lunedì 28 marzo 2011

DARKBLACK - The Sellsword & Midnight Wraith


Informazioni
Gruppo: DarkBlack
Anno: 2009/2010
Etichetta: Stormspell Records
Contatti: www.myspace.com/darkblack
Autore: Mourning

Tracklist "The Sellsword"
1. Sword Of The Morning
2. Icy Tomb Of Time
3. Down From The Mountain
4. Sellsword
5. Dark Apostle
6. Ancient Stone Sentinel
7. ...With Lightning Speed
8. Breath Of Fire
9. Flame Forest

DURATA: 41:43

Tracklist "Midnight Wraith"
1. Doom Herald
2. Power Monger
3. Golden Idol
4. Midnight Wraith
5. Broken Oath

DURATA: 22:01

Inizialmente devo dire d'aver avuto un rapporto contrastato con la NWOBHM e il sound heavy classic, per quanto alcune realtà m'interessassero molto, altre mi lasciarono parecchio indifferente e a distanza di anni non posso che darmi dello stupido da solo, la base storica del metal non solo va ascoltata, va goduta, vissuta e ricercata soprattutto nei suoi aspetti minori per arrivare a comprendere il perché tante band ancora oggi la mantengano viva.
Il revivalismo non è l'esser parodiali, è il proseguire un sogno il cui primo mattone è stato già messo e passo dopo passo ognuno che vi s'inserisce aiuta a tirar su quel luogo dove possa trovare una definizione definitiva creando una nuova era per il sound che viene riportato in auge, non è poi detto che tutti quelli che si cimentano siano d'aiuto, gli stupri sonori non mancano ma è anche vero che la volontà di provare e le testimonianze d'amore verso il metal sono una delle forme più pure e importanti soprattutto per chi come me compra e ascolta continuamente questa forma d'arte.
Dall'Oregon giungono i DarkBlack, il trio ha sinora sfornato due ep e un full, è stato proprio il primo mini lavoro "The Barbarian's Hammer" che mi colpì particolarmente a farmi prendere la decisione di contattarli, Tim si è rivelato molto affabile e cordialmente ha inviato i due lavori restanti che per comodità e scelta personale ho deciso di trattare in unico mandato.
Il full "The Sellsword", il secondo step compiuto, in nove pezzi ci regala quaranta minuti di heavy metal di stampo early Slough Fegh, Mercyful Fate, Iron Maiden, Skullview, Witchfinder General, Angel Witch, volete che vada avanti con i nomi? Non credo davvero ce ne sia bisogno, basterà metterlo su e se masticate un po' di questa musica capirete immediatamente da dove i ragazzi attingano.
Inutile dirvi che non inventano nulla nè tantomeno ne hanno intenzione, è un omaggio appassionato, composto seguendo i canoni e le movenze che caratterizzavano gli album di fine anni Settanta, primi Ottanta, riescono a trarne il lato meno superficiale affondando in quello che adorava tingersi di tonalità più scure e cariche di fascino, il riffing non è lontano dal divenire naturalmente epico a più riprese.
Come non farsi trascinare da tracce come l'opener "Sword Of Morning" e "Dark Apostle" la cui personalità ortodossa è dotata di un sound di chitarra che vi capulterà indietro di ben trent'anni, perché non lasciare che la vivacità nero/grigia delle atmosfere che risiedono in "Down From The Mountain" faccia il suo corso e ancora perché non alzare il volume per ascoltare meglio le sei corde taglienti di una "Breath Of Fire", la cavalcata racchiusa in "Ancient Stone Sentinel" e l'altra hit del platter "...With Lightning Speed" in cui ancora una volta spiccano gl'intarsi melodici e la prestanza? Non vi sono motivi per non farlo.
La produzione purtroppo limita il potenziale dei DarkBlack, sono ispirati, possiedono un buon songwriting ma la voce di Tim viene relegata per non dire affossata dagli strumenti, è un peccato perché le sue linee in quanto a esecuzione ed impostazione non sono per nulla male.
"Sellsword" è un buon punto di partenza, stare con le mani in mano per troppo tempo sarebbe stato un male, si rigettano quasi subito nella mischia pubblicando a distanza di un solo anno l'ep "Midnight Wraith", cinque pezzi che neanche lontanamente si sognano di abbandonare i cardini sonori su cui ruotano i DarkBlack ma che risultano essere ancor più maturi, sono in una situazione di "work in progress" che sembra stia dando frutti.
I ventidue minuti sono segnati da ritmiche veloci e incalzanti, produzione forse sin troppo raw e old fashioned ma che stavolta almeno in parte rende giustizia alla voce.
Con l'opener "Doom Herald" è il sound classic per eccellenza a farci visita, sono le sfumature a renderla più intrigante, è con la successiva "Power Monger" che mi conquistano, sporca, hard rockeggiante e più quadrata nell'incedere, all'interno di questo lotto è il pezzo che spicca. La vena hard derivante dalla scuola Thin Lizzy si percepisce in maniera distinta pure nella titletrack soprattutto nell'impostazione della voce, com'è evidente che Phil Lynott & Co. facciano capolino strumentalmente sia in "Golden Idol" che "Broken Oath", brani da rivedere in parte.
Il primo citato sembra esser slegato in certi momenti, il modo in cui avanza pare manchi di continuità mentre la canzone posta in chiusura soffre una natura più "standard" se messa al cospetto delle altre.
Fra le note positive da annoverare è giusto segnalare la bella prestazione in ambito solistico di Anthony, quando entra in scena riesce costantemente a fare la differenza dando un quid in più ai brani.
Sono scatenati, sono genuini, suonano con devozione ciò che amano, i DarkBlack possono sicuramente crescere e chissà, magari dotati dei mezzi adeguati tenendo in conto che c'è un compito dietro il mixer che "deve" essere svolto con perizia, sapranno in futuro offrirci quel disco che doni loro una meritata ribalta, attendiamo e attendo con piacere ulteriori sviluppi, per ora il mio consiglio è quello di entrare in contatto con "Sellsword" e "Midnight Wraith", se siete fruitori abituali di NWOBHM e affini di sicuro non vi dispiaceranno.

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DEVIL - Magister Mundi Xum


Informazioni
Gruppo: Devil
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/devilband
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Arrival (intro)
2. At The Blacksmith's
3. Spirit Of The Cult
4. Time To Repent
5. I Made a Pact...
6. Welcome The Devil

DURATA: 23:28

L'ho detto molte volte durante l'anno passato e lo confermo ancora una volta, il doom in tutte le sue sfaccettature continua a essere il genere che mantiene il primato come rapporto quantità/qualità delle release prodotte, non so quante ne abbia trattate sinora, quello che so per certo è che di dischi grandiosi ne sono usciti davvero una miriade.
Altro giro, altra corsa ma è sempre nel 2010 che mi rituffo per scrivere dei Devil, la formazione norvegese che vede al proprio interno membri di Vesen e Faustcoven si presenta sulla scena con un demo, "Magister Mundi Xum", simbolico atto di devozione per le stagioni Settanta e Ottanta del metal.
Sei brani che non lesinano né celano l'amore del combo per i maestri Black Sabbath, Pentagram e Trouble, che strizzano l'occhio all'approccio NWOBHM dei Witchfinder General e che quindi sono quanto di più godereccio un fedele fruitore di doom si possa ritrovare all'orecchio.
Sound genuino, produzione decisamente retrò e brani che pur esaltando il fattore "già sentito" riuscirebbero a smuovere anche un mammoth dal torpore millenario che lo attanaglia, sono ventiquattro minuti che ti permettono di mettere alle spalle il moderno e gli ascolti anche interessanti dell'ultima ora catapultandoti indietro di trent'anni.
Passato l'intro "The Arrival", ci sono "At The BlackSmith" vibrante, con un groove fantastico, le centrali "Spirit Of The Cult" e "Time To Repent" divise fra la due nature seventies ed eighties, c'è tanto rock su cui aleggia quell'alone tetro affascinante che ammalia, non si può rimanerne indifferenti.
Ritornelli accattivanti, una vena punk che si divincola senza emergere mai del tutto e una visione affine al movimento occult più classic ci evitano l'ennesima versione appesantita e ultraschiacciata del sound tanto in voga adesso, le lancette non riescono a spostarsi da decadi ormai ben più che andate e "I Made A Pact..." e la conclusiva "Welcome To The Devil" mi fanno pensare solo a una cosa: "quando uscirà il full dei Devil dovrà essere mio" (a quanto sembra la band è finita sotto l'ala protettrice della Soulseller e lì si va sul sicuro, gran label).
La Norvegia mi sorprende e stavolta non è il panorama estremo a regalarmi un gioiello, "Magister Mundi Xum" è una sincera e onesta ammissione d'amore nei confronti del doom primore, non c'è altra via da percorrere che non sia l'acquisto.

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CLOCK STOOGES - Wandering Schizos

Informazioni
Gruppo: Clock Stooges
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/clockstooges
Autore: Mourning

Tracklist
1. Clock Stooges
2. Last Sunset
3. Religious Breakdown
4. Φελλός

DURATA: 15:17

I Clock Stooges sono una formazione greca alternative rock a lievi tinte metalliche, "Wandering Schizos" è il loro demo uscito nel 2011, quattro pezzi, quindici minuti che spaziano da momenti catchy e sognanti ad altri più vivaci e retrò nel sound, ascoltando la seconda in scaletta "Last Sunset" in pratica avrete la summa del loro suono, un pizzico di rock anni Sessanta e Settanta, schitarrate nervose nella seconda parte e una voce che sa come affascinare, ingredienti semplici, risultato di buona fattura.
Interessante l'opener "Clock Stooges" che mi ha fatto un strano effetto, non so per quale motivo la mia mente ha ricollegato in prima botta alcuni momenti alla fase embrionale dei Faith No More con alla voce Chuck Mosely, non comprendo invece l'uso del growl in "Religious Breakdown" che senza ciò sarebbe un pezzo discreto.
Sono decisamente più incisivi e accattivanti quando si muovono sul territorio rock ed esulano dal rinforzare in maniera spropositata i pezzi, sfruttano bene la solistica e si vede che l'aver suonato live di frequente abbia aiutato il duo compositivo Jimmie e Kostantina (il primo per quanto concerne l'aspetto musicale, la seconda quello dei testi) sia ormai maturo e pronto per elaborare materiale per un full di debutto.
Un progetto da seguire con attenzione quello dei Clock Stooges, certo solo se siete appassionati della scena alternativa ma non ci giurerei, c'è sempre più gente che dopo ascolti spesso distratti si accorge di quanto ci sia di buono in questo filone, magari anche qualche metallaro meno intransigente potrebbe provare a concedere loro un'occasione, aspettiamo quindi gli sviluppi futuri e vediamo se sapranno adempiere al compito che li attende.

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BREATHLESS - Thrashumancy


Informazioni
Gruppo: Breathless
Anno: 2011
Etichetta: Xtreem Music
Contatti: www.myspace.com/breathlessarras
Autore: Mourning

Tracklist
1. Faceless Perspective
2. Nuclear Seas
3. Thrashumancy
4. Slavery Of The Masses
5. El 5º Mafioso
6. Among Two Worlds Of Lies
7. Anoxia
8. Pastors Of Hell
9. Penelaster
10. Arrass Attack!!
11. Ramiro Has A Gun
12. Storming For Vengeance
13. Deadly Sessions

DURATA: 43:13

Il revival eighties non ha fine, dalle isole Baleari giungono a noi i Breathless, anche per loro come tante altre compagini spagnole è arrivato il momento di debuttare nell'alta società, ci viene servito un menù succulento di tredici portate intitolato "Thrashumancy".
Le influenze da cui il combo trae ispirazione sono alquanto evidenti sin dalle battute d'apertura, Kreator, Coroner, Sabbat (inglesi) e gente come Exodus e i 'Tallica non vengono di sicuro nascosti all'orecchio, sono quaranta minuti all'insegna di un costante quanto gradevole assalto in pieno stile retrò, la titletrack, "Slavery Of The Masses", "Pastors Of Hell", "Arrass Attack" e "Storming Of Vengeance" rappresentano la miglior espressione della grinta e della volontà scapocciante che guida i Breathless.
Il disco vanta però due momenti totalmente strumentali, "El 5º Mafioso" e "Ramiro Has A Gun", nei quali vengono messi in evidenza la discreta capacità tecnica e un feeling che rimane costante e coerente anche se non supportato dal comparto vocale.
La formazione riesce nell'evitare il puro scimmiottamento, scansa le forzature estreme puntando su una solidità fatta di cura dell'arrangiamento, sprint e una prestazione vocale sopra le righe del cantante Eduardo le cui linee per una volta posso affermare con piacere che di primo acchito non risultano accomunabili a questo o quel suo collega famoso, ciò gioca a loro favore.
La produzione è "pulitina" quanto basta per definire in maniera chiara la strumentazione mantenendo però quell'alone retrò che ha reso immortali i lavori d'estrazione ottantiana, la "vecchia scuola" thrash ha lasciato un'impronta indelebile nel cuore di questi musicisti che le han reso omaggio con un album degno di nota.
La vostra fame da old schooler continua ad aumentare? Non vi accontentate delle solite band che infoltiscono un già fitto panorama rievocativo? Bene, segnatevi il nome Breathless e aggiungetelo alla vostra lista, il loro "Thrashumancy" fa sicuramente al caso vostro.

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EXCAVATED - Ad Libitum


Informazioni
Gruppo: Excavated
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/excavated
Autore: Mourning

Tracklist
1. Awake
2. Enslaved In Hatred
3. Dressed Of A Giant
4. Enemies Of God
5. Blinded By Faith
6. The Red Rebirth
7. Neglected To Oblivion
8. Deep In Throat
9. Demise
10. Passage
11. Departure To Negativity
12. The Greed Of Tyrants
13. Leaving Jesusalem

DURATA: 56:30

Gli Excavated appartengono al folto gruppo di realtà che pur avendo un vissuto iniziato sul finire degli anni Novanta ha atteso una vita prima di partorire l'album di debutto. Nati nel 1997 e con un solo demo all'attivo nel 2001 intitolato "Blinded By Faith", hanno cambiato più volte membri in line-up, si son concentrati sulle esibizioni on stage calcando lo stesso palco di act storici quali Vader, God Dethroned, Impaled Nazarene e passata una decade finalmente riusciamo ad ascoltare il full "Ad Libitum".
Il sound è old school, la formazione belga attinge sia dal panorama oltreoceanico, sia da quello europeo miscelando aggressività, melodia, partiture che sfruttano assetto thrashy e scatti in velocità, formalmente ben eseguito, ci troviamo dinanzi un platter che non ha nessuna intenzione di inventare nulla né tanto meno di concedersi a trend modaioli, quasi un'ora di death metal ben congeniato e capace di creare anche una discreta dose d'atmosfera.
Gente come Cannibal Corpse, Immolation, Vital Remains ed Entombed sono solo alcuni dei nomi che vi rimbalzeranno all'orecchio ascoltando tracce come "Enslaved By Hatred", "The Red Rebirth", "Neglected To Oblivion" quanto una "Dressed Of A Giant" e "Demise" vi sbatterà contro l'irruenza e la prestanza classica del death metal del periodo nineties, degna di nota soprattutto la buona prova gutturalmente incisiva di Audry Andrè e della sezione ritmica decisamente ben incassata.
"Ad Libitum" è un disco discreto, prodotto con cura, dietro il mixer è stato eseguito un lavoro attento e di ciò gode la strumentazione che risulta intellegibile e fornita della dovuta carica, non brillerà per originalità ma possiede le soluzioni adeguate a intrigare un appassionato fruitore di platter in stile vecchia scuola.
Avete ascoltato il nuovo Deicide e stavate per avere i conati come il sottoscritto? Pensate che gli ultimi Obituary dovrebbero mandare in pensione anticipata quel power metaller di Santolla? Per fortuna c'è ancora chi come gli Excavated non ha nessuna voglia di fare del male al nostro udito, mettetevi su un po' di death metal, "Ad Libitum" vi sarà di sicuro conforto.

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TITANS EVE - Divine Equal


Informazioni
Gruppo: Titans Eve
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/titanseveofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Mourning Star (Intro)
2. Judgment
3. Becoming The Demon
4. Into The Fire
5. Serpent Rising
6. Tides Of Doom
7. Dusk
8. Nightfall
9. Living Lifeless
10. Searching For Nothing
11. The Divine Equal

DURATA: 37:50

Il Canada continua a sfornare band mantenendo un ritmo incessante, i Titans Eve appartengono alla scena di Vancouver e arrivano al debutto con "The Divine Equal" dopo aver prodotto il solo ep "Into The Fire" nel 2009 ed essersi fatti le ossa on stage condividendo il palco con act quali Exodus, Moonsorrow e Finntroll.
I ragazzi tengono il piede in due staffe, se da un lato ci troviamo dinanzi a un platter che conosce e dimostra di voler aggredire con la violenza caratteristica dell'old school, dall'altro è evidente che l'attitudine catchy, i refrain orecchiabili e le melodie spesso più che solamente accennate strizzino l'occhio all'ultima ondata di thrasher pulitini.
In certi momenti l'approccio dei Titans Eve ingloba i già citati Exodus, i nuovi Kreator, i Paradise Lost accoppiandoli con una sin troppo sfrontata vena Trivium che alleggerisce non di poco l'impatto.
Brani ben assemblati come l'opener "Judgement" e la successiva "Becoming The Demon" raccontano la storia dei Titans Eve, sono veloci, equilibrati nel mostrare le due facce musicali della formazione e insieme all'arrembante presa di posizione di una "Tides Of Doom" dal ritmo martellante si rivelano gli episodi migliori del disco.
I difetti di "Serpent Rising" si notano non tanto nel riffing discreto quanto nel drumming che fornisce poca spinta, "Into The Fire" sembra uscita dal periodo di svolta dei Paradise Lost dove le influenze thrashy avevano dato vita a un piccolo capolavoro intitolato "Icon", non raggiunge i picchi di splendore dei pezzi contenuti in quel platter ma si difende bene, stesso discorso vale per "Nightfall" con la pecca legata al comparto vocale non sempre in linea con la canzone.
Il trio finale che vede sbattersi "Living Lifeless", "Searching For Nothing" e la titletrack ripercorre il già sentito in antecedenza mantenendo ben salda la posizione durante l'attacco ma non colpendo particolarmente forte, una situazione di stallo godibile e che conclude "The Divine Equal" senza vincitori né sconfitti.
I Titans Eve non hanno grosse limitazioni di tipo formale, i cori in background potevano esser meglio supportati dalla produzione che li relega sin troppo dietro quasi annullandoli e la batteria andrebbe alzata di volume per aumentare la spinta ma nel complesso l'album una volta inserito nello stereo il suo compito lo svolge e discretamente.
Il problema reale è legato al target d'ascolto, è troppo moderno per piacere agli old schooler ma nello stesso tempo tenta di non rompere il cordone ombelicale con il carattere primorde del genere? La via di mezzo mi auguro che in questo caso sia solo una fase di transizione momentanea, trovate una direzione e identità sulle quali impostare il proprio futuro i Titans Eve dovranno solo mettersi a fare ciò che piace loro, suonare thrash e ne sono davvero capaci.

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MOMBU - Mombu

Informazioni
Gruppo: Mombu
Anno: 2011
Etichetta: Subsound Records
Contatti: www.myspace.com/mombumombu
Autore: Mourning

Tracklist
1. Intro 253
2. Stutturer Ancestor
3. Orichas
4. Radà
5. Regia De Ocha
6. Mombu Storm
7. Kemi
8. Ten Harpoon's Ritual

DURATA:


Mombu? Che sarà mai? Sembra si stia parlando di chissà che, invece è di una realtà, e alquanto particolare, che mi trovo a scrivere, quella che vede coinvolti due fra i musicisti più eclettici del panorama musicale italiano, hanno infatti unito le forze Luca T. Mai sassofonista degli Zu e Antonio Zitarelli batterista/percussionista dei Neo per dare alla luce a una creatura che vi allontani da una visione ostentatamente digitalizzata dei paesi industralizzati tramite una scelta di un sound che fa molto "back to the roots".
Per quanto la proposta sia oltranzista e sotto certi aspetti avanguardistica nel suo far duettare i differenti modi alle volte così esasperati ed esteticamente atmosferici, tanto da ricondurli per certi aspetti alle evasioni ampie e turbolente di stampo post-metal, la ruota che fa girare il mulino di "Mombu", il debutto omonimo, è il consistente mood ancestrale e lo sguardo distaccato con cui le tracce affrontano le modalità di concepimento, esulano dal possedere schemi precisi, break ripetuti o "giochetti" per accalappiare l'ascoltatore, è una prestazione incentrata sul fattore "spirito libero".
La tracklist vede in scaletta otto canzoni che incessantemente si prestano alla jam-session, è un rubarsi la scena in continuazione, un duettare che s'interrompe e si ricollega dopo aver trovato l'ennesima chiave di volta, è una danza tribale che non ha fine, che muta in continuazione assumendo forme e nomi diversi ("Stutterer Ancestor", "Radà", "Regia De Ocha", "Mombu Storm", "Ten Harpoon's Ritual"), che decide di rivitalizzarsi con la purezza degli influssi jazz o affondare ancor più le mani nella terra innescando ritmiche grasse e in più di una circostanza tendenti al ritualistico assecondando l'istinto primordiale, è natura riportata su di un pentagramma.
Un disco intenso e non facile da assimilare questo "Mombu", di sicuro non adatto a chi è abituato a vivere la musica alla pari del cibo plastificato dei McDonald's, è un fiume in piena e come tale sente il bisogno di scorrere senza intoppi, va preso e digerito in unica soluzione assorbendolo con la dovuta calma passaggio dopo passaggio nello stereo.
Registrato da un trittico di prim'ordine composto da Matteo Spinazzè (compagno fra le altre cose di Mai negli Zu), Mauro Pagani e Xabier Iriondo e con il master affidato alle mani sapienti del sempre più onnipresente James Plotkin (Isis, Earth, Khanate), "Mombu" e i Mombu v'invitano a un safari sonoro, se non avete paura di affrontare tale esperienza in loro compagnia, c'è una sola cosa fare, premere:"PLAY".

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MARIO PERCUDANI - New Day

Informazioni
Gruppo: Mario Percudani
Anno: 2010
Etichetta: Tanzan Music
Contatti: www.myspace.com/mariopercudani
Autore: Mourning

Tracklist
1. In My Old Shoes
2. Don't Bother Me
3. You Can Run
4. Scarlet
5. New Day
6. All Over
7. Standing In The Pouring Rain
8. Tears On The Water
9. I'll Be There For You
10. God Bless The Child

DURATA: 40:05

Chi è un attento e fedele acquirente di dischi della scena hard rock, AOR e blues il nome di Mario Percudani lo conoscerà o l'avrà sicuramente sentito prima, il chitarrista è infatti da anni impegnato con gli Hungryheart e i Blueville oltre ad aver preso parte a svariati progetti acustici in passato, un'artista che non è mai rimasto con le mani in mano.
Come spesso avviene, il desiderio di affrontare una nuova sfida e intraprendere un percorso che si distanzi da quello che si è tracciato con le realtà "band" ha frequentemente portato ad uscite soliste di valore e che hanno riscosso interesse, basti pensare alla forma più dolce e raffinata di un Chris Cornell che nel 1999 rilasciava "Euphoria Morning", disco che divise non poco gli appassionati fan del singer dei Soundgarden.
Per Mario il discorso non è molto diverso, il suo "New Day" è composto con amore e devozione nei confronti degli stili musicali prediletti (blues, jazz, rock melodico) ma con un piglio e una fruibilità che li rendono alla portata anche di chi non necessita di composizioni strumentalmente roboanti e arzigogolate, sono le minuzie, la delicatezza e in più casi il mood introspettivo dei brani a fare la differenza.
Un modo di porsi amichevole e di compagnia, è un album maturo, l'attenzione è focalizzata sul complesso, le strutture, le note emesse e il conseguente rilascio d'emozioni vengono incanalati in un unico diagramma espressivo che trova come risultante un coinvolgimento rilassato e carezzevole anche nei momenti in cui la ritmica decide di osare di più vedasi "Scarlet" e "Tears On The Water".
Studiato nei minimi dettagli, arrangiato con cura, "New Day" possiede la capacità ipnotica di catturare l'ascoltatore per l'intera durata del suo corso, non vi sono cali, al contrario ogni singolo refrain, gli inserti di piano e i dettagli che via via vanno a completare il puzzle sonoro messo in piedi dal Percudani gli conferiscono personalità e un'atmosfera cullante che v'inviterà a rimetterlo su più e più volte, non è un caso che canzoni quali "You Can Run" (per chi scrive la migliore del lotto, sentimentalmente dirompente), "New Day", "All Over" e "I'll Be There For You" si siano guadagnate il tasto "repeat" attivo in svariate occasioni.
Il platter si conclude con l'interpretazione di "God Bless The Child", il brano storicamente partorito dalla mente di Billie Holiday e Arthur Herzog Jr. non perde mai il proprio appeal pur avendo sul groppone ben settant'anni suonati. Prodotto e mixato egregiamente da Marco Tansini coinvolto anche nella stesura di alcuni brani e nel ruolo di musicista, con il master affidato alle mani di Greg Calbi (vi dicono nulla nomi come John Lennon, David Bowie e Bruce Springsteen?) agli Sterling Studios di New York, posso assicurarvi che "New Day" è un lavoro fatto per chi è innamorato della musica, se pensate o siete certi di esserlo, dovreste farlo vostro.

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DOCTOR CYCLOPS - The Doctor Cyclops

Informazioni
Gruppo: Doctor Cyclops
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/doctorcyclopsband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Angel Saviour In The Cannibal House
2. Night Flyer
3. My Revolution
4. Eileen O'Flaherty
5. Silver Serpent
6. Night Flyer (Live "Scaldasole Rock Fest")

DURATA: 32:00

Chi cerca trova, in un modo o nell'altro si riesce sempre a pescare nel mare internettiano un gruppo che abbia le carte in regola per cui l'istinto ti dica "questi devo ascoltarli".
Li avevo adocchiati da un po' i Doctor Cyclops poi non so per quale motivo li avevo messi di lato, una chiacchierata tramite e-mail con Thomas, loro amico e dei Last Barons, ed ecco che scatta il contatto.
Christian Draghi, uno dei fondatori del trio caratterizzato dal "vintage" sound seventies/stoner, si rivela essere una persona cordiale e con voglia di comunicare, un paio di informazioni su com'è nato il gruppo e nei giorni successivi m'invia la copia di "The Doctor Cyclops", ep che racchiude quello che sinora hanno prodotto, cinque pezzi e una prestazione live a completare il mini lavoro.
La ricerca su internet continua, leggo pareri molto favorevoli e mi soffermo su un articolo che parlando di una serata punta i riflettori sul fattore strumentazione, i ragazzi usano analogico/valvolare, ennesima conferma che la cura del particolare sia importante per dar vita al loro stile, perché? Perché i Doctor Cyclops sono di un'altra epoca musicale, lo spirito dei 70's è talmente vivido, palpabile che gente come Black Sabbath, Captain Beyond e in genere l'esoteric e horror rock di quei tempi siano stati nutrimento quotidiano per l'ispirazione compositiva.
Come si fa a restare impassibili alla felice apparizione dell'organo Hammond suonato da Enzo Draghi nell'opener "Angel Saviour In The Cannibal House", come non accorgersi di un sentore epico di primo stampo heavy in un gioiellino dal titolo "Night Flyer" e il filotto "My Revolution" e "Eileen O'Flaherty" che con il flavour bluesy e un groove old style ti fa pensare d'esser fortunatamente fuori da questa fottuta epoca digitale che uccide la musica, che bella scappatoia.
Il cinema sembra esser legato al mondo dei Doctor Cyclops, le atmosfere cupe alla Dario Argento non si sprecano, si amano (il monicker richiama alla mente il film del 1939, primo lungometraggio di fantascienza girato a colori) tanto che "Silver Serpent" viene registrata per essere inserita nella compilation a supporto del dvd della 20Th Century Fox "2012 L'Avvento Del Male", il pezzo è fantastico e ho personalmente riscontrato delle affinità con l'artista di Seattle Jerry Cantrell, alcuni passaggi sono molto sullo stile intrapreso dal chitarrista degli Alice In Chains con "Degradation Trip" pur rimanendo radicalmente ancorati al settantiano, signori che gran brano.
La mezz'ora è praticamente fuggita via, "Night Flyer" in versione live registrata durante lo "Scaldasole Rock Fest" vede in line-up l'attuale batterista Alessandro Dallera, il resto della tracklist è stato invece suonato dall'ex Luca Dedomenici.
I Doctor Cyclops sono quello che ogni appassionato di proto-doom e rock/stoner sogna, una combinazione genuina, non forzatamente ortodossa ispirata all'inverosimile e che dimostra una forte personalità, non mi sorprenderebbe vederli a breve termine firmare per una label importante, l'Italia con band simili non ha da dimostrare nulla a nessuno, può affrontare le sfide ad armi pari con chiunque.

I ragazzi avranno il piacere d'aprire il concerto niente meno che ai Blood Ceremony, una tappa importante per visibilità e qualità della musica che verrà espressa in quella serata, speriamo che qualche label li noti e punti decisamente su questi cavalli di razza nostrana!!!

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DEEP DESOLATION - Subliminal Visions


Informazioni
Gruppo: Deep Desolation
Anno: 2011
Etichetta: Q.E.V / End Of Time
Contatti: www.myspace.com/deepdesolationband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Call Of The Abyss
2. Murderous Lust
3. Mass Murderer's Ejaculation
4. Subliminal Visions
5. Christ's Incest
6. Infernal Hallucinations
7. In A Mouth Of Madness
8. Everlasting War

DURATA: 51:20

Nuova formazione made in Poland quella dei Deep Desolation, nella line-up incrociamo personaggi già noti alla scena estrema i due chitarristi Meriath e Markiz membri ed ex di band quali Chordata, Iugulatus, War e Hecadoth che con Martinous alla voce, Piorun al basso e Wilku alla batteria (il drumming del debutto è però ad opera dell'ex founder Darek) ci presentano "Subliminal Visions".
La ricetta del sound è di quelle semplici, chitarre groovy, una miscela di black metal primordiale con influssi doom massicci, batteria che mantiene ritmi per lo più blandi, pesanti e la voce caustica di Martinous che echeggia blasfemie ripetute, di sicuro titoli come "Mass Murderer's Ejaculation" e "Christ's Incest" non le mandano a dire.
Il platter diviso in otto episodi per oltre cinquanta minuti di durata, è compatto tendendo al monolitico in alcuni frangenti, la più estesa "Subliminal Visions", titletrack del lavoro, è un ascolto consigliabile più a uno sfegatato ascoltatore di proposte doomiche che black in senso stretto, la visione epicheggiante, oscura e l'uso di soluzioni cicliche nel riffing innalzano un discreto muro sonoro (veramente bello l'assolo che cresce all'interno del pezzo) che ha come difetto quello di peccare d'incisività dovuto alle linee standard del singer che non apportano quell'ennesima tonalità cinerea che avrebbe giovato, cosa ahimè riscontrabile in quasi tutte le tracce.
Martinous è maligno, è acido ma deve entrare ancor più a fondo nel meccanismo di una composizione che viaggiando su tempi marcescenti e ampiamente dediti a un'esposizione di tipo ampio necessitano di un approccio differente.
"Subliminal Visions" si lascia ascoltare e una volta entrati nel mondo dei Deep Desolation, un mondo che vuole atmosfere sulfuree rarefatte, soffocanti vi sarà più facile venire incontro a tracce come "Murderous Lust", "Infernal Hallucinations" e "Everlasting War" (i cori in retrovia infondono una sensazione d'ancestrale davvero intrigante).
In fase di produzione potevano sicuramente lavorare in maniera diversa, se il sound "grezzo" non dispiace soprattutto quando il basso non viene annientato dal resto, è anche vero che sembra mettere in evidenza la staticità di alcune scelte stilistiche, una più accurata e modellata avrebbe reso maggior giustizia al complesso.
Non male "Subliminal Visions", come detto c'è qualche dettaglio da rivedere, per essere una prima prova però è in possesso di buone carte da buttare in terra, la mia curiosità è rivolta in direzione del futuro prossimo, augurandomi si mantengano sulla stessa scia sonora spero siano più attenti al particolare, da sempre è l'elemento che fa la differenza.
Se è black puro che cercate, i Deep Desolation non fanno per voi, a meno che non amiate alla follia i pezzi lenti dei Marduk, quei brani che evocano l'odoro di zolfo, in quel caso qualche lieve tratto in comune con gli svedesi potreste pure ravvisarlo.
Fossi in voi un giro a questo disco vi calzi o meno la descrizione lo conderei comunque, meglio ascoltare con le proprie orecchie prima di formulare qualsiasi conclusione affrettata.

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LAST BARONS - Elephantyasis

Informazioni
Gruppo: Last Barons
Anno: 2010
Etichetta: Correcto Mundo! Records
Contatti: www.myspace.com/lastbarons
Autore: Mourning

Tracklist
1. M.A.B.
2. Shoot The Dreamer
3. Fat Boy
4. Father Nature
5. Ethanol Blues
6. Guru's Rules
7. In The Woods
8. Wallstreet's Men
9. Ovies Aries
10. Dead Rain

DURATA: 58:22

Qualsiasi stile, panorama musicale o semplice modo di comporre si voglia, volenti o nolenti, risulta derivativo da qualcuno, non è evitabile, c'è chi mostra d'avere personalità nel saper sfruttare le lezioni impartite dal passato e chi invece si riduce a un mero esecutore finendo nel dimenticatoio.
Lo stoner/rock è uno di quei settori che ha sicuramente una forte connotazione personale, dove l'arma dello scegliere le basi più adatte (di frequente sono quelle seventies sabbathiane) può fare la differenza, i Last Barons affrontando tale decisione hanno optato per soluzioni meno heavy oriented e più classiche della scena rock nineties, il sound del combo francese è una commistione delle creature di Joshua Homme (Kyuss e Queens Of The Stone Age post "Rated R"), Alice In Chains e Faith No More, detto questo un qualsiasi appassionato di tali band dovrebbe saltar giù dalla sedia e andarsi ad ascoltare di corsa questi ragazzi.
Perché? I motivi sono davvero molti, ce li esplica passo dopo passo il secondo album "Elephantyasis", un esempio di come si possa essere eleganti, introspettivi, energici e raffinati senza doversi concedere forzatamente al mercato.
L'adolescenza, sì ero adolescente nel periodo in cui le band citate antecedentemente (tranne i Queens) spopolavano, i ricordi dei pomeriggi trascorsi in loro compagnia sono stati rievocati prepotentemente dal suono e dall'approccio emotivo che i Last Barons adoperano con maestria, prendete una "Shoot The Dreamer", l'impostazione della voce è impossibile non riporti alla mente la formazione di Seattle?
Julien al microfono sembra proprio essere un figlio di quel periodo, ad ogni apertura della bocca so già che sarò investito da una linea talmente familiare da diventarmi subito cara, sì in questo caso il comparto delle emozioni gioca un brutto scherzo e non posso tirarmi indietro dall'intonare i refrain già dal secondo passaggio nello stereo, mando on air "M.A.B." e "Fat Boy" a ripetizione, prendo un attimo di pausa facendo scorrere la tracklist, "Father Nature" ed "Ethanol Blues", ecco che Mike Patton e soci vengono a farmi visita, dischi come "Angel Dust" e "King For A Day" sono fonte d'ispirazione per questi ragazzi e si può non amare una cosa simile?
Metà platter appena superato e sono stordito, quei cinque brani da soli son durati più di due ore... Proseguo quindi con "Guru's Rules", controllo l'anno sul calendario, 2011? Cavolo quanto tempo è passato, i cori in cui Julien viene supportato dal chitarrista Damien Landeu riportano indietro la lancetta al biennio 1990-92, "Facelift" e "Dirt" spopolavano riuscendo a entrare nel cuore anche di molti metallari, beh non credo che un pezzo simile possa anche solo lontanamente dispiacere a chi ha letteralmente consumato quei capolavori.
Ho ormai chiaro cosa attendermi dai restanti episodi, eppure la curiosità, la voglia di approfondire la conoscenza di "Elephantyasis" è forte, "In The Woods" si presenta più severa, rigida, ancor più malinconica e stranamente ha evocato il pensiero e l'intimismo di un signore ormai scomparso, Jeff Buckley, le linee guida son sempre le solite già accennate, stavolta c'è pure un bell'assolo ad adornare un quadro già ricco, è però talmente intenso il brano da non riuscire a scrollarmi di dosso quel nome.
Con "Wallstreet's Men" la follia prende piede, la canzone è vivace e quella tastierina doorsiana che in sottofondo si ritaglia spazio ne diviene caratteristica fondamentale, è ancora una volta il riffing delle asce di David e Damien a regolare la situazione, in alcuni frangenti son dei veri e propri fendenti quelli scagliati, al contrario delle soluzioni cariche di ridondanza che mettono in moto la successiva "Ovies Aries", discontinua, saltellante nel tentativo di darle una natura in costante mutamento che però in alcuni momenti tende a disperdersi, l'idea mi piace molto ma nei cambi prima e dopo il refrain si spezza forse un po' troppo, è probabilmente la traccia più pesante di "Elephantyasis" con le sue pestate di batteria.
Tutto ciò che è passato ci conduce alla conclusiva "Dead Rain", episodio che si porge delicato al pari di una carezza, c'è qualcosa dei Led Zeppelin più introspettivi che si miscela con le influenze nominate più volte, l'atmosfera dolciastra identificata anche dall'uso delle acustiche, sono arrivato alla fine e mi domando se non sia il caso di premere di nuovo "play"...
E' cosa dovuta elogiare il lavoro svolto in sede ritmica dalla batteria di Ludovic Landeu praticamente perfetto e dal basso di Laurent Tostain, presenza piacevole all'orecchio con le sue linee ordinate ed eleganti, a questo c'è da aggiungere una produzione senza sbavature e vi sarà ancor più evidente quanto i Last Barons e "Elephantyasis" mi siano piaciuti, non aggiungo altre parole se non per sollecitarvi all'acquisto di un gioiellino simile.

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UNBLESSED - Man Has Killed God


Informazioni
Gruppo: Unblessed
Anno: 2010
Etichetta: Australis Records
Contatti: www.myspace.com/unblessed
Autore: Mourning

Tracklist
1. Blood Alliance
2. Mysery Torment
3. Man Has Killed God
4. Colliding
5. The Unblessed Soul
6. The Accursed
7. My Prophecy
8. Letter To The Unborn

DURATA: 37:09

Il Sud America e la violenza sono un connubio indissolubile, il sound più agguerrito, sporco e marcio ha trovato territorio fertile in quelle zone, c'è però una nuova schiera di band che, pur alzando il livello qualitativo delle produzioni e volendo attenersi a standard più nord americani ed europei come stile, riesce comunque nell'intento di comporre degli schiaffoni che lasciano il segno.
Nel 2007 l'accoppiata made in Cile composta da Unblessed con "Burning The Faith" e Denying Nazarene con "Obliterating The Christian Devotion" mi aveva fatto gongolare blasfemicamente di gioia, a tre anni di distanza i secondi si son ripresentati con un demo autoprodotto in cd-r intitolato "Christ´s Filthy Culture Penetration" mentre i primi han deciso di dare una svolta definitiva affilando le loro lame già annerite dandoci in pasto il secondo full "Man Has Killed God".
Il death/black che per quasi quaranta minuti verrà sganciato con irruenza contro le nostre orecchie è adesso più fluido, le composizioni sono state elaborate facendo in modo che pur aumentandone lievemente il tasso tecnico, gli spasmi causati dall'impatto rimanessero comunque una efficace e costante arma a servizio dei brani.
L'aspetto melodico morbosamente ricollegabile al filone di band che seguono o hanno seguito il percorso tinto di black è palesato con veemenza, i Belphegor (soprattutto quelli degli album più recenti) sono dei poveri mestieranti se messi a paragone, è anche vero che gli Unblessed non possiedono ancora la devastante austerità nera di dischi sotto monicker Exmortem né la capacità d'incantare una parte d'ascoltatori come riesce tutt'oggi a fare un "Satanica" dei Behemoth (non mi piacciono proprio, non posso però disconoscerne il valore).
I ragazzi hanno una personalità derivativa che sa colpire sfruttando la rude essenza del genere ("Colliding") e le sue incarnazioni che tendono a ricercare una esaltazione dell'aspetto armonico massiccio ("Letter To The Unborn") inframezzandovi sfuriate non lontane dal ricordare le lande svedesi ("Mysery Torment").
Un lavoro solido e privo di momenti morti, tracce quali la titletrack, "The Unblessed Soul" e "The Accursed" rincarano la dose di bastonate, il tempo scorre ininterrottamente, si può esser presi dalle scorribande lanciate in corsa, le incursioni solistiche o lasciare che sia la voce di Paul Callahan, impostata a dovere sia in fase di growl che per quanto riguarda lo scream, a condurci all'ultimo secondo di questo "Man Has Killed God", si arriva alla fine con la dovuta soddisfazione, gli Unblessed la loro parte l'han fatta.
Meritano attenzione questi ragazzi, pestano come si deve e si nota la voglia di voler andare ben oltre i confini nazionali, la musica possiede la dote d'esser un mezzo comunicativo ad ampio raggio e l'urlo indiavolato e malsano di "Man Has Killed God" ha deciso d'entrare anche nelle vostre case, non chiamate l'esorcista non serve, alzate il volume e preparate qualcosa per dare conforto al collo, l'indomani potrebbe esser indolenzito causa headbanging.

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SUN OF NOTHING - The Guilt Of Feeling Alive


Informazioni
Gruppo: Sun Of Nothing
Anno: 2010
Etichetta: Cts Productions
Contatti: www.myspace.com/sunofnothing
Autore: Mourning

Tracklist
1. Sink
2. Catharsis
3. Drowned Out
4. Unreached Soul
5. Hearthealer (As It All Crumbles)

DURATA: 42:15

Devo recitare il mea culpa! Sono venuto a conoscenza dei Sun Of Nothing solo con questo terzo disco "The Guilt Of Feeling Alive" e cazzo che storia che mi stavo perdendo!
La band ellenica è una delle tante realtà che si muove su di un terreno minato, quando si ha a che fare con la commistione di vari stili c'è sempre la possibilità di trovarsi all'orecchio un pastone indigeribile o un'amalgama non proprio elaborata con la dovuta cognizione di causa, tralasciate entrambi i casi, il quartetto sa come, dove e perché mettere le mani in un modo piuttosto che un altro.
La combinazione di suoni ha sfaccettature che passano per mondi post, doom/sludge, blackish, noise e psichedelici, in pratica avrete a che fare con badilate tremende inframezzate da trip acidi e ossessivi, sono davvero bravi nel gestire il flusso dinamico di varianti che s'intercambiano nei pezzi.
L'opener "Sink" ci aiuta a entrare nel loro universo con toni inizialmente pacati e cristallini, un vero e proprio tranello teso ad adescare l'ascoltatore, il suo irrobustirsi non fa comunque prevedere il vortice gigante della successiva e annichilente "Catharsis" in cui l'animosità della voce si posa sulle linee di una composizione che non ha limite stilistico.
Già, il bello di un disco come "The Guilt Of Feeling Alive" è quello di inglobare le influenze citate ma non esserne schiavo, la capacità decisionale del combo su quale sia la scia musicale da perseguire per rappresentare al meglio il momento è una delle chiavi per entrarvi in contatto, non aspettatevi comparti stagni, è una giostra che gira e che ha bisogno di essere libera d'agire per rendere al meglio, quindi se avete pre-concetti di questo tipo liberatevene prima di approcciarlo.
Brani della durata di quasi dieci minuti e oltre come il citato "Catharsis" e la conclusiva "Hearthealer (As It All Crumbles)" scivolano alla grande, anzi hanno il potere di farsi desiderare, è talmente intrigante il viaggio in compagnia delle note rilasciate da volerli rimettere on air poco dopo la conclusione.
Nel foglio di presentazione dei ragazzi viene citata un'aura nichilista derivante da una creatura di nome Godflesh (spero non vi risulti scononosciuta tale realtà), se voleste la conferma di una presenza così ingombrante ma veritiera nella musica dei Sun Of Nothing provate ad ascoltare "Drowned Out", vi schiaccerà con la pressione della sua malvagia e nera schizofrenia, il cantato in scream di Ilias Apostolakis è terrificante (in senso positivo).
Le tracce che completano il quintetto d'episodi, "Unreached Soul" e "Hearthealer (As It All Crumbles)", sono esaltate da un riffing killer confezionato da Giannis Panoutsopoulos mentre le linee di basso di Andreas Starogiannis sono ossessive, maniacali, convulsive, una presenza che rende ancor più opprimente e malsana l'aria, ovviamente è impossibile non citare le dinamiche cangianti, violente ed estranianti offerte dal batterista Dimitris Zafeiropoulos in gran spolvero.
E' una prestazione di cui è sin troppo facile tessere le lodi, "The Guilt Of Feeling Alive" è introspezione tetra e desolante, avete il coraggio di accedere in questa stanza oscura? Se la risposta è sì, acquistatelo perché ne verrete letteralmente rapiti.

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HELLLIGHT - ...And Then, The Light Of Consciousness Became Hell...


Informazioni
Gruppo: Helllight
Anno: 2010
Etichetta: Solitude Productions
Contatti: www.myspace.com/helllight
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Light That Brought Darkness
2. Downfall Of The Rain
3. Soaring Higher
4. Children Of Doom
5. The Secrecy
6. Beneath The Light Of The Moon

DURATA: 01:18:46

Non saranno forse conosciuti ai più ma i brasiliani HellLight è da oltre una decade che ci deliziano con un funeral doom ben composto e suonato, dal 1998 anno in cui uscì il primo demo "Fear No Evil" n'è passata di acqua sotto i ponti e la conferma di un'ennesima maturazione a indicare la corretta direzione intrapresa ce la offre il terzo full-lenght "…And Then, The Light Of Consciousness Became Hell…" rilasciato sotto la russa Solitude Productions.
Sono pachidermici, estesi all'inverosimile i brani in esso contenuti, la durata per ogni singola traccia va da un minimo di dodici minuti a un massimo di quasi quindici che per sei canzoni vuol dire il ritrovarsi sul groppone una pietra tombale che sfiora i settantanove minuti, mazzata mica da nulla.Potreste pensare siano troppi, in effetti vi darei ragione se non fosse che gli HellLight il proprio mestiere lo conoscono e lo svolgono come si deve.
Sin dai primi attimi la formazione guidata da Fabio De Paula (chitarra, voce e tastiere) è tutt'altro che ortodossa, non è prettamente death/doom oriented la proposta, sì è vero che le basi hanno la forma dilatata, possente e decadente figlia evidente di quello stile contemporaneamente però godono di un respiro espanso e dal tratto epico grazie ai synth e ad un cantato che si spoglia del growl facendo emergere un clean evocativo e battagliero, fate finta che una creatura come gli Evoken si incroci con una band epic come gli Atlantean Kodex, abisso e mistico splendore che si fondono per dar vita a una terza natura costituita per lo più da tonalità grigie indefinite e proprio per tale motivo opprimenti.
Melodie ampie e cicliche costeggiano un sentiero che ai lati si ritrova due strapiombi, siamo sicuri che la stessa vena gotica andante così melancolica in certi passaggi e capace di obliare tramite un cullare quasi rassicurante da un momento all'altro non si trasformi nella mano che spingerà l'ascoltatore attraverso la bocca dell'inferno?
Il bello di canzoni quali "Downfall Of The Rain", "Soaring Higher", "Children Of Doom" e "Beneath The Light Of The Moon" è questo, il mettere in luce una maestosità solenne dalle sembianze luminose (ricordiamoci che lo stesso nome Lucifero, simbolo per molti d'oscurità, significa in realtà "portatore di luce") che lascia trapelare nota dopo nota i colori che realmente la contraddistinguono, i raggi vengono inghiottiti, masticati e rigettati indeboliti sino allo spegnersi generante un cinereo progredire che s'infittisce erigendo un muro desolante che diverrà infine nero seppia.
Le tenebre vanno a braccetto con la musica che "…And Then, The Light Of Consciousness Became Hell…" ci dona in pasto, è un disco che si fa apprezzare con l'aumentare dei passaggi nello stereo, ricco di minuzie, l'esser corposamente ingombrante vista l'importante durata non vi sia di freno, va assorbito, deve girare e rigirare in testa ma una volta che le atmosfere e la solidità del complesso avranno fatto breccia nel vostro animo sarà difficile toglierlo dallo stereo.
Gli HellLight con il terzo capitolo hanno dato il meglio di sè, il fascino ammaliante di questa release sarà la gioia dei fruitori abituali di funeral doom, non sarei di certo sorpreso se chi amasse le prove epiche di un certo tipo si trovasse a proprio agio nell'ascoltare una prestazione monumentale come quella racchiusa in " …And Then, The Light Of Consciousness Became Hell…", c'è solo di che godere con album simili, indi a voi usufruirne, l'acquisto è consigliato.

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F.I.N. - Des Visions Dombres Et De Tristesses

Informazioni
Gruppo: F.I.N. (Funeral Inconscientemente Natural)
Anno: 2010
Etichetta: Satanarsa
Contatti: www.myspace.com/doomfin
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Winds Of Delirivm
2. Diosa Solemne Canto
3. Conversation With The Asteroid 181
4. In The Mist (Alice)
5. El Ciclo De La Impotencia E De La Conciencia
6. A Torment Soul
7. Dusk, Wine And Shadows (Live At Doom Voice Conversation II)
8. La Rose De Mon Sepulcre
9. Ausencia

DURATA: 1:16:56

Dopo aver prodotto un solo full, "La Esperanza Que Nunca Se Pierde... Es La De Morir", la creatura di doom postmoderno (così amano definirsi questi cileni) dei F.I.N. vede pubblicato nello stesso anno, il 2010, sotto la produzione della russa Satanarsa Records un best of, "Des Visions Dombres Et De Tristesses" che raccoglie materiale proveniente da ep e split.
Sono "Cosmo-Creation Of The Lost Souls" (2008), "Layil" (2008), "El Ciclo De La Impotencia De la Conciencia" (2009) e "Architects" (2010) i lavori da cui attinge questa compilation, alle tracce estratte da queste release vengono aggiunte tre nuove canzoni composte dopo l'uscita del debutto, le collocano a chiusura del platter omaggiando nel booklet ognuna con una definizione precisa (v'invito a leggere le brevi note, il book è appena quattro facciate).
L'opera è alquanto interessante, personalmente non conoscevo assolutamente questa particolare realtà e vi posso assicurare che è tutto tranne che un viaggio easy listening quello che è stato preparato.
E' difficile anche definire quale sia il filone più adeguato alla musica, drone? ambient? non so, la proposta è largamente diluita ma elaborata, ridondanze cicliche, suoni teatrali, atmosfere che tendono a rarefarsi e assumere forma nebulosa in un men che non si dica, è decisamente ampia la gamma di soluzioni con cui si dilettano, com'è altrettanto ben provvista la sacca contenente il lato emotivo di cui si fanno pesantemente carico.
Oltre un'ora e un quarto di musica che dividerà di sicuro gli ascoltatori, chi li riterrà troppo dispersivi e forse privi addirittura di spessore per scelte azzardate fatte di virate che vanno a parare al di fuori di qualsiasi classico stile, altri (come il sottoscritto) li tratteranno come artisti ispirati, evidentemente vogliosi di guardare oltre e abili nel fornire in note rumori, sensazioni o semplici sospiri con una volontà che si dibatte nella costante affermazione di un sentimento a discapito di un altro.
Un best of che ha il valore di un disco vero e proprio per due motivi fondamentali: a) non credo che sfortunatamente (o fortunatamente a seconda dei punti di vista) questi ragazzi abbiano un seguito così grande da ridurre una prova simile a una mera mossa commerciale, b) quando un album ti toglie positivamente la voglia di farne un track by track trasportandoti per la sua intera durata al di fuori dal mondo che ti circonda facendoti dimenticare di esserne parte e proiettando la sua natura nel tuo pensiero, beh ha fatto centro.
Vorrei dilungarmi ancora scrivendo di come sia ben prodotto, di come la versione live di uno degli inediti, "Dusk, Wine And Shadows", obbiettivamente suoni bene eppure non riesca a intrigare completamente, ma che motivo c'è di allungare il brodo? Nessuno.
L'unica cosa che mi resta da fare è consigliarvi d'ascoltare "Des Visions Dombres Et De Tristesses", una via di fuga che non garantisce solo momenti alti e soavi, sente la necessità anche d'inquietarvi prima che giungiate a quella porta con la scritta "Exit", provateli, chissà che qualche malato di mente come me non li gradisca.
Alla fine dei conti un viaggio al di fuori dei classici on air che accompagnano le nostre giornate quale danno potrà mai arrecarvi?

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THE SIGN OF THE SOUTHERN CROSS - I Carry The Fire


Informazioni
Gruppo: The Sign Of The Southern Cross
Anno: 2011
Etichetta: Season Of Mist
Contatti: www.myspace.com/southerncrossband - www.season-of-mist.com
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. I Carry The Fire
2. If You Find Yourself Looking Back
3. Doomswagger

DURATA: 14:16


Provate a visualizzare questa scena: un bel mattino uscite da casa e il traffico è completamente fermo.
Andate a vedere cosa succede e in mezzo alla strada notate Zakk Wylde, Phil Anselmo, Woody Weatherman e Ronnie Van Zant (con le rispettive band), intenti a spargere intorno un'overdose di "southern-attitude". C'è chi scappa spaventato, chi sogghigna sotto i baffi e cerca di ricordare quale sia l'istituto psichiatrico più vicino e c'è chi chiama le forze dell'ordine paventando denunce per ubriachezza molesta.
C'è poi una sparuta minoranza (di cui fa parte anche il sottoscritto) che al cospetto di tale visione si sente gonfiare il pacco dall'esaltazione.
Questo è ciò che la mia mente ha elaborato durante l'ascolto di "I Carry The Fire", nuovo Ep dei The Sign Of The Southern Cross. Conoscevo e apprezzavo già questo gruppo grazie al bellissimo debutto "Of Mountains And Moonshine", quindi non poteva che rendermi felice questo ultimo parto degli americani.
Indescrivibile è la goduria generata dall'essere investiti dai massicci riffoni in piena tradizione sudista della title-track, dalla roca voce di Seth in assetto Anselmo/Down e dal groove straripante di "Doomswagger".
In mezzo a questi due brani viene intelligentemente piazzata una meravigliosa "If You Find Yourself Looking Back". Al cospetto di un simile pezzo non si può far altro che immaginarsi distesi su un'amaca, sul ponte di una barca che ondeggia indolentemente sul fiume Mississippi, con a fianco i Lynyrd Skynyrd più bluesy che si lanciano in un'estemporanea esternazione di talento.
Non c'è altro da dire oltre a quanto già espresso, se non che avrei dovuto già riuscire a convincervi della bontà del prodotto soltanto con le righe iniziali di questo testo.
Se amate anche uno solo dei nomi citati e siete appassionati di questo tipo di sonorità, "I Carry The Fire" non potete lasciarvelo sfuggire.
Il disco è anche disponibile in download gratuito sul sito della Season Of Mist.
Ecco, ora non avete più scusanti di nessun tipo, quindi correte a sentirvi questo piccolo e onesto gioiellino.
Un valido pretesto per spararsi un album di questo tipo lo si trova sempre senza fatica alcuna.

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BLACK POCKET LICE - Paradise In Blood


Informazioni
Gruppo: Black Pocket Lice
Anno: 2010
Etichetta: Wydawnictwo Muzyczne Psycho
Contatti: www.myspace.com/blackpocketlice
Autore: Mourning

Tracklist
1. Paradise In Blood
2. Destiny Of Shit
3. Strong Enough

DURATA: 13:54

L'underground polacco (e non solo) ha trovato nella figura di Robert della Psycho Records (troverete l'intervista girando per il sito) una certezza, la label è sempre pronta a supportare le uscite nazionali dando possibilità di farsi mostrare, l'ha fatto nel recente passato anche con realtà esterne al circolo del polish metal, i Repuked svedesi hanno infatti stampato la raccolta di demo in tape "Repukalypse Now" proprio per la Psycho.
Stavolta è il turno dei neonati Black Pocket Lice, altro monicker nuovo che nasconde artisti conosciuti per la militanza in act quali Borea, The Thorn (anch'essi recensiti già per la nostra 'zine), Alienacja e che nel 2010 han prodotto un primo demo, "Paradise In Blood", composto di tre tracce e reperibile in solo formato tape limitato a centocinquanta copie indirizzato agli amanti del death metal.
Neanche quindici minuti che bastano però a chiarire le idee, composizioni violente e come scuola nazionale insegna portate a condurre melodie che non esulano da lievi richiami moderni, nulla però d'innovativo, una giusta commistione di impatto fatto di sfuriate improvvise, andature pestate e un riffing che in alcuni fraseggi più classici e orientati al versante della morbosità statunitense si avvicina al blackish, questo è "Paradise In Blood" (il pezzo), decisamente rivolto allo svedese melodico l'episodio successivo "Destiny Of Shit", qui la melodia diviene dominante e seppur si mantengano ritmi sostenuti la posizione assunta dal songwriting diviene più affine alle correnti coinvolte nel movimento dall'attitudine catchy, bella la solistica heavy oriented che nella parte pre-conclusiva del brano si ritaglia una buona fetta di spazio.
I toni si rianneriscono nell'ultima "Strong Enough", il riffato pur mantenendo vivido l'aspetto armonioso è più scuro, il lavoro svolto dalle sei corde in fase d'intarsio ricorda alla lontana quello dei Death mentre il drumming ancora una volta ripiega su soluzioni compatte che portano alla luce tirate brevi e pressanti.
Una prestazione abbastanza varia e ben eseguita, la produzione a supporto offre una discreta intellegibilità alla strumentazione in toto, anche il basso sembra non "subirla" particolarmente, l'unica nota leggermente stonata è la prova dietro al microfono che nelle parti tendenti allo scream è poco convincente oltre ad avere una scarsa resa.
I Black Pocket Lice sono solo agl'inizi, in futuro potrebbero far uscire prove interessanti e che valgano l'ascolto, per ora rimangono inseriti nel calderone delle tante band in attesa di ulteriori sviluppi, se vi dovesse piacere "Paradise In Blood" dato il suo numero esiguo numero di copie fatevolo vostro prima possibile.

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PUTRIFIED - The Return... Of Old School Swedish Death Metal

Informazioni
Gruppo: Putrified
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/putrifiedswe
Autore: Mourning

Tracklist
1. Zombie Priest
2. Fucked By The Dead
3. Morbid Hunger

DURATA: 10:17

Un demo che s'intitola "The Return... Of Old School Swedish Death Metal" come potrà suonare? I Putrified, solo project di A. Death (Casket degli Infuneral), sono un omaggio ai tempi andati, in realtà questo è solo un assaggio del platter che dovrebbe venir fuori in questo 2011, tre brani per appena dieci minuti dallo stile chiaro e delineato.
In effetti non è solo dalla Svezia della vecchia scuola che l'artista attinge, è innegabile che tinte Autopsy si inframezzino al riffing classico della scuola nazionale da cui proviene, grandi rallentamenti che fanno pensare a Grave e Dismember quanto a Chris Reifert e soci, si passa dalle veloci, incalzanti e solo in alcuni brevi frangenti allentate "Zombie Priest" e "Fucked By The Dead" alla trascinata e dilaniante "Morbid Hunger".
Non è nulla di nuovo sotto il sole, è un antipasto che si rivela succulento per i patiti del genere (fra cui m'inserisco), potrebbe uscire un disco particolarmente gradito ai seguaci di un old school che è tornato in voga anno dopo anno in maniera prorompente.
Suonato interamente da A. Death compositore delle liriche, curatore della produzione e con il master affidato al suo compagno d'avventura negli Infuneral, Grave, ciò che è venuto sinora fuori fa ben sperare.
Siete dei famelici fruitori di death metal vecchia maniera? "The Return... Of Old School Swedish Death Metal" fa decisamente per voi, prendete nota del monicker e insieme a me attendete notizie su una prestazione di durata più consona per approfondire la conoscenza di questa neonata realtà.

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CRYSTALIC - Persistence


Informazioni
Gruppo: Crystalic
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.crystalic.net - www.myspace.com/crystalicband
Autore: Akh.

Tracklist
1. Sub-Creatures
2. Throne Of Sin
3. Wall Of Sanity
4. Vanishing Act
5. Voiceless Army
6. Eulogy
7. Blastbeat Of My Heart
8. The Flame (bonus track)
9. New Time
10. Lord Of The Mourn
11. Too Dark To See

DURATA: 49:35

Dopo cinque demo e "Watch Us Deteriorate" tornano a farsi sentire i finnici Crystalic con questo "Persistence". I nostri quindi non hanno mollato e ci regalano un album autoprodotto a cui non si puo' criticare niente rispetto ad altre uscite marchiate; undici brani da ascoltare tutti di fila e una produzione ottimale che valorizza le qualita' tecnico compositive del combo.

Un lavoro che abbraccia molte sfaccettature indubbiamente, il territorio musicale potrebbe essere un Death Metal di stampo melodico (dimenticatevi immediatamente il termine "Svezia") in cui si inserisce una fortissima componente guitar oriented, dove le chitarre soliste si ritagliano veramente moltissimo spazio al limite del guitar hero da parte delle asce di Tieaho e Mattila, vedete l'introduzione di "Too Dark To See" per giudicare; questo pero' non deve farvi pensare a scimmiottamenti ai connazionali Children Of Bodom, qua ci sono sostanza e bonta' in abbondanza.
"Sub-Creatures", "Blastbeat Of My Heart" (fra le piu' veloci del lotto), "The Flame" e "Lord Of The Mourn" sono esempi con i quali i Crystalic fanno capire alcune loro peculiarita': aggressione, melodia, tecnica (da notare anche la strumentale "Eulogy") e linee vocali di un espressivo Heinonen che si affiancano alle parti in fretless di Tissari come dimostra la progressiva "New Time" o la citata canzone di chiusura, dove l'abilita' strumentale va a braccetto con una struttura compositiva di alta qualita' in cui le variazioni d'umore per quanto diversificate fra loro trovano una perfetta incastonatura.

Se devo esser sincero una delle cose che piu' mi hanno affascinato di questo lavoro è che pur mantenendo una fortissima identita' e ricchezza di arrangiamenti con splendidi affreschi si faccia piano piano largo un nome nella mia mente, un nome antico a cui i nostri forse si rivolgono in maniera distinta e rispettosa: Paradise Lost. Nelle linee vocali aggressive piu' di una volta l'influenza del miglior Holmes (prima che si volesse convertire a fare l'Hetfield anglosassone) esce allo scoperto, lo stesso si legge fra certe linee di chitarra, arricchendo di espressivita' e profondita' un songwriting superbo, che per intensita' colpisce dritto e a fondo, è sicuramente da lodare tutto cio'.

Chiudendo il cerchio, mi chiedo francamente come questo album possa non aver trovato una distribuzione adeguata, in quanto i Crystalic hanno oltre ad una spiccata identita' e professionalita', veramente tutto cio' che si richiede per questo genere, forse anche qualcosa in piu'.
Se mi chiedessero un nome per una band MDM in quest'istante non avrei dubbi, i miei 10 euro li giocherei sui Crystalic...
Ovviamente vincenti!

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NECROPHOBIC - Bloodhymns


Informazioni
Gruppo: Necrophobic
Anno: 2002 / 2011
Etichetta: Hammerheart Records
Contatti: www.myspace.com/necrophobic - www.hammerheart.com
Autore: ticino1

Tracklist
1. Taste Of Black
2. Dreams Shall Flesh
3. Act Of Rebellion
4. Shadowseeds
5. Mourningsoul
6. Helfire
7. Cult Of Blood
8. Roots Of Heldrasill
9. Blood Anthem
10. Among The Storms

DURATA: 46:01

L'anno 2002 fu quello in cui entrò in scena l'Euro come moneta contante. Sembra ieri, no? In febbraio la polizia tedesca riesce a recuperare il mitico Disco di Nebra, scomparso ormai da qualche tempo e il metal sembra piano piano risvegliarsi dal suo sonno durato più di un lustro.

Come già dissi altrove, i Necrophobic non terminarono mai di bombardarci con dischi solidi e brutali, tenendo così alta la bandiera del genere da noi tanto amato. "Bloodhymns" non fa eccezione alcuna, investendoci con scale molto scorrevoli e trascinanti che inducono l’ascoltatore a scuotere il capo al ritmo forsennato.

Le prime due canzoni sono almeno paragonabili al classico rullo compressore che spiana tutto ciò che si trova sul suo cammino. La ritmica falcia imperturbabile le prime file del pubblico, teste volano oltre le barricate, seguendo i cuori buttati in precedenza oltre la cresta della trincea. Gli svedesi mostrarono nuovamente di potere convincere l'auditorio con la classica ricetta violenza-brutalità-rabbia-pizzico di melodia. Gli amici del rapper Bushido, che onore, frega sequenze di gruppi metal, si scorticheranno le corde vocali definendo magari anche questo disco come merda da rivedere in versione gangsta, ahah! La risposta potrà solo essere "Act Of Rebellion"! Il pezzo sfalda il fronte avversario con raffiche impetuose seguite da parti violente e pesanti come un carro armato...

Evito di commentare tutta la scaletta e consiglio unicamente a chi non conoscesse il gruppo o non avesse ancora questo lavoro, di approfittare della ristampa per completare o rimpinzare la propria collezione.

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CREATED BY ASHES - The History Beginning...

Informazioni
Gruppo: Created By Ashes
Anno: 2010
Etichetta: Satanarsa Records
Contatti: createdbyashes.narod2.ru
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Intro (Piano History)
2. Dead Shade
3. Created By Ashes
4. Black Dream
5. Secrets Of Darkness
6. Dim Light
7. Outro (The History Beginning...)

DURATA: 32:04

I Created By Ashes sono una delle numerose realtà russe finite sotto l'egida dell'attivissima Satanarsa Records.
Questo duo suona un Death/Doom di stampo classico con richiami particolari al territorio britannico (My Dying Bride in special modo), ma dotato comunque di emergente personalità.
Il demo che mi ritrovo fra le mani risale all'anno passato e porta il titolo di "The History Beginning...".
A dare inizio a questa storia troviamo l'avvolgente "Intro (Piano History)" che lascerà poi spazio a "Dead Shade". In quest'ultimo brano le influenze MDB si fanno molto forti, in special modo nell'attacco, al punto che ci si aspetterebbe di sentir partire i centenari lamenti di Mr. Stainthorpe da un momento all'altro.
Come dicevo, la personalità del duo emerge molto bene, ad esempio in "Created By Ashes" dall'arpeggio molto "bethlehemiano", in cui il riff portante verrà intervallato al drumming, soluzione che crea un effetto davvero interessante.
Ogni canzone ha sempre la sua da dire: siano la maestosa dinamicità e potenza di "Black Dream" e "Dim Light" o le emozioni provocate dalla tormentata e toccante "Secrets Of Darkness", strumentale in cui il basso esegue una prova magistrale.
Il disco viene poi concluso da "Outro (The History Beginning...)", la quale riprende l'intro abbassandolo di una tonalità.
Da sottolineare in particolare il growl utilizzato, non eccessivamente cavernoso ma basso e molto comunicativo.
L'armonia strumentale raggiunta dai due musicisti è elevata, il che aiuta a stendere sulle composizioni un velo di spontaneità che mantiene sempre intatta quella sensazione di decadenza che il disco ci vuole trasmettere.
Cos'altro dire? Questo demo era il debutto assoluto per il gruppo il quale, ora nel 2011, ha fatto uscire un nuovo Ep. Se continueranno su questa scia qualitativa, il traguardo del full sarà senza dubbio un'uscita da non perdere per chiunque ami queste sonorità.
In questo caso comunque consiglierei già il contatto con questa prima prova che sarà senza dubbio un graditissimo ascolto per i sopracitati spettatori.

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BLUTMOND - Thirteen Urban Ways 4 Groovy Bohemian Days


Informazioni
Gruppo: Blutmond
Anno: 2010
Marca: Code666
Contatti: www.blutmond.ch - www.code666.net
Autore: ticino1

Tracklist
1. Mind Da Gap
2. You vs. The Modern Lifestyle Obsession
3. Working Poor, Yuppie Yeah (A/A 3000)
4. Rebellion
5. Friday - Trapped In Mental Disorder
6. Blind Date Broadway
7. Cry.sys
8. Good Morning World
9. Martini Midnight Madness
10. Metro Aesthetix
11. Suburbs - A Lamentation Or A Social Frustration!?
12. The Party Is Over...
13. Dance N' Society

DURATA: 63:54

Una copertina in tonalità nere e rosse, quasi psichedelica, il logo quasi nascosto nell’angolo e un titolo in carattere inabituale per un’opera black... cosa è successo ai Blutmond? La fodera del disco mi ricorda piuttosto quella di lavori progressivi degli Anni Settanta e Ottanta. Che la formazione abbia voltato le spalle al metal? Seguitemi e scoprite con me le risposte!

Dopo avere inserito il cd nel lettore, comprendo rapidamente che la recensione del lavoro sarà un'operazione lunga e complicata. La formazione solettese, Soletta è un cantone confinante a quel di Berna, pare sia salita nell'Olimpo dei gruppi allontanatisi dal metal standardizzato e privo di idee, per dedicarsi a sonorità più progressive, lasciando libero spazio alla propria fantasia, fregandosene di quello che pensano gli altri.

Sfogliando le pagine di questa incisione leggo paragrafi industrial, jazz, thrash, death, ambient e chi più ne ha, più ne metta. I miei timpani scoprono di tanto in tanto scale trascinanti e intense come per esempio in "Blind Date Broadway" o in "Martini Midnight Madness". Questo CD non è da ascoltare in singole tracce, no, è da seguire dall’inizio alla fine. Sette giorni nella vita di un comune mortale non possono essere semplicemente bloccati in un punto preciso, premendo il tasto "pause" dell’Ipod. Nella vita ogni secondo improduttivo non tornerà, ogni secondo triste non diventerà gaio, il passato è passato.

Una storia urbana raccontata con musica ha bisogno di caratteri che la evidenzino. I Blutmond ci riescono impiegando le note del sassofono in passaggi quasi pensierosi, per poi scatenarsi nuovamente con gli strumenti elettrici. Suoni quotidiani intrecciati nel tessuto delle canzoni portano l'ascoltatore nel mondo e nella mente di una persona come te e me.

Su quest'opera potrei scrivere pagine o nulla. Preferisco fermarmi qui, consigliando all’ascoltatore di acquistarla, di ascoltarla e di giudicarla individualmente. Chi non dovrebbe procurarsela? Coloro che sono al cento per cento legati al fanatismo, ormai obsoleto, del black metal, ascoltatori che seguono solo musica lineare e senza pretese. Chi invece dovrebbe rischiarne l'ascolto? Tutti quelli che ritengono a questo mondo ci sia abbastanza metallo privo di emozioni, idee, e che cercano qualcosa di diverso per passare un'oretta musicale impegnativa.

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DEEP DESOLATION (2011)


Informazioni
Autore: Mourning
Traduzione: Dope Fiend

Formazione
Martinous - Voce
Meriath - Chitarra
Markiz - Chitarra
Piorun - Basso
Wilku - Batteria



Siamo con i polacchi Deep Desolation, che hanno da poco debuttato con l'album "Subliminal Visions".

Come va ragazzi? Come vi sentite dopo l'uscita della vostra prima "creatura"?

Meriath: Siamo molto felici che questo album sia finalmente uscito. Molte persone possono ascoltare la nostra produzione ufficiale e noi possiamo diffondere la nostra musica in ogni luogo del mondo. Siamo inoltre molto orgogliosi, perché dopo tutto quel duro lavoro in studio di registrazione possiamo sicuramente dire che ne valeva la pena.


Per favore, potete fare ai nostri lettori una presentazione della vostra band?

I Deep Desolation sono nati grazie a Markiz, chitarrista, che è la nostra guida e "motore principale", dietro il microfono abbiamo Martinous, una persona che dà il 100% di se stesso durante la creazione delle sue parti in scream; Piorun suona il basso ed è nella band dagli esordi; Wilku è un giovane batterista, che si è unito a noi nel 2010, dopo che Darek, il nostro primo batterista, lasciò la band e il paese per lavoro; poi ci sono io, Meriath. Suono la chitarra e qualche volta faccio la voce (in particolare quando abbiamo suonato dal vivo e Martinous era all'estero).


"Subliminal Visions" è un album profondo e cupo, un grande mix di black/doom. Band che vi hanno influenzato di più? E quali sono gli album più importanti nello sviluppo del sound dei Deep Desolation?

A dir la verità potrei scrivere qui centinaia di nomi di band. Ma più di tutte penso che le band che "si sentono" in "Subliminal Visions" sono sicuramente: Celtic Frost, Black Sabbath, Burzum, Khold, Electric Wizard... Con la nostra musica stiamo esaltando soprattutto le creazioni metal degli anni '80 e primi anni '90. Questa vibrazione specifica del rock psichedelico, doom metal, primo black e death, ecc. In altre parole la nostra maggiore influenza è una musica molto oscura, strana e malvagia. Per quanto riguarda il suono amiamo ad esempio gli Electric Wizard e gli Skitliv. Li abbiamo ascoltati durante le nostre prove e quando abbiamo registrato in studio Markiz ha detto qualcosa come "Ehi gente, vogliamo suonare in quel modo! Vogliamo il suono più malato e scuro che si possa immaginare...". E, visto che Mariusz (il nostro ingegnere del suono) è un nostro caro amico, il risultato è stato ottimo.


Chi scrive i testi? E come gestite il processo di composizione?

I testi del nostro album di debutto sono stati scritti da Markiz e Martinous. Alcuni di loro sono basati su esperienze personali, alcuni sono sicuramente venuti fuori dalle zone più desolate della loro anima. La musica di questo album è stata interamente composta da Markiz. Quando sono arrivato nella band ho portato un paio di idee, per lo più sull'organizzazione delle canzoni, ma il compositore di questo album è Markiz.


Ho davvero apprezzato "Everlasting War" con i suoi cori in background. Ho trovato una certa somiglianza concettuale con alcune parti lente dei Marduk, siete d'accordo?

Ci piacciono molto i Marduk e stimiamo la loro musica. Penso che la sensazione di somiglianza con loro sia anche data dalle voci che sono malate come le loro.


Vi piace la produzione dell'album? Io penso che sia un po' grezza. C'è qualcosa che vorreste cambiare per il vostro prossimo album?

Sì, possiamo sicuramente dire che siamo soddisfatti della produzione. Il suono è grezzo, ma si sapeva fin dall'inizio che questo sarebbe stato il suono dell'album. Forse in futuro penseremo a un suono più basso, più profondo. Nel secondo album ci sarà una piccola differenza nelle parti vocali perché io registrerò una canzone, forse due. Ci saranno anche alcuni ospiti, ma... sarà in futuro.


Come è stato accolto "Subliminal Visions" dai magazine musicali? E' piaciuto?

Per quanto ne so ad alcuni megazine arriverà o, forse, lo hanno già. La nostra label si è attivata immediatamente per l'invio del cd in vari luoghi. Per ora abbiamo trovato un paio di recensioni e dobbiamo dire che ne siamo più che felici perché le valutazioni di "Subliminal Visions" sono molto buone. Naturalmente ad alcune persone non è piaciuto tanto quanto ad altre, ma in generale ai maniaci è piaciuto!


Voi arrivate dalla Polonia, uno dei paesi con la migliore scena di metal estremo del pianeta e molti di voi hanno già suonato in altre band. Cosa ne pensate dei cambiamenti della musica metal dagli anni '90?

L'evoluzione del Black Metal ha avuto inizio nei primi anni '90 e, con essa, l'immissione di un'ideologia estrema nella musica. Cito quei giorni con grande sentimento. Sono cresciuto in quegli anni e album come "Hvis Lyset Tar Oss", "De Mysteriis Dom Sathanas" o "A Blaze In The Northern Sky" mi hanno colpito fortemente. Purtroppo la fine degli anni '90 è stata micidiale per il Black Metal. Ci sono stati molti gruppi approdati al mainstream e non c'erano idee per un'ulteriore evoluzione del genere. Solo la decade successiva ha permesso all'Arte del Black Metal di rinascere.


La Polonia è la terra di papa Wojtyla, ma è anche piena di odio contro il Cristianesimo. Cosa ne pensate della religione in generale?

Io la odio profondamente. La sua ideologia stupida serve solo a manipolare le masse stupide. L'unico elemento prezioso in questa religione (ma solo in senso simbolico) è Lucifero/Satana, l'avversario di Dio. Penso che Satana abbia davvero radici divine, perché aspira a far trionfare i suoi valori e non a eseguire gli ordini di qualcuno. A mio parere questa ideologia sta crollando e ne sono felice! Per esempio, nelle chiese di Londra sono fissati per le aste. Là si può acquistare e aprirci dentro un bordello! Come per la Polonia, me ne fotto che questo è cattolicesimo parrocchiale. E il fatto che avevamo il papa polacco ha peggiorato le cose (la Polonia ha firmato il concordato). Penso che il regime comunista sia stato troppo indulgente con la Chiesa, nessuno di quei porci dovrebbe essere lasciato in vita.


Molte grandi case discografiche sostengono fortemente il mercato digitale, molte etichette underground preferiscono i supporti materiali per la musica, cosa ne pensate? Meglio mp3 o cd/vinili?

Scaricare mp3 va bene, quando si vuole solo ascoltare l'album e poi comprarlo. Va bene perché i cd, ad esempio in Polonia, costano un sacco di soldi e penso che nessuno voglia più comprare qualcosa di sconosciuto. Ma questo non è quello per cui abbiamo lottato, come si dice nel nostro paese. Stessa cosa per i vinili, nello specifico. Sono pieni di magia, con il sapore dei vecchi tempi. Tutti nel nostro gruppo collezioniamo vinili e, a dir la verità, ci auguriamo che un giorno i Deep Desolation pubblichino anche un vinile...


Cosa ne pensate di webzine, forum e riviste. Qual è il modo migliore secondo voi per diffondere la passione della musica?

Penso che ogni tipo di promozione sia buona e debba durare. Al giorno d'oggi molte persone preferiscono leggere cose sul monitor del computer, così penso che forse forum e webzine sono in qualche modo migliori. Ma in altri casi è meglio la normale rivista stampata che può essere presa in mano, portata al lavoro in borsa... E' un po' come per il vinile, c'è qualcosa di magico in essa. Una pagina web può essere eliminata ma la rivista di carta, se non la si brucia, rimane.


Qual è la performance live perfetta per i Deep Desolation?

Prima di tutto, migliaia di fans sotto il palco. Belle luci, buon suono, nessuna rottura di corde. E, ovviamente, buone band con cui suonare mentre per il dopo concerto, bere molto e fumare sono alcune cose divertenti.


Abbiamo qualche possibilità di vedervi in Italia?

Speriamo di sì! Ci piacerebbe suonare in un altro paese e quando ci sarà l'opportunità di venire in Italia, ci suoneremo. Chi lo sa? Forse un giorno avremo un invito per una festa o qualche band ci inviterà? Vedremo.


L'intervista è giunta al termine, grazie per il tempo passato con noi, a voi la parola per un ultimo messaggio ai nostri lettori.

Grazie mille per l'opportunità, se non avete ancora "Subliminal Visions", è arrivato il momento di distruggere le orecchie del vostro vicino di casa con la nostra musica! HAIL!

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