma cosa ne pensate dei nostrani titani del genere? Mi riferisco a gente come Paul Chain, The Black, L'Impero Delle Ombre e cosi via...

Cynar: Sono tutte realtà che hanno fatto la storia del metal e del rock in Italia, realtà che devono assolutamente essere viste come tesoro musicale e culturale e per questo bisogna custodirlo e preservarlo. In Italia abbiamo una lunga tradizione di band e realtà che vanno dal prog al punk passando al dark e al doom che hanno fatto storia e penso dobbiamo esserne orgogliosi.

BJ: Noi personalmente siamo, infatti, orgogliosi della grande e lunga tradizione del Dark Sound italiano, sia questo più legato al rock o al metal. Sin dagli anni d’oro del prog abbiamo avuto sempre ottime band dedite a queste sonorità e non nascondo il piacere di trovarsi sempre più spesso a parlare e a condividere questo nostro patrimonio culturale anche all’estero. Noi forse non nella maniera più classica abbiamo richiami a questa tradizione, ma ascoltando un pezzo come "Like A Ghost" rimani della stessa opinione?


Torniamo a parlare di voi. C’è una canzone nella vostra discografia a cui vi sentite, individualmente, legati in modo particolare? Perchè?

BJ: Nessuna in particolare perché la preferenza può variare a seconda dello stato d’animo. Sono tutte canzoni che sono nate esprimendo sinceramente delle sensazioni ed anche se in periodi diversi sono la fotografia di un momento, quindi sempre mutabili al piacere. Ciò non toglie che a me tutte diano la stessa energia nel risuonarle dal vivo perché possono essere reinterpretate.

Cynar: Forse "Phoenix" sia per quanto riguarda il testo e sia per quanto riguarda la musica, ogni volta che la canto mi emoziono parecchio, è un fatto istintivo, secondo me non c'è una reale ragione.


Sul palco i Doomraiser danno l’impressione di essere una band in cui regna la parola "coesione". La vostra forza è quella di trascinare con un’immagine unita, in cui ognuno fa la sua parte e nessuno sovrasta gli altri. Credo che questo sia molto importante all’interno di un gruppo; in che modo si traduce questo affiatamento dietro le quinte? In che modo lavorate su un pezzo, c’è qualcuno che compone e poi sottopone le idee agli altri oppure è un lavoro di gruppo?

Cynar: Se c'è una cosa di cui sono veramente orgoglioso è proprio il modo con cui componiamo i nostri brani: arriviamo in studio improvvisando e lasciamo che la mente e lo spirito viaggino, nel momento in cui ci rendiamo conto che in quell'improvvisazione c'è qualcosa di buono allora ci fermiamo e lo lavoriamo, e solo quando ci accorgiamo di aver detto tutto in quel brano allora lo chiudiamo. Tutto ciò mi fa sentire parte integrante di un tutto che vive e che pulsa piena di energia: l'entità DOOMRAISER.

BJ: Mi hai fregato di nuovo perché ho già risposto anche a questa cosa. Il live è un rituale in cui l’entità Doomraiser ne è il cerimoniere. L’entità si manifesta nel momento in cui ci incontriamo per suonare insieme e quindi scambiare e condividere le nostre sensazioni e le nostre individualità. Siamo molto affiatati anche al di fuori del solo percorso musicale, anche se ciò non significa frequentarsi forzatamente, ma il DOOM, come detto, non va oltre la musica stessa! Con il tempo abbiamo sicuramente imparato a conoscerci come singoli e questo non può far altro che giovare al percorso comune. Sappiamo capire quando qualcuno di noi ha bisogno di vivere, anche per soli pochi istanti, il suo mondo in solitudine o con altri per tornare con più forza e più sensazioni da condividere. Per questo componiamo insieme e non esiste un compositore singolo o principale. Doomraiser è un’entità a se stante.


Ci sono gruppi a cui vi ispirate nel comporre? Se sì, quali?

BJ: Ancora (ride)!!! No, non c’è nessun gruppo in particolare ad ispirarci se non le sensazioni che una band può darci.

Cynar: No in realtà non ci sono gruppi a cui ci ispiriamo in maniera netta, sono i feelings musicali che ci ispirano non gruppi in particolare.


Che ruolo svolge il testo nella vostra musica? Preferite comporre un pezzo e aggiungere le parole in un secondo momento oppure c’è un concetto che vi guida nello sviluppo degli arrangiamenti?

Cynar: Il testo è parte integrante del brano, diamo un'importanza fondamentale ad esso proprio perché penso sia la vera anima della canzone. Ma comunque quasi sempre è pensato dopo.

BJ: È parte della canzone anche se arriva dopo la musica. La musica non potrebbe vivere senza il testo e viceversa. Anche il testo ci porta a capire quando il processo compositivo è giunto a compimento ed è il momento di dire stop.


Come ho detto in precedenza, i Doomraiser sono famosi per avere una carica particolare nelle esibizioni live. In che modo è percepita questa carica nelle vostre date fuori dall’italia?

Cynar: Molto bene, la gente si diverte e percepisce la grande energia che ci fa muovere!

BJ: Dico solo questo, che a volte non crediamo di trovarci a suonare a centinaia di chilometri di distanza.


Avete condiviso il palco con nomi internazionali molto noti (se penso ad un vostro concerto con i Reverend Bizarre ancora mi viene da piangere per non esserci stato), e avete presenziato in vari festival (mi viene in mente il Dutch Doom Day, ad esempio). Ci sono aneddoti che volete raccontarci? Una data che vi è rimasta impressa, un gruppo con cui vorreste suonare di nuovo, un pubblico particolarmente entusiasta?

Cynar: Il pubblico del DOOM SHALL RISE nel 2006: ENERGIA PURA!

BJ: Dico anche io Doom Shall Rise, ma solo perché è stato il nostro primo concerto fatto fuori dall’Italia ed è da lì che è poi realmente cominciato tutto. Non è questione d’importanza o cosa sia successo perché da raccontarne ce ne sarebbero tante anche di altri concerti. Non finirò, infatti, mai di ringraziare l’organizzazione per la possibilità che ci hanno dato, credendo nella nostra musica già dal demo e per l’enorme energia trasmessaci. Speriamo si rifaccia in futuro ancora, visto che gli ultimi due anni è rimasto in pausa, e che si possa parteciparvi ancora.


Quali sono i vostri progetti per il futuro? Avete già delle idee sul vostro prossimo album o preferite concentrarvi su eventi live e/o side project?

Cynar: Abbiamo in programma un bel po’ di date questa primavera tra le tante con ELECTRIC WIZARD, ORANGE GOBLIN, quindi ci aspetta un'intensa primavera-estate dal vivo per poi rimetterci nuovamente a lavoro in studio verso l'autunno.

BJ: Oltre ai live non abbiamo nessun progetto ben delineato al momento. Sicuramente a breve cominceremo a fissare dei punti nel nostro percorso, ma questo solo per convogliare le nostre sensazioni ed energie del momento in un unico punto sempre con naturalezza.


L’intervista si conclude qui. Vi ringrazio moltissimo per la vostra disponibilità e spero che vi potremo accogliere nuovamente su queste pagine in futuro. Lascio a voi il compito di salutare i nostri lettori come credete sia più consono!

Cynar: OM)))

BJ: Superate la paura di stare con voi stessi e conoscervi e se la musica può essere un mezzo per farlo non lasciatela scivolare addosso superficialmente. DOOM ON.

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